09 – Ai Confini d’Europa

 


Mercoledì 13 agosto

Vogliamo arrivare a Mazara prima di mezzogiorno, non so perché di preciso, ma voglio avere il tempo per riuscire a riparare in qualche modo il pulsante del salpa ancora, cosa che mi infastidisce enormemente. Max mi ha detto che non è un lavoro difficile, anzi è proprio banale, avendo però il materiale e le conoscenze necessarie. Il porto di Mazara è ben riparato, con i pontili pieni di pescherecci, inattivi per il fermo pesca periodico. Decine di prue, tutte blu e tutte allineate verso il mare a sud, nell’attesa di tornare a pescare. È una delle marinerie più grandi d’Italia, e tutti dicono che se vai a Mazara devi per forza mangiare il pesce!

Il pontile di Adina

Il pontile dell’Associazione sportiva Adina è sul lato destro del porto, subito dopo la lega navale. Fondo bassissimo, il profondimetro segna meno di 20 centimetri tra la deriva della barca e la sabbia, basterebbe un secchio bucato adagiato sul fondo per farci toccare. Il colore dell’acqua in porto è un verde indecifrabile e impenetrabile, sembra vernice da quanto è opaco. Ci fermiamo in testa al pontile, unica barca a vela in una distesa di gommoni e barchini a motore. Il benzinaio non c’è, ma se ci serve della nafta la possono portare, mi dice l’addetto alla registrazione del nostro ingresso. I bagni, anzi il bagno e la doccia ci sono, sono puliti e c’è perfino la carta igienica a rotoli, cosa non scontata in Sicilia in questi pontili galleggianti che si autodefiniscono “Marina”. Non passano dieci minuti che il nostro benzinaio è già sul pontile, con un carrello da supermercato dentro il quale trasporta un bidone da 25 litri di gasolio. Efficientissimo arriva fino alla poppa di Eleftheria, sbarca il bidone, ci infila dentro un tubo, lo sigilla con un sacchetto di plastica, ci soffia dentro e voilà dall’altra parte del tubo, quello dentro il serbatoio, esce a velocità stellare il gasolio ordinato. Spero che ci stia dentro tutto, perché quando ho detto che me ne servivano 25 litri non immaginavo che arrivassero con un bidone solo per noi, ma che in qualche modo ci fosse un grande contenitore e una pistola erogatrice per interrompere eventualmente il flusso eccessivo, come si fa in Grecia.

Max e il salpa ancora

Fatto il pieno, riparato il salpa àncora (in parte), lustrati e puliti noi stessi con una bella doccia, siamo pronti per andare a conoscere Mazara. Io ci sono già stato parecchia anni fa in città, e ne ho un ricordo piacevole, della sua architettura, con la città vecchia occupata dai vicoli della casba, e dal delizioso museo del Satiro danzante, una statua di bronzo di origini elleniche del IV secolo a.C., casualmente finita dentro una rete di pescatori di Mazara. È l’unica opera esposta, a parte qualche anfora e altri piccoli oggetti, ma da solo riesce a riempirmi gli occhi e la mente, mentre lo osservo da tutte le angolazioni, girandoci attorno.

Il Satiro danzante di
Mazara del Vallo

Mazara è anche piena di chiese e di palazzi ecclesiastici; in uno di questi c’è una stranissima esposizione di “miniature di monumenti”, ovvero la riproduzione di tutte queste chiese ad opera di un artista che ha dedicato la sua vita a ricostruire tutti i monumenti di Mazara. Sono decine di plastici, distribuiti in tante sale, e nell’ultima sala c’è anche l’artista che, tutto contento vedendo che scattiamo molte foto, ci lascia il suo bigliettino da visita, che metto in tasca un po’ imbarazzato, visto che stavo pensando che queste opere sono decisamente poco belle, per non dire brutte.



