04 - Terre nere
Secondo me sono tre le cose che più di ogni altre segnano la costa orientale della Sicilia: il profilo dell’Etna, il petrolchimico di Priolo e la Rocca di Taormina. L’Etna, onnipresente, ci accompagna fumante nella navigazione verso nord, verso lo Stretto. Lasciate le ultime case della periferia di Siracusa, palazzoni anonimi che sovrastano le belle scogliere di calcare, ecco che appare ai nostri occhi quella città di tubi e di cisterne che altro non è che il petrolchimico.
Una zona molto estesa, tra Siracusa e Augusta, a ridosso dei comuni di Melilli e Priolo. Poi la rada di Augusta, con le enormi petroliere pronte a imbarcare o sbarcare greggio, sempre sotto l’occhio vigile della Muntagna. E infine, dopo dieci lunghe ore di motore, in una domenica senza un filo di vento, abbiamo calato l’ancora sotto la bellissima e suggestiva Rocca di Taormina, in una baia dall’acqua piacevolmente azzurra.
Azzurra sì, ma stravolta, ondosa, pizzuta, agitata, spruzzante e sciabordante, per colpa di barchini, motoscafi e moto d’acqua, guidati a tutta velocita da comandanti e piloti poco rispettosi degli altri naviganti, e men che meno delle barche ferme alla fonda. Anche due anni fa, fermandoci in questa baia, avevamo avuto la stessa sgradevole esperienza. Quando cala la sera e tutti sono tornati alle proprie case e ai propri porti, sotto le pareti a picco della baia regna il silenzio, interrotto brevemente e con discrezione dagli annunci dei treni in arrivo e partenza dalla stazione di Naxos.
Lunedì 7 luglio, da Taormina alle Eolie
Ieri abbiamo fatto quasi 50 miglia di navigazione, e se oggi vogliamo arrivare a Milazzo ne dobbiamo fare dieci di più, altre 57 per l’esattezza. Così ho puntato la sveglia alle 6,30 ma già da un’ora sono sveglio, e da mezz’ora stiamo risalendo la costa messinese che ci porterà allo Stretto. Da un paio di giorni sto monitorando vento e correnti per essere sicuro di passare col miglior tempo possibile. Tra corrente e controcorrente non dovremmo patire più di tanto, e se raggiungiamo Punta Pezza, sulla costa calabra, verso le 12 avremo anche tre nodi di corrente a favore. Il vento per adesso è assente, dovrebbe aumentare a metà mattinata con raffiche molto forti, ma nulla di preoccupante, solo raffiche. Per il momento ci godiamo il sole del mattino, facendo colazione in pozzetto con caffè e biscotti, mentre la barca avanza a 5 nodi.
Tre barche in tutto, tutte a vela, e tutte dirette in Tirreno. Nessun altro, fin quasi a Messina, quando inizia il balletto dei traghetti. Ogni tanto vediamo formarsi sulla superficie del mare una leggera increspatura dell’acqua, come quando una folata di vento raggiunge il mare calmo e lo fa tremolare; una specie di torrente d’acqua, largo appena venti o trenta metri, che scorre sopra il mare, ti viene incontro, ti passa sotto lo scafo, e poi sparisce dietro di te. Per qualche manciata di secondi sembra di essere dentro una gigantesca Jacuzzi, in un delicato e piacevole idromassaggio naturale, poi tutto passa e torna alla normalità.
Pur mantenendo il motore agli stessi giri, alterniamo tratti a 6 nodi di velocità con tratti a 3 nodi; siamo nel pieno dei giochi di corrente, che rimbalzano da una costa all’altra, facendo bollire il mare.
Lasciato Capo Peloro alle nostre spalle apriamo le vele e per qualche miglio torniamo a navigare nel silenzio del vento che ci spinge verso Milazzo. Le Eolie si vedono già, Lipari e Vulcano, le più vicine alla Sicilia; le altre si intravedono nella foschia dell’aria calda pomeridiana, o forse si immaginano soltanto. Sono le due del pomeriggio, altre quattro ore e potremo fare un bel bagno in quelle meravigliose acque azzurre delle isole vulcaniche.
Cala Cannitella, a sud di Vulcano, è piena di barche alla fonda, non c’è posto per noi. Poco male, non ci piace molto questo affollamento. Andiamo oltre la Punta dell’Asino e ci fermiamo in un’altra cala, questa volta con poche barche presenti, il fondo di sabbia (nera) ben visibile, e un bel faro, piccolo e tondo, che si staglia sul promontorio di Gelso, verso occidente. Il lungo trasferimento da Ravenna alle Eolie è terminato; tre settimane in mare per quasi 800 miglia nautiche percorse.
