05 - Le sette sorelle
Pur conoscendole da sempre, fino a oggi non ero mai riuscito ad imparare a memoria i nomi di queste sette isole. Vulcano, Lipari e Salina sono le tre più vicine fra loro, e quelle con la maggior presenza di turisti, a terra o in barca. A ovest di Salina ci sono Filicudi e Alicudi, mentre a nord est di Salina c’è Panarea e per ultima Stromboli, la più lontana. Vi sono poi altre piccole isole, attorno a Panarea, come Basiluzzo o Dattilo, ma sono molto piccole e disabitate. Abbiamo intenzione di vederle tutte e sette, ma non so se ci riusciremo.
Lasciata Vulcano torniamo verso Lipari, fermandoci a Cugno Lungo, una piccola insenatura sulla costa ovest dell’isola, con le pareti a picco e belle e grandi grotte marine. Come in tutte le baie qui alle Eolie, di giorno si fa fatica a trovare un buco dove fermarsi all'àncora - per di più oggi è domenica - ma la sera spariscono tutti e si rimane quasi da soli.
Lunedì 14 luglio, Salina
Mi sono svegliato alle 6,30, come spesso mi accade in questa vacanza. Il mare è perfettamente calmo. Preparo la macchinetta del caffè e la lascio sul fornello, pronta per quando anche Lella si sveglierà. Nelle altre due barche che sono rimaste per la notte tutti dormono, almeno apparentemente. Esco dal pozzetto e mi metto in piedi sulla spiaggetta di poppa, a guardare il mare e le grotte. Poi mi tuffo, l’acqua fresca scorre da una parte all’altra del corpo mentre nuoto sott’acqua; le bolle d’aria escono dal naso e lentamente riguadagno la superfice del mare. È meraviglioso tuffarsi in acqua la mattina presto appena svegli. Faccio una nuotata, raggiungo la parete sotto la quale siamo ancorati, ed entro in una delle grotte. È buio, silenzio, si vede a malapena sott’acqua la luce riflessa dal soffitto. La risacca del mare rimbomba nel vuoto della grotta e il suono si amplifica. Pochi pesci si muovono fra i sassi del fondo, ieri ce n’erano molti di più, forse dormono ancora. Un granchio sta mangiucchiando, portandosi rapidamente le chele alla bocca; arrivano anche alcune piccole castagnole, pesciolini bruni che si incontrano sempre in grandi quantità, poi un sarago, un gruppetto di salpe, alcune occhiate... il mare si sta risvegliando.
Lipari, baia di Cugno lungo |
Il profumo del caffè dalla dinette sale fino in pozzetto, Salina è ad appena un’ora di barca da noi. Facciamo colazione e partiamo. Puntiamo dritti su Santa Marina Salina, uno dei tre centri abitati dell’isola, sulla sua costa orientale. Davanti al porto c’è una grande zona sabbiosa e poco profonda dove è possibile sostare all’àncora, e ci fermiamo proprio lì, prendendo il posto di un catamarano che è appena andato via.
Scendiamo in città con il fido Ev, fermandoci su un pontile turistico deserto e dall’aria abbandonata. La piazza principale di Salina si raggiunge alla fine della lunga passerella coperta che costeggia l’imbarco dei traghetti. C’è anche una piccola banchina di ormeggio pubblico, da usare calando l’ancora a prua, ma bisogna stare molto attenti alla risacca causata dagli aliscafi, che rischiano di spingerti contro il duro cemento e di danneggiare la poppa della barca.
Le via principale di Santa Marina corre parallela al lungomare, solo una decina di metri più in alto. Piena di negozi, come è ovvio che sia, e senza neanche cercarlo, ci troviamo di fronte “Boutique artigianato, nautica e abbigliamento”, con esposte in una rastrelliera a fianco della porta d’ingresso, delle belle e serie scarpe da trekking. Se vogliamo fare il sentiero della Fossa delle Felci, oppure se vogliamo salire in cima a Stromboli, non abbiamo altra scelta che comprare un nuovo paio di scarpe. E così è, con soddisfazione di Lella e di Felicia, la signora proprietaria del negozio che da sessant’anni lavora lì e la cui unica vera passione, a suo dire, è fare delle chiacchiere con i clienti.
Terminiamo il primo giretto a Salina con una dissetante “combinazione”, acqua e granita di limone, presa al chiosco della piazza e rientriamo in barca con il fido Ev.