Dopo aver girovagato ancora un po’ fra le viuzze del centro cerchiamo un supermercato per fare cambusa. Il SISA che avevamo scelto perché pareva che consegnasse la spesa in barca è chiuso, a dispetto delle indicazioni di Google che lo dava per aperto. Quando arriviamo lì, dopo mezz’ora di camminata, sotto l’insegna ancora presente in strada troviamo solo un Sushi bar, del supermercato nemmeno l’ombra. Il cameriere cinese a cui abbiamo chiesto informazioni ci conferma che il supermercato non esiste da anni, e che il più vicino è il Decò, che è ancora più in là. Gambe in spalla, facciamo altre centinaia di metri nel caldo pomeriggio agostano e alla fine veniamo premiati dall’aria condizionata del Super Store. Compriamo di tutto, più di quanto ci serve per la traversata per Lampedusa, perché il gestore del negozio ha detto a Max che ci consegnano la spesa in barca, e quindi ne approfittiamo: birra, vino, olio, scatolame, tutte le cose “pesanti” che in barca stanno per finire.
Consegniamo le buste al “trasportatore” che con nostra sorpresa ci fa salire in macchina con lui e ci porta fino al molo, consigliandoci anche un ristorante per la sera e una gelateria storica di Mazara, lì a pochi passi dalla nostra barca. Altro che il servizio consegne a bordo di Palermo, che voleva perfino la mancia!!
 
Giovedì 14 agosto, Mazara
 
Dormo poco la notte. Sono sempre un po’ agitato e anche questa notte, caldo a parte, non ho chiuso occhio fino all’una e mezza e alle 5,30 sono già sveglio. Rimango a letto, ricontrollo il meteo, poi vado a fare una bella doccia per togliere dalla pelle il sudore della notte. Anche Roberta e Max vanno a fare una doccia ristoratrice prima di mollare gli ormeggi e uscire diretti a sud, verso le Isole Pelagie. Lo stretto di Sicilia è una via d’acqua trafficatissima. È il collegamento diretto tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale, tra Gibilterra e Suez, e petroliere e portacontainer lo attraversano di continuo. Sulle carte nautiche non sono segnati canali riservati al traffico commerciale, come avviene in altri mari, ad esempio in Adriatico, ma sicuramente le navi percorrono la linea retta più breve, quindi a nord di Pantelleria, e fra Malta e Capo Passero, in Sicilia. Lampedusa dista da Mazara circa 130 nm, in direzione sud, ma per evitare di entrare nelle acque territoriali tunisine teniamo un rotta leggermente più a est. Non c’è vento, solo un po’ di aria che aggiunge una leggera spinta alla navigazione a motore. Il vento lo avremo solo stanotte - quando saremo a 30-40 miglia da Lampedusa - per il momento di godiamo il mare calmo e deserto, cercando di avvistare le navi che sicuramente incroceremo. 

Roberta al timone
nei pressi di Capo Grecale


La prima che vediamo è una porta container, un po’ invisibile nelle foschia dell’orizzonte. Poco dopo una seconda, in direzione opposta, di quelle navi con tre silos sul ponte, che ho già visto altre volte, ma che non so cosa trasporti. Subito dopo una terza nave, tutte in contemporanea, e speriamo che non sia così tutto il giorno, perché c’è da stare in allerta a controllare le rotte e le distanze. Siamo proprio con la bussola in mano a fare “la guardia” quando avvistiamo due delfini che dirigono verso di noi. Abbandoniamo immediatamente le nostre “mansioni”, lasciando al pilota automatico la guida della barca, e ci precipitiamo a prua a guardare queste due stenelle, a fotografarle e a goderci lo spettacolo della loro sontuosa nuotata.
Al tramonto siamo appena oltre Pantelleria, e da qui in poi non dovremmo più incontrare navi; oltretutto in questo periodo c’è il fermo pesca, per cui non ci saranno nemmeno pescherecci in giro. Ceniamo con un “apericena” di olive, formaggio, pane e prosecco e ci prepariamo per la notte. La luna sorge tardi stasera; è in fase calante, e solo verso le undici di sera comincia a mostrare la sua mezza faccia, prima arancione, poi bianchissima. Venere e Marte sorgono più avanti nella notte, quando sono in cuccetta per il mio turno di riposo.
Da un paio d’ore è arrivato il maestrale, ma è troppo leggero per spegnere il motore. È solo alle tre di notte che il vento è sufficientemente forte da farci andare solo a vela. Si corre anche a sette nodi, ed è una bellissima navigazione al traverso. Linosa non si vede ancora, il suo faro lo avvistiamo solo a 15 miglia dalla sua costa. Per cinque ore veleggiamo così, poi il vento cala ma ci porta ugualmente fino a Lampedusa. Passiamo Capo Grecale con la luce del giorno, doppiamo Punta Sottile e mentre il traghetto della Siremar entra in porto, noi caliamo l’ancora a Cala Guitgia, nella baia dall’acqua turchese, di fronte alla città.

