10 – Ingranaggi



 
Non ci posso credere, è successo di nuovo. Sono di nuovo fermo, con la barca in panne, in attesa di un cantiere che la tiri su e di un meccanico che mi dica quali ingranaggi del cambio si sono rotti. Sono attraversato da un vortice di sentimenti contrastanti: rabbia, delusione, rassegnazione, sconforto, ira, tutti impastati e confusi con autocommiserazione, frustrazione, impotenza, rimprovero e tristezza. Sono passati appena due anni da quando un guasto simile mi ha fermato a Olbia, in Sardegna, mandando all’aria la seconda parte della mia navigazione in Tirreno e alleggerendo in modo consistente il mio portafoglio.
È vero che ho percorso quasi cinquemila miglia da quando la barca è stata rimessa in acqua, a settembre del 2023, e che tanta parte di queste miglia sono state fatte a motore, ma non può di nuovo rompersi l’invertitore!
I primi segnali che qualcosa non andava li ho avuti alle Egadi. Sono andato a controllare l’elica e ho visto che uno dei due zinchi, quello a ogiva posto in fondo, era saltato via. Le vibrazioni dell’elica avevano allentato le viti e queste si erano svitate del tutto, lasciandolo cadere in acqua, chissà quando. Anche l’altro, quello posto attorno al perno su cui si monta l’elica era allentato; l’ho stretto per bene, più forte che potevo, e ho sperato che bastasse. Le pale dell’elica avevano un piccolo gioco laterale, che non dovrebbero avere, ma era davvero molto lieve. Lo avevo visto già lo scorso anno che c’era questo gioco, e il mio meccanico Fabio mi aveva detto che sarebbe stato meglio rettificare l’elica al più presto. Questa primavera ho portato la barca in cantiere per fare carena, e per l’occasione anche per smontare l’elica e farla riparare o sostituire. Ho detto al capo cantiere di guardarci e di sapermi dire cosa fare, lui ci ha guardato e mi ha detto che non c’era problema, era solo la mancanza di grasso interno che faceva lavorare male l’elica e che adesso era tutto a posto. Che errore fatale! Perché mai mi sono fidato? È stata un’enorme leggerezza, che ora sto pagando a caro prezzo. Il cantiere è stato scorretto, o forse semplicemente incompetente, e non ha visto l’ora di mettere la mia barca in acqua per poter fare posto ad un’altra barca, che tanto ormai i pochi cantieri rimasti fanno solo pulizia carene e l’enorme richiesta che c’è è sufficiente a farli lavorare tutto l’anno.
Tutto gongolante per non dover affrontare il costo dell’elica nuova, duemila e cinquecento euro, o anche più, ho appreso con piacere la falsa rassicurazione e ora mi lecco le ferite!
E dire che questo viaggio era cominciato nel migliore dei modi, con una discesa dell’Adriatico tranquilla e veloce, con poche soste prima di arrivare in Sicilia, a Siracusa. Poi le Eolie, Cefalù, Palermo, le Egadi, Mazara, Lampedusa, Malta, un lungo giro della Sicilia che avevo in programma da anni e che questa estate avrei realizzato sempre in compagnia dei miei amici. A dire il vero il giro l’ho fatto tutto, e miracolosamente sono arrivato a Siracusa con un ultima tappa al cardiopalma, se si può dire così.

Cala Pisana a Lampedusa

La scorsa settimana, dopo dieci giorni passati assieme, Roberta e Max sono sbarcati e con un volo da Lampedusa sono rientrati a Bologna. Nello stesso giorno sono arrivati a Cala Pisana “Gek” (alias Giacomo) e Giovanni. Un taxi li ha lasciati sul molo/spiaggia di quella Cala Pisana che una volta era un porto peschereccio, ma che oggi è una banchina trasformata in lido, con sedie a sdraio, ombrelloni e lounge bar. Metto in acqua Ev e a remi, per non disturbare i tanti bagnanti presenti in mare, mi dirigo verso la banchina. Gek e Giovanni li riconosco subito, sono gli unici vestiti in mezzo ad una folla di gente in costume da bagno. Per trasferirli in barca, compresi i bagagli, occorrono due viaggi, fatti un po’ a remi e un po’ a motore, perché su un dinghi di due metri è quasi impossibile riuscire a remare se non si è da soli. Era da molti anni che Gek voleva venire in barca, ma non era mai riuscito a trovare il tempo giusto fra i suoi mille impegni di lavoro e non. Sistemata le proprie cose e dopo un bagno rinfrescante, ceniamo pianificando la partenza di domani per la Sicilia. Da due giorni soffia forte lo scirocco, e c’è un po’ troppa onda per partire all’alba. Preferiamo aspettare che cali un po’ il mare e fissiamo la nostra partenza per mezzogiorno, con destinazione l’isola di Gozo. Faremo tappa lì e poi ripartiremo per Siracusa.
 