L’area di ancoraggio si è intanto un bel po’ riempita, sono andate via alcune barche ma ne sono arrivate molte di più a ripararsi sotto le alte pareti di Salina, in previsione di questi due giorni di vento da nord ovest abbastanza intenso. La nostra àncora è saldamente piantata nella sabbia, e quasi non si vede più. Meglio così, visto che domani lasceremo Eleftheria incustodita per almeno mezza giornata, andando a fare la terza camminata per le alture eoliane.
La Fossa delle Felci
A Salina vi sono due grandi vulcani, ormai spenti da moltissimo tempo e ricoperti di boschi e vegetazione. La Fossa delle Felci è il più alto, 960 metri circa. Diversi sentieri risalgono le sue pendici, e uno di questi parte proprio da Santa Marina. Abbiamo preso un dépliant al Centro informazioni turistiche – molto sgangherato e poco informato - con la cartina dei sentieri e la descrizione delle numerose emergenze botaniche che si incontrano lungo il percorso. Peccato che i dépliant disponibili siano solo in tedesco, unica lingua tra quelle europee più comuni che ci manca totalmente. Lasciamo Ev in porto, questa volta legato ad un pontile interno, tutto con approdi numerati e con altre barche ormeggiate. Ne scegliamo uno vuoto, ce ne sono tanti, e messo piede a terra ci incamminiamo lungo le stradine molto ripide che conducono all’attacco del sentiero. Dopo le ultime case si imbocca una strada polverosa segnalata da un cartello con la scritta: “Sentiero 4 – percorso impegnativo”. Abbiamo nello zaino due litri d’acqua, un pezzo di pane e una briosce, dovremmo farcela.
Finita la strada polverosa inizia un tratto molto verticale, facilitato dalla presenza di numerosi gradini costruiti con il solito sistema dei due paletti conficcati nel terreno su cui poggiano altri due o tre paletti orizzontali. Continuiamo a salire nel bosco alternando tratti di scalini a tratti di sentiero. Siamo soli, ma non c’è da meravigliarsi, qui i turisti vengono per il mare, non certo per la montagna! Il sentiero continua molto ripido e sempre con lunghi tratti di scalini, abbastanza faticosi.
Dopo un’ora di cammino siamo sempre su questa maledetta scalinata, che sembra non voglia terminare mai. Facciamo una breve sosta per bere un po’ d’acqua e incontriamo una ragazza che scende giù dal sentiero, quasi saltellando da un gradino all’altro, tutta sudata e con una cuffia da cui si sente vagamente della musica. Deve essere partita stamattina molto presto, penso, per essere già sulla via del ritorno. Ricominciamo a salire, una rampa dopo l’altra, senza ormai nessun tratto semi orizzontale. Il primo litro d’acqua è finito. La mia maglietta è talmente intrisa di sudore che debbo strizzarla per avere meno peso addosso. Sarei dovuto salire in mutande e lasciare le maglietta asciutta nello zaino, ma ormai è tardi. I gradini sono infiniti. Alcuni sono alti, che devi spingere con la mano sul ginocchio per aiutarti; altri sono lunghi, che devi fare il passo del cavallo per superarli. Ne avremo fatti mille, forse duemila, diecimila, non lo so più. Dopo due ore e mezza di salita, sempre dritta come una fucilata, raggiungiamo la vetta, o meglio il bordo di quello che una volta era un cratere e che oggi è un pianoro ricoperto di alberi e di una fitta vegetazione, in mezzo alla quale primeggiano le felci.
La via del ritorno è sempre più breve, e poi in discesa la fatica è minore, anche se le ginocchia sono messe davvero a dura prova. Raggiungiamo Santa Marina verso l’una, dopo quattro ore di “allegra escursione” fra i boschi. Una cosa è certa: senza i gradini, peraltro ben manutenuti, salire da questo versante non è cosa facile, anzi forse non è proprio possibile.