Porto Nuovo a Lampedusa

Lampedusa
 
Al porto di Lampedusa ci entriamo con Ev, io e Max, mentre Roberta è rimasta in barca a riposare. Fare i turni la notte scombussola i bioritmi del sonno e anche se ci si addormenta di giorno non si riposa alla stessa maniera. Lasciamo il dinghi su un pontile a ridosso del molo Favolaro, quello dove sbarcano i migranti, e andiamo alla ricerca del solito pontile “Marina” per capire se c’è possibilità di fermarsi una notte. Facciamo il periplo del porto, quello nuovo e quello vecchio, e raggiungiamo questo singolo pontile dal nome pomposo “Mare Blu Yachting”. Ci accoglie un signore rumeno, molto gioviale e spiritoso, che pur dicendoci che non ha posto per la notte ci suggerisce però di venire lì la mattina, e per qualche ora possiamo stare all’ormeggio, fare acqua se ci occorre, lasciare i rifiuti e andare a fare la spesa. Perfetto, è quello che desideravamo e ritorniamo in barca un po’ più sollevati per aver risolto la parte logistica che al momento più ci premeva.

Cala Guitgia al tramonto

La spiaggia di Cala Guitgia è piena di bagnanti; sotto gli ombrelloni si beve, si mangia, si chiacchiera e si ascolta musica. Musica che arriva a tutto volume, diffusa da potenti altoparlanti piazzati direttamente sugli scogli, dove è stata anche costruita una pista da discoteca, e dove decine di persone ballano al ritmo di tarantelle siciliane, le stesse che ascoltavo da ragazzino sui pullman delle gite domenicali: uno strazio, allora come adesso! 
Il mare è pieno di gente che nuota o che fa snorkeling. Le barche turistiche entrano ed escono continuamente dal porto, raggiungendo le tante baie della costa sud dell’isola, dalla più famosa Spiaggia dei conigli, alla Tabaccara, a Cala Pulcino. C’è anche l’immancabile “nave dei pirati” stipata di persone affacciate alle impavesate, pronte a consumare il proprio aperitivo al tramonto, come recitano i cartelli turistici esposti lungo il molo del porto nuovo. È il week end di ferragosto, e questi tre giorni sono da sempre il culmine dell’estate, il momento di massima ressa in ogni luogo d’Italia e non solo.
Cala la sera e la spiaggia si svuota; si accendono le luci nella discoteca a Punta Guitgia, ma siamo troppo stanchi anche per accorgercene, e sprofondiamo tutti sottocoperta cercando il giusto riposo.
 
Migranti
 
Pochi giorni fa c’è stato un altro naufragio di una barca di migranti. Sono morti in tanti, anche stavolta, a poche ore da Lampedusa, dalla porta d’Europa e dalla salvezza. Non si può non pensare ai migranti e alle loro vite spezzate quando si arriva in quest’isola. Ieri abbiamo visto in porto la nave Aurora Sar di Sea Watch. È stata in missione poco prima di ferragosto, verso la Libia, e sono rientrati in porto dopo aver fatto un altro salvataggio. È così ogni giorno, ogni volta che il mare permette ai migranti di mettersi in viaggio, dalla Libia o dalla Tunisia. Le motovedette della Guardia Costiera stazionano davanti alle coste sud di Lampedusa, sono visibilissime da terra, ma non vanno molto più al largo, dove potrebbero intercettare qualche barca in difficoltà e salvare più vite umane. Ci vanno solo se ricevono una chiamata di soccorso, come abbiamo sentito anche noi sul VHF di bordo mentre navigavamo verso sud: una barca di migranti che chiedeva aiuto a Circomare Lampedusa, che rispondeva chiedendo la loro posizione. Ho anche controllato sulla carta nautica ed erano solo a cinque miglia dalla costa. Presumo che siano riusciti a raggiungerli e salvarli, ma di queste notizie non si trova traccia nella stampa, quindi non so.