Giovedì 21 agosto – Lampedusa
 
La rotta giusta per Gozo è 70°, e la distanza 82 miglia nautiche. Salpiamo l’àncora e subito fuori Cala Pisana sentiamo già l’onda che preme sulla murata di dritta della barca. Il sud-est è quasi agli sgoccioli, meno di 7-8 nodi e solo qualche raffica più forte, ma il mare è ancora molto mosso, e le onde più alte raggiungono anche i due metri, per nostra fortuna non frangenti, ma molto fastidiose. Teniamo la randa aperta, per stare un po’ più in equilibrio, ma il rollio non ci dà pace. Per tutto il pomeriggio e la sera andiamo avanti così. Durante la notte il leggero vento da sud gira e rinforza, disponendosi da nord ovest, e poco dopo anche l’onda varia la direzione. Apriamo anche il genoa, ma senza spegnere il motore, per adesso. Continuiamo così fino alle prime luci del giorno, quando raggiungiamo la città di Mgarr, a Gozo, e caliamo l'àncora davanti al porto in attesa di ricevere una risposta dal marina dove abbiamo prenotato un ormeggio via Navily.

Gek controlla la rotta
delle navi che incrociamo

Verso le otto del mattino li chiamo, e la persona alla reception mi dice che purtroppo non hanno posto per i prossimi due giorni. Peccato, questo marina costava poco e ho assolutamente bisogno di fermarmi in porto per lavare la montagna di panni sporchi che ho accumulato e per dare a me e alla barca un po’ di relax. Chiamiamo un altro marina, questa volta a La Valletta, a Malta, e qui ci danno l’ok. 
Raggiungiamo il Creek Marina dopo circa tre ore di navigazione a motore, in un mare reso agitato dal vento e dalle decine di barche a motore che escono dai vari “fiordi” della costa nord maltese per andare alle spiagge di Komino e Gozo. Siamo l’unica barca “contromano” in questa giornata di sole e caldo agostano.
Quando stamane ho ingranato la marcia per lasciare Gozo per La Valletta ho sentito un brivido salire su per la schiena. Il motore ha girato a vuoto e solo dopo qualche secondo ha ingranato la marcia, con un secco rumore metallico, preceduto da una grattata. Poi l’elica ha girato normalmente, senza più alcun suono strano. Ogni tanto però mi sembra che i giri motore non siano costanti ma che ci sia un leggero aumento e poi un calo. Sono un po’ preoccupato. Nel pomeriggio chiamo Fabio, a Ravenna, per chiedergli consigli, anche se so bene che a distanza e senza vedere e sentire nulla è un po’ difficile dare dei consigli. Spero solo che quando salperemo da qui ci sia sufficiente vento da non dover smotorare e arrivare a Siracusa per fare eventualmente un controllo approfondito, magari tirando su la barca se necessario.


La Valletta
Malta
 
Non mi ci ero mai fermato a Malta, non ci ero mai stato nemmeno quando vivevo a Siracusa, e dire che andare a Malta negli anni settanta del secolo scorso, sembrava la cosa più comune e facile da fare. C’era persino un traghetto di linea che collegava La Valletta a Siracusa, e dai miei ricordi adolescenziali Malta era l’isola del contrabbando e dei Casinò, chissà poi se era vero.
Abbiamo girato per il centro della città vecchia alla ricerca di un ristorante dove cenare, fermandoci a guardare la strana architettura dei bei palazzi e soprattutto dei suoi balconcini stretti e chiusi fino in cima da leggere finestrature in legno e vetro. Mi ricordano molto le case di Istanbul, o almeno della parte più vecchia della megalopoli turca. Due cose non mancano mai a Malta, gli autobus e i colpi di cannone. Per un’usanza che non so quale sia, questi cannoni, presenti in tutte le città che si affacciano sul grande fiordo (ce ne sono ben cinque di città, vecchie e nuove), sparano dei colpi allo scoccar delle ore, come un campanile, parecchie volte al giorno, e non solo alle 12, come pensavamo all’inizio. 