Rientriamo in porto e ci dirigiamo verso il punto dove abbiamo lasciato Ev. Non si vede ancora ma sappiamo che è lì al sicuro. Ci avviciniamo sempre più e Ev non si vede, sarà più in basso, penso. Guardo con una certa apprensione e finalmente vedo la sua poppa, ma solo in parte. Il vento lo ha spinto sotto le arcate dell’alto pontile a cui è legato, quindi è seminascosto. Quando ci avviciniamo la realtà però è un’altra. Ev è incastrato sotto il pontile, il motore fuoribordo montato a poppa è schiacciato sotto una traversina di cemento ed è tutto sgraffiato. Provo a tirarlo via da lì ma non si muove. Ci monto sopra, premendo contro un tubolare per affondarlo un po’ ma nulla da fare. A fatica riesco a far uscire da sotto il cemento la barra del timone e libero in parte il fuoribordo. Mi tolgo le scarpe, la maglietta, i pantaloncini e in mutande entro in acqua. Lella mi guada preoccupata e impotente. Mi caccio sotto il pontile, in questa specie di cubicolo non più alto di cinquanta centimetri e largo appena un metro e mezzo. Mi puntello contro un sasso sul fondo e spingo, ma non riesco a fare forza. Da sopra Lella preme sui tubolari, ma Ev non si muove. Cambio tecnica. Mi sposto lateralmente, punto i piedi sul uno dei piloni del pontile e ogni volta che l’onda si abbassa, do uno strattone laterale. Guadagno qualche centimetro, spostando lentamente la prua a destra e a sinistra. Aspetto che l’onda scenda per smuoverlo ulteriormente e faccio dei progressi. Guardo il soffitto sopra la mia testa e penso che se arriva un’onda più forte delle altre dovrò trattenere il fiato a lungo se non voglio fare la fine del topo. Si muove, la prua adesso è quasi fuori, tiro con forza un’ultima volta e quasi rimbalzando sull’acqua Ev salta via dal suo innaturale rifugio.
Esco anch’io, mi arrampico sul tubolare e vado a controllare se ci sono problemi al motore. Sarà sicuramente ingolfato, ma dopo alcuni tiri di cordicella si mette in moto. Che sofferenza, credevo di non farcela. Torniamo in barca stremati.
Panarea
Oggi lasciamo Salina, la bella Salina, ed andiamo a vedere come è fatta Panarea, l’isola della mondanità, l’isola dei vip, come dicono. Dista solo un paio d’ore di navigazione, una dozzina di miglia, ed il posto da tutti indicato come il migliore per fermarsi è Cala Milazzese, sulla costa sud orientale. È una grande baia sabbiosa, non molto profonda, e per questo è la meta prediletta di tutti i diportisti. Al nostro arrivo c’è già il pienone, ma riusciamo a sistemarci tra un Dufour 44 vecchio modello e un enorme e elegante caicco bianco, a non molti metri dal suo lungo bompresso.
Per il momento è il massimo di spazio che sono riuscito a rimediare, poi magari ci sposteremo altrove, se qualcuno va via.
Nel pomeriggio mettiamo in acqua Ev e raggiungiamo la spiaggia. Da lì al paese ci sono circa venti minuti di camminata su per una stradina molto piccola, che sembra ricavata a stento tra le case. È letteralmente solcata da piccoli veicoli elettrici, come quelli che si vedono nei campi da golf, con la scritta “taxi”, che vanno in su e in giù tra questa spiaggia e il centro del paese. Raggiungiamo le prime case, tutte bianche, con muri bianchi, finestre blu o gialle appena ridipinte, e bei vasi di ceramica in cima ai muretti. Lunghi vialetti, bordati da cordoli bianchi e decorati con qualche piastrella di ceramica disposta in diagonale, portano alla casa nascosta alla vista degli altri. In corrispondenza dei cancelli d’ingresso, sopra il pilastrino che li regge, la classica piastrella con dipinto il nome della casa, o villa che sia: “La casa nella roccia”, ed infatti la casa sorge accanto ad un costone di basalto; “il portoncino blu”, e in effetti il portone d’ingresso è di un bel blu forte e luminoso; “la casa degli ulivi”, e manco a dirlo tutto attorno al giardino che protegge da sguardi indiscreti si attorcigliano fantastici e stanchi ulivi secolari; “Giacomo e Giulia” e qui il riferimento è poco significativo, ma sotto traccia si legge lo stesso spirito delle altre case. Mi sembra di essere dentro un fumetto di Walt Disney, in una città immaginaria, tipo Paperopoli!
Altre case, invece, sono dei negozi di abbigliamento, alimentari, gelateria, ma si fa fatica a distinguerle dalle altre, tanto sono “discrete”.
Giunti al centro del paese, che come sempre corrisponde al lungomare e alla piazza davanti all’arrivo dei traghetti, c’è un po’ più di vita, perché fino ad adesso quasi non avevamo incontrato anima viva. Ci fermiamo al molo del traghetto e immediatamente il pensiero corre a “Caro Diario” e a Nanni Moretti, perché anche noi abbiamo lo stesso identico senso di soffocamento e desiderio di fuga immediata.