La Porta d'Europa

L’altra sera abbiamo notato anche tanto movimento in porto. Al molo Favolaro, dove ci sono due container della Croce Rossa, c’erano diverse ambulanze e pulmini, oltre ai mezzi della polizia. Erano in attesa di uno dei grandi gommoni della CP che rientrava. A prua si intravvedevano in controluce tante teste di persone sedute sul ponte, e infatti poco dopo si accendevano anche i lampeggianti che trasferiscono i migranti lontano dal paese, lontano da tutti, nel centro a loro dedicato che si trova dall’altra parte dell’isola. È così, i due mondi non si incontrano, non si devono incontrare, da un lato i turisti e dall’altro i migranti. Non deve essere facile vivere questa situazione per gli stessi abitanti dell’isola, di sicuro tanti lampedusani si saranno interrogati su cosa e come fare per non subire questa schizofrenia estiva, o forse anche no, sicuramente non tutti.

Il giardino dei giusti
a Lampedusa

La mattina dopo il molo dove attracca il traghetto è pieno di persone in fila per salirci sopra. Una lunga fila ordinata, molto numerosa, sembrano turisti in procinto di lasciare l’isola, ma solo guardando meglio ci siamo accorti che sono migranti che vengono portati a terra, a Porto Empedocle, e poi ad altre destinazioni. E a terra ci vanno anche le bare con dentro i corpi di chi in mare ha trovato la morte, ma è stato ritrovato e portato sull’isola. Non può stare qui, i parenti ne reclamano i corpi, ammesso che si sappia chi è il deceduto. Qualche anno fa ho letto un bellissimo e tristissimo libro di Cristina Cattaneo, medico legale che nel 2016 lavorò intensamente per mesi e mesi allo scopo di dare un nome a tutti i morti del naufragio del 18 aprile del 2015, nel quale morirono oltre mille persone, stipate all’inverosimile dentro un peschereccio di 20 metri. Quello del riconoscimenti dei corpi o dell’impossibilità del riconoscimento dei corpi dei propri cari è una delle cose più strazianti per chi è ferito da una simile tragedia, e anche se a prima vista può sembrare superfluo occuparsi così intensamente e attivamente di persone decedute la cui identità è difficilissima da provare, ci si rende presto conto che questa cosa è di primaria importanza, per tutti, anche per noi.
 
Lunedì 18 agosto
 
Forse oggi è il giorno buono per provare a noleggiare un mezzo per poter girare l’isola. Qui non esiste il noleggio per un giorno, ma solo a settimane intere, o almeno tre o quattro giorni. Preferiscono lasciare il mezzo lì, fino al pomeriggio piuttosto che rischiare di noleggiarlo per un solo giorno. E questo vale per qualsiasi mezzo, scooter, auto o bici che siano. Max si mette al telefono fin dalle 8,30 e dopo qualche chiamata andata a vuoto trova un noleggiatore in aeroporto che ha due scooter. Saliamo su Ev, raggiungiamo il pontile di Petru, così si chiama il nostro “amico” rumeno, e quando gli chiedo a che ora è meglio che venga domattina resta un po’ interdetto, come se non sapesse di cosa parlo. Gli ricordo la nostra conversazione, e allora gli viene in mente tutto, ma contrariamente a quanto aveva promesso, non è tutto gratuito, anzi vuole 50 € per stare lì tre ore. “Sai, non è per me, ma il padrone chiede così, perché la spazzatura costa e lui la paga”. Ma come, non era lui stesso il padrone? Ora salta fuori che c’è un altro, e onestamente devo dire che sono stato fesso a non pensarlo fin da subito che non poteva essere lui, un emigrato romeno e anche giovane, il proprietario di un pontile che chiede 200€ a notte per una barca piccola come la mia. Indispettiti e rassegnati andiamo al nostro affitta scooter e anche qui una bella fregatura: gli scooter sono vecchissimi e sporchi, il mio addirittura ha una fascetta da elettricista che tiene assieme il cruscotto, altrimenti penso che si staccherebbe dal resto; sellino tagliato, bauletto senza chiave, e un casco inguardabile, più adatto ad una bici che ad una moto. Per fortuna ha le cuffiette igieniche da mettere sulla testa, ne prendo una manciata, che non si sa mai.