I cannoni puntati
verso Vittoriosa 

Per tutto il giorno le cannonate scandiscono il tempo, poi è la volta dei fuochi d’artificio, sia di giorno (e non ne capisco il motivo) che di sera, facendo correre i tanti turisti presenti, noi compresi, da una parte all’altra delle strette vie, alla ricerca di una possibile vista su questi numerosissimi fuochi, quasi sempre nascosti dagli imponenti palazzi della città. I bus sono tanti, e tutti nuovi e fiammeggianti; quando sono in attesa di fare una corsa, e quindi momentaneamente fuori servizio, hanno l’elegante scritta sul display che recita Sorry, I’m not in service, pronta a trasformarsi in numero non appena si avvicinano alla pensilina di partenza. 

Il ristorantino, trovato per caso nonostante le continue ricerche su Google, si chiama Angela’s restaurant, ed ha appena cinque o sei tavoli, un piccolo bancone bar e una scala a chiocciola che porta al piano di sotto, dove un cuoco bravissimo ci prepara una meravigliosa zuppa di pesce chiamata Alijotta e delle verdure miste al forno di una bontà divina. Anche i ravioli ripieni di pesce sono molto buoni, ma non ho avuto la forza di assaggiarli, tanto ero pieno.
 
Medina
 
La vecchia capitale di Malta si chiama Medina, e si trova all’interno dell’isola, a circa venti chilometri dalla Valletta. Ci vorrebbe un taxi per andarci, ma per una felice combinazione troviamo il modo di arrivarci grazie ad un passaggio di un amico del papà di Giovanni, che come un vero taxi ci accompagna e ci viene a riprendere alla fine della nostra visita. Giovanni ha lavorato a Malta per qualche tempo, impegnato nella costruzione di un albergo, e suo papà ha delle conoscenza nel mondo dei cavalli, ma questa è tutta un’altra storia, troppo lunga da raccontare.

Medina
Medina è una città museo, ricostruita dopo il terremoto del 1693, quello che colpi anche Noto, Siracusa e tutta la Sicilia orientale, ristrutturata e trasformatasi negli anni in una città bomboniera, ormai praticamente disabitata, e piena quasi esclusivamente di turisti e attività commerciali legate al turismo. Negozi, bar, ristoranti, alberghi, e come dice Gek “se non vedi un macellaio o un calzolaio quella città è finta”. Ed infatti Medina è bella ma è morta, è solo un museo a cielo aperto, un set cinematografico che rievoca le gesta dei Cavalieri di Malta, con le sue stradine strette e tortuose, percorse da carrozzelle trainati da cavalli impiumati, con stanchi cocchieri e sudati turisti a bordo.

Le carrozzelle all’ingresso della città vecchia
Scattiamo qualche foto, beviamo un caffè, guardiamo il panorama dall’alto delle mura e poi torniamo alla Valletta. Andiamo anche a vedere le “Tre città”, nella zona più a est del grande fiordo, ma siamo ormai un po’ stanchi e pur fermandoci davanti a chiese e monumenti non abbiamo la voglia o la forza di entrare dentro a vederli, e non vediamo l’ora di tornare in barca. Domani ci aspetta un lungo viaggio, ed abbiamo ancora molte cose da preparare.

Senza parole

Domenica 24 agosto, La Valetta – Siracusa
 
Ore 6,30. Con la prua contro vento issiamo la randa ancora dentro il grande fiordo, protetti dal mare. Fuori siamo subito presi dal vento al traverso e trascinanti immediatamente a sette nodi nella giusta direzione, 30 gradi nord verso Capo Passero. Si viaggia bene, le onde sono facilmente attutite dal vento che preme sulle vele e spinge lo scafo facendogli solcare con forza quelle un po’ più alte. Dobbiamo coprire 56 miglia fino alla punta più a sud della Sicilia, l’Isola delle Correnti, e poi da lì altre 30 miglia per Siracusa. 