Torniamo verso la spiaggia, rifacendo le stesse stradine dell’andata, e incontrando i villeggianti di rientro dal mare. Ci guardano in modo un po’ strano, con dei sorrisi quasi di ammirazione, e non capiamo perché. Ipotizziamo che sia a causa delle magliette di “Mediterranea”, che casualmente indossiamo entrambi, e che quindi conoscendo l’attività dell’associazione pensano che ne facciamo parte, e allora ci sorridono per approvazione del nostro operato!
- Siete qui per la tartaruga? - ci apostrofa un tizio anche lui in costume da bagno e borsa da mare a tracolla.
- Quale tartaruga?
- Quella che c’è in spiaggia. È venuta anche ieri, ma non ha deposto le uova.
- No, non sappiamo nulla della tartaruga
- Adesso hanno recintato tutto – continua il tizio, spalleggiato dalla moglie – per impedire che venga molestata. Forse stanotte viene a terra di nuovo.
- Noi siamo in barca – rispondiamo, anche se questo non significa nulla – ma andiamo a vedere com’è giù.
Facciamo altri due passi ed un’altra coppia ci fa la stessa domanda “Siete qui per la tartaruga?” Ci verrebbe da rispondere sì, ma rimaniamo seri e onesti.
Altro che conoscenza e condivisione, sono tutti totalmente ignoranti di cosa sia Mediterranea! E pensare che quando a Siracusa Lella ha sentito due tizi che alludendo alla maglietta e parlando fra loro dicevano: “Chisti su chiddi ca sabbanu i niuri” (trad.” questi sono quelli che salvano i neri) si era meravigliata per la superficialità della considerazione, mi vien da dire che almeno i due siracusani sapevano di cosa parlavano.
Giovedì 17 luglio
La respingente Panarea l’abbandoniamo la mattina seguente. Facciamo il giro completo dell’isola alla ricerca di una baia per fare un bagno, ma c’è troppa onda e la costa ovest è impraticabile. Gli isolotti attorno a Dattilo, Lisca bianca e Lisca nera, sono invece circondati da decine di barche, tutte ammassate una sull’altra. Non ha senso fare del turismo in barca in questo modo, meglio andar via. Stromboli è a sole dieci miglia. È l’isola più lontana e il vulcano più attivo di tutto l’arcipelago. Non si può non vedere e nello stesso tempo non abbiamo voglia di andarci. Mettiamo la prua a ovest e torniamo verso Salina, ma solo per passarci la notte, verso Capo Faro, dove diamo àncora di fronte ad uno spiaggione anonimo battuto dal vento. Da domani ci dovrebbero essere tre giorni di calma assoluta, l’ideale per andare a Filicudi e Alicudi.
La sera siamo salutati da Salina con dei magnifici fuochi d’artificio che illuminano i cielo sopra Santa Marina.
Filicudi
Quando siamo a sole due miglia da Pecorini, il paese sulla costa sud di Filicudi, una grande e lunga onda quasi oceanica ci viene incontro lentamente. È il risultato di venti molto forti che hanno soffiato nei giorni scorsi dalla Sardegna alla Sicilia e in tutto il Tirreno centrale. Fermarsi a Pecorini è impossibile. Stiamo per tornare indietro a Salina, ma per toglierci la curiosità di vedere com’è la baia davanti al paese di Filicudi, doppiamo Capo Graziano e ci dirigiamo verso Filicudi porto. Qui non c’è più onda forte, ci sono alcune barche alla fonda e c’è spazio anche per noi. Lentamente il mare si sta calmando e l’acqua trasparentissima fa intravedere un bel fondale da “esplorare” con maschera e pinne. Prima di sera molte barche vanno via, rimaniamo in pochi a dormire a Filicudi, e molto lontani gli uni dagli altri. Altro che l’affollamento di Panarea!
Sabato 19 luglio, Filicudi
Ev è il nostro cordone ombelicale con la terra ferma, senza di lui saremmo praticamente confinati in mezzo al mare. L’altro ieri abbiamo anche dovuto fare una seria manutenzione al suo motore fuoribordo, perché va bene che ci sono i remi, ma senza motore si fa poca strada, soprattutto quando c’è un po’ di vento o di mare mosso.