Andiamo dal benzinaio per fare il pieno e ci mettiamo in coda, una lunga coda dovuta alla mancanza di corrente elettrica che ha paralizzato l’isola. Una signora lampedusana, anche lei in fila con lo scooter mi dice che d’estate, con l’enorme afflusso di turisti, la corrente salta spesso, mentre d’inverno non ci sono mai problemi. Ci armiamo di pazienza e aspettiamo mezz’ora buona. Poi finalmente via, a scoprire l’isola.
Andiamo al faro di ponente, poi a Cala Pulcino, bellissima ma piena come un uovo di persone a piedi come noi e di barche turistiche, che murano letteralmente la baia da un promontorio all’altro, coprendo del tutto l’orizzonte. Per fortuna la scogliera è bella e il mare pullula di pesci; c’è anche una lunga e profonda grotta, dentro la quale ci rifugiamo per un po’.
Continuiamo a girare l’isola per tutto il pomeriggio, affacciandoci dalle alte scogliere della costa nord, andando a Faro di Capo Grecale, fino a vedere dall’alto le Spiagge della Tabaccara e dei Conigli, bellissime ma anche qui decine di barche alla fonda e centinaia di persone in spiaggia. Overturism? Così è.
 
Martedì 19 agosto, Cala Pisana
 
In barba a Petru e alle sue richieste esose, ci accostiamo al benzinaio e facciamo acqua lì da lui, senza pagare un centesimo. Max e Roberta scendono a terra tranquillamente e si dirigono al loro B&B mentre io vado a Cala Pisana, dove passerò questi due giorni riparato dal mare di scirocco, in attesa che arrivino Jak e il suo amico.
A Cala Pisana non ci sono barche, mi metto al centro della baia e calo l’àncora sulla sabbia, più vicino possibile al lato sud, in modo da sfruttare tutto lo spazio possibile per dare catena in attesa del vento forte di domani sera. Sistemo un po’ la mia cabina, tolgo dal mezzo un bel po’ di panni sporchi che da due settimane sto accumulando, e poi vado a terra con Ev. Non uso il motore, perché la spiaggia è piena di gente che fa il bagno e non voglio infastidire con il rumore e la puzza di un motore a scoppio. A remi si va benissimo, e mi fermo in un punto della banchina pubblica dove un paio di ragazzine mi guardano incuriosite. Lego Ev ad una grossa trave di legno che fungeva da parabordo per pescherecci e salgo su questa banchina lastricata e lucida, totalmente ricoperta degli asciugamani dei bagnanti. So di essere osservato come un extra-terrestre, tutto vestito, con un sacco in spalla pieno di rifiuti (loro però non lo sanno) gli occhiali da sole con la cordicella e una barba lunga da dieci giorni.

Alla fonda a Cala Pisana

Scarico il mio tubolare nei comodi cestini della differenziata e mi incammino verso il centro, verso una gelateria dove pranzare con una bella brioche col gelato, come non facevo da Palermo. Max mi raggiunge per un ultimo saluto, Roberta è rimasta in camera, coccolata dall’aria condizionata che rende più sopportabile la permanenza a terra, senza la brezza di mare.
La serata a Cala Pisana passa bene, non troppo vento, silenzio totale, sono da solo, io la barca, la banchina illuminata e la centrale elettrica sullo sfondo, che non fa nemmeno tanto rumore.
Da domani inizia una nuova avventura, verso al Sicilia.

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