Di bolina verso la Sicilia
Le previsioni ci danno vento costante per tutto il tempo e così è fin quasi a Marzamemi. Poi, usciti dalla Canale di Sicilia, il vento cala; accendo il motore, ingrano la marcia, l’elica gira perfettamente e mi rilasso. Ma dura poco; poche miglia e il motore perde colpi, anzi è la marcia avanti che si stacca e si riattacca, facendo salire e scendere i giri motore. Guaio serio, perché siamo troppo distanti da Siracusa e le previsioni danno il vento in netto calo nelle prossime ore. Spengo il motore e vado solo a vela. Quattro nodi, ma nella giusta direzione, ve bene così. Squilla il telefono, è Giacomo che mi chiama da Fontane Bianche, la zona balneare dei siracusani, situata a poche miglia a nord di Avola. Gli racconto la situazione e mi informa che lì c’è bonaccia. Siamo nei guai, se il vento finisce ci tocca ciondolare nell’attesa di un suo ritorno, non posso usare il motore che voglio preservare per le manovre in porto, semmai dovessimo arrivarci.
Avanziamo così, con un leggero vento da sud che ci porta fino al Plemmirio e a Capo Murro di Porco, la penisola oltre la quale si apre il porto grande di Siracusa. È già buio, vediamo il faro del Capo che si accende e spegne in lontananza. Cominciano le prime luci dei pescherecci, arriva anche una nave passeggeri diretta sud che passa abbastanza lontana dalla nostra prua. Contrariamente alle previsioni il vento non molla, credo sia la brezza che da terra ci dà un’inattesa mano. 
Un bordo dopo l’altro ci avviciniamo al Capo, riusciamo a doppiarlo e ci allontaniamo parecchio prima di fare l’ennesima virata. Bisogna stare molto lontani dalla costa, per via delle secche e degli scogli, ma il vento non ce lo permette. Sono costretto a riaccendere il motore per coprire le ultime tre miglia che mancano al porto grande. La marcia tiene, ma si stacca continuamente, cinque o dieci secondi di presa e poi parecchi secondi di giri a vuoto del motore. Continuiamo così, pregando di riuscire a dare àncora per la notte, domani si vedrà. Entriamo in porto grande, il Castello Maniace a dritta, il faro rosso lontano a sinistra; vedo la luce di allineamento per 270°, la seguo, controllo il profondimetro che da 30 metri è sceso ad appena 10 metri, poi 9, 8, infine 7. Nel buio si fa fatica a distinguere le barche alla fonda, ce ne sono tante, Gek mi urla le indicazioni su dove andare, probabilmente svegliando tutti quelli che sono nelle barche vicine a noi, ma chi se ne frega. Sono le tre del mattino, l’ancora ha fatto presa alle spalle di un catamarano. Le luci del porto grande e della città sono tutte accese, si sente anche la musica che proviene da qualche bar, da qualche pub. Resto in pozzetto a bermi una birra, mentre cerco di allontanare dalla mia mente gli orribili ricordi di Olbia del 2023.
 
Lunedì 25 agosto, Siracusa
 
Al nostro risveglio, dopo appena 4 ore di sonno, un leggero vento da nord-est comincia a soffiare, sempre più intensamente. Al Circolo Aretusa ci aspettano già, gentilissimi come sempre, e Vittorio ha già preparato il nostro ormeggio. Giacomo mi ha anche dato tutte le indicazioni possibili, di cantieri e di meccanici, perfino di un sub, se ne avessimo bisogno. Avanziamo con il motore a 1500 giri e con la marcia che per adesso non perde colpi. Usciamo dal Porto Grande, puntiamo verso nord, verso il Porto Piccolo, con una onda già bella alta che ci concede appena 3 nodi di velocità, e a volte anche meno. Vedo i frangenti sugli scogli di quella che comunemente viene chiamata L’isola dei Cani, e non so se passare a est di queste secche o se infilarmi fra le secche stesse e la costa. Faccio la scelta forse più pericolosa, ma nello stesso tempo il tragitto più breve, e decido di passare in mezzo. Confido nel vento e nel genoa, da aprire immediatamente nel malaugurato caso che la marcia non ingrani più e mi trovi senza governo della barca a motore. Non succede nulla di tutto ciò, la barca va, entro in porto piccolo e arrivo al secondo pontile del Circolo, dove Vittorio ci porge le trappe dandoci il benvenuto.
Vado subito in cantiere, che è lì a due passi, e cerco il capo con cui parlare per tirare su la barca. Il meccanico però non c’è e dovremo aspettare mercoledì per avere un primo consulto. Attenderemo, non c’è altro da fare. Io in cuor mio so già che la barca dovrà essere tirata su, ma in questo momento mi fa comodo poterla avere in acqua, in pontile. Se la barca va in cantiere saremo costretti a sbarcare subito, con notevoli disagi per tutti. Nel frattempo cominciamo a guardare treni, aerei e altri mezzi per tornare a Bologna. Gli aerei sono costosissimi, oltre 300 euro per un viaggio di sola andata, e i treni sono tutti completi per i prossimi 8 giorni, fino a inizio settembre! I bus sono gli unici disponibili, anche loro però non proprio a buon mercato: Siracusa-Bologna, passando addirittura da Foggia, costa 180 € + spese bagaglio!
Alla fine la soluzione migliore risulta il noleggio di un’automobile, da lasciare poi a Bologna, nel garage della compagnia di noleggio. Costa un po’ di più del bus, ma si viaggia in autonomia, scegliendo da soli orari e soste. Gek e Giovanni decidono di prenderla. In tre sarebbe stato anche più economico, ma io devo restare qui, a presidiare.
 