Filicudi porto è un centro piccolissimo, con poche case e qualche negozio sul lungomare, la farmacia, un ristorante, il molo dei traghetti e il bar pasticceria dell’imbarco, con tanto di edicola e negozio di souvenir. Nella parte alta del paese, che si raggiunge anche attraverso una mulattiera, vi sono molte case per turisti, e qualche altro ristorante. Pare che stia diventando molto di moda in questi ultimi anni, al punto che qualcuno dice che possa essere la prossima “Panarea”. Spero proprio di no, perché la tranquillità che abbiamo trovato qui non l’abbiamo vista in nessun’altra isola. Passiamo la giornata a fare bagni e a prendere il sole. Molti pesci, e anche molto grandi. Ma la sorpresa maggiore è stata quando abbiamo visto una bellissima lepre di mare, un nudibranco grande una trentina di centimetri, che veleggiava lentamente sopra uno scoglio a pochi metri di profondità.
Poi la sera facciamo un bel giretto su a Capo Graziano, a vedere i resti del villaggio neolitico.
Questa mattina sono arrivate altre due barche a farci compagnia; una di queste si chiama Amica, ed era con noi a Vulcano, una settimana fa. L’altra invece era a Panarea, e me la ricordo bene perché teneva spesso il motore acceso per caricare le batterie. Anche stasera sta facendo la stessa cosa, ed è una vera iattura avere nelle orecchie il continuo rumore di un motore acceso. Ma dico io, un bel pannello solare non è la soluzione giusta per tenere le batterie sempre efficienti? Lella è ancora più arrabbiata di me e non si trattiene, facendosi sentire da questo molesto diportista. Non so se per pura coincidenza o se perché ha davvero sentito le parole di rimostranza di Lella, ma un secondo dopo il motore si spegne e torna il tanto agognato silenzio.
Domenica 20 luglio
Sempre mare calmo, sempre acqua trasparente. È un dispiacere andar via da Filicudi, ma fra un paio di giorni dobbiamo lasciare le Eolie per Cefalù, dove abbiamo già prenotato un posto per la notte, e poi abbiamo quasi finito le scorte d’acqua dolce, e l’unico posto dove potersi rifornire pare sia Lipari, o almeno così dice il nostro vecchissimo portolano. Torniamo a Salina, per raggiungere la baia di Pollara, che pare sia la più bella dell’isola. Sarà anche la più bella ma sicuramente è anche la più affollata che vi sia! Vi sono talmente tante barche che sembra di essere in un marina e non in una baia. Facciamo un tuffo, più per dovere che per piacere, visto che siamo qui, e il fondale, quasi interamente di sabbia e sassi, è una vera delusione. L’unica cosa bella è la grandiosa parete a picco sul mare, con una torre di guardia in cima, resa famosa anche dal film “Il Postino”.
Ci rimettiamo in marcia, raggiungiamo Rinella, insignificante cittadina, vista dal mare, e poi torniamo a Lipari, a Cugno Lungo, dove cerchiamo di passare una notte un po’ riparati dal vento, e soprattutto dal mare, che stasera pare non voglia saperne di fermarsi un po’.
Martedì 22 luglio
Siamo a Lipari, ormeggiati su un pontile galleggiante allestito da qualche anno in uno storico sito dell’isola, il Porto delle Genti. Una piccola spiaggia di sabbia nera è stata ripristinata di recente, così ci dice il gestore del pontile, e da allora la risacca è sparita. Non oso pensare come doveva essere prima, perché in questo momento le onde causate dal continuo vai e vieni dei traghetti e dei barconi turistici rende la vita in barca impossibile. Ma dopo dodici giorni in mare la barca è ricoperta di sale, noi anche e abbiamo bisogno di una bella lavata con acqua dolce entrambi, e pazienza se prendiamo degli strattoni ogni tot minuti, sopravviveremo.
Passeggiamo di nuovo per Lipari e come spesso accade quando si torna in un posto sembra di conoscerlo da sempre; ricordiamo i nomi delle strade, i vicoli, i giardini che ci hanno incuriosito, i negozi e i supermercati dove ci siamo fermati a far spesa. Torniamo anche al Castello, a rivedere la mostra dentro la chiesa, gustiamo un’ottima granita di gelsi, la migliore fino ad oggi (la peggiore è stata quella di mandorle a Panarea, praticamente un’orzata ghiacciata), e compriamo anche qualche souvenir.
L’ultima cena prima di lasciare le Eolie sarà a base di pesce, e non in un ristorante, ma nella nostra care Eleftheria, e con un buon merluzzo preparato da Lella con aglio, olive nere, capperi e pomodorini.
Prosit!
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