Martedì 26 agosto
 
Sono di nuovo solo. Dopo più di due mesi e mezzo di navigazione in compagnia mi trovo di nuovo solo in barca. Non so ancora quando rientrerò a Bologna, non posso prenotare nulla per il momento, e poi prima di sabato o domenica non ci sono posti disponibili da nessuna parte. Mi ricordo quando quarant’anni fa lasciavo Siracusa per venire a studiare a Bologna. A settembre non c’era mai un cuccetta libera, a meno di non averla prenotata un paio di mesi prima. Però c’era la possibilità di viaggiare in piedi, o seduti in corridoio, e quindi a terra non rimanevi mai; facevi un viaggio orribile, ma arrivavi a destinazione. Oggi non è più possibile, o hai il posto o non parti. Da un lato meglio così, ma dall’altro o si aggiungono dei treni oppure il risultato è quello di avere meno servizi.

Strade di Ortigia

Non so cosa fare, anzi lo so. Faccio il bucato, lavo i panni sporchi, metto a posto, pulisco la barca, faccio quello che avrei fatto a Ravenna una volta arrivato a casa. Mi porto avanti, svuoto il frigo, tolgo tutta l’acqua che si è accumulata nel doppio fondo, quello sotto il ripiano di legno. L’acqua è tutta oleosa, colpa delle vaschette di olive che si sono più volte ribaltate colando dappertutto. Poco male, pulisco, spruzzo tanto sgrassatore, asciugo, poi rimetto tutto al suo posto. Fuori dal frigo un paio di patate sono marcite dentro il cassetto delle verdure, lasciando colare un liquido biancastro e puzzolente. Butto via anche due cipolle, anch’esse molli e fiorite. L’aglio è a posto, e anche l’origano. Ritiro il bucato steso sulle draglie e lo “stiro” con le mani piegandolo come meglio posso. Le lenzuola le metto dentro le loro buste bianche con chiusura lampo, le magliette dentro i contenitori rigidi dell’Ikea che tengo sopra l’armadio di prua. Comincio a preparare anche la borsa, nell’eventualità che domani il cantiere decida di tirar su la barca e mi trovi costretto a trovare una sistemazione per la notte. Per lo stesso motivo mi cucino due delle quattro uova rimaste e finisco anche le olive e il pecorino. Consumo perfino un po’ di burro, ma non posso far fuori un tubetto quasi intero di maionese, mezzo tubetto di Harissa, e soprattutto due buste di formaggio grattugiato, una di pecorino e una di grana! Non in una sola sera!
Pieno come un uovo, con la pelle già un po’ appiccicata dal caldo, nonostante le ripetute docce, mi stendo in cabina di prua, indeciso se cospargermi di borotalco contro l’umidità o di spruzzarmi gambe e braccia con l’autan contro le zanzare.

Sul pontile del Circolo Aretusa


Mercoledì 27 agosto
 
È l’invertitore. La marcia non entra più. Ci proviamo più e più volte, io e Enzo, il meccanico che puntuale alle 8,30 è arrivato in barca. La marcia indietro funziona perfettamente, la marcia avanti non vuol saperne. Spengo il motore e vado in cantiere, da Antonio, il boss. Sta pulendo con l’idropulitrice un piccolo peschereccio, togliendo cozze e altre creature dalla carena di legno. Il pescatore lo guarda lavorare, seduto all’ombra di una barca issata su un invaso. È molto piccolo il cantiere, conto appena sei barche in secco, compresa quella sulla gru. Non c’è il travel lift, solo una gru e neanche tanto grande. Quando mi vede si ferma di lavorare, stacca il compressore e mi raggiunge.
“Venerdì pomeriggio o sabato mattina, prima non posso”. Va bene lo stesso, anche il meccanico ha da finire un paio di lavori e quindi i tempi si incastrano bene. Da parte mia devo ancora fissare un mezzo per il ritorno a Bologna, ma adesso che ho una data posso sbizzarrirmi a trovare la soluzione giusta. Davanti ad una granita di mandorla con briosce cerco sul cellulare le possibili combinazioni ed eccola lì: treno da Siracusa per Catania e Bus per Roma, Poi a Roma altro bus per Bologna. Un po’ di incastri e di cambi, ma così arrivo a casa con una spesa di poco più di cento euro. Compro i biglietti, scelgo il posto a sedere, faccio un po’ di casini con un’app nuova e le relative password, poi chiudo il telefono e mi rilasso. Per quel che si può.
 

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