Martedì 8 luglio, Vulcano e Lipari
L’acqua è trasparentissima. Si vede la nostra ancora ferma dietro uno scoglio senza nemmeno bisogno di mettersi la maschera da sub e fare il classico tuffo di controllo. Già ieri sera, nel nostro primo bagno eoliano, avevamo potuto apprezzare la grande visibilità che c’è sott’acqua. Il termometro posto sotto lo scafo segna ben 30.8 gradi di temperatura, è tantissimo per essere appena all’inizio dell’estate. I primi pesci eoliani che vediamo sono delle piccole e meravigliose lecce; poi due grossi pescioni visti da Lella, uno nero e uno argento, che si inseguono a grande velocità, scappando a zig-zag sopra le rocce ricoperte di piccoli e fittissimi ombrellini bianchi. Io vedo anche una gallinella, poggiata sul fondo sabbioso, una decina di metri sotto di me.
A metà mattinata lasciamo la nostra spiaggia ed entriamo nel Porto di Levante di Vulcano. C’è una sottilissima zona di sabbia con profondità di 10-12 metri, dove è possibile calare l’àncora, poi il fondale precipita a 30 metri e oltre. Qui la superficie del mare è stranamente giallastra; non mi sembra possibile che possa essere così sporca e inquinata quando ad appena cinquanta metri è azzurra e trasparente. Lella si tuffa e conferma che c’è uno strato di 20-30 centimetri di colore giallo e poi diventa azzurrissima. Ci guardiamo attorno meglio e capiamo che il giallo altro non è che lo zolfo, abbondante in tutte le rocce dell’isola, nell’aria e perfino sotto il mare. Siamo in zona di fumarole sottomarine, in quella sottile striscia di terra formata dalle eruzioni di Vulcanello, il cratere minore dell’isola, che ha creato questo istmo, e continua in qualche modo a far notare la sua antica presenza.
L’arrivo dell’aliscafo crea scompiglio fra le barche alla fonda come noi, che saltellano sul posto spinte in alto e in basso dall’onda creata dal traghetto. A noi va anche peggio, perché la nostra ancora viene sollevata e staccata dalla sabbia e nel giro di pochi minuti ci troviamo alla deriva verso il centro del porto. Pazienza, stasera abbiamo prenotato un posto in banchina a Lipari, e poi la puzza di zolfo qui non è proprio piacevole. Poche miglia ci separano da Marina Lunga, uno dei due approdi cittadini di Lipari.
Il nostro ormeggio è allo Yacht Harbour - chissà perché questo nome inglese – e appena entrato il baia li chiamo alla radio. Il gommone di servizio dell’ormeggiatore ci viene incontro a tutta velocità.
-Eleftheria?
-Sì
-Follow me - e scappa via a tutta manetta davanti alla nostra prua.
Ma perché ci ha parlato in inglese? Lo seguiamo, ci avviciniamo all’ormeggio, facciamo marcia indietro per avvicinarci al pontile di poppa e mentre sto per accostare si riavvicina il gommone e un ragazzotto giovane, magro e riccioluto sale a bordo con l’intento di dare una mano alla manovra. Mi sembra una cosa strana, non c’è vento, non ho bisogno di aiuti ma tant’è! In banchina c’è un altro uomo, che dà gli ordini; il ragazzotto esegue, prende le cime e le passa al “capo”; poi corre a prua, portandosi dietro la trappa che sistemerà ben salda alle bitte; prima quella sopravento, poi quella sottovento; anche io ricevo degli ordini: “Comandante, un po’ di motore avanti, bene così... basta così.” E poi “Comandante, mettiamo la passerella o scendete con il saltino?”. Guardo Lella, non so cosa preferisce, forse il saltino, ma la barca deve essere molto vicino alla banchina, e con il vento forte che ci aspetta nei prossimi due giorni non è una buona scelta. Pressato dal capo prendo una decisione qualsiasi, tanto poi eventualmente si cambia, e dico forte e chiaro, ma per niente convinto “Passerella!”
Il ragazzotto che era a prua torna in fretta in pozzetto, comincia a sciogliere le cime che legano la passerella alle draglie per poi passarla al “capo”, sempre fermo in banchina a dare ordini. Un po’ per abitudine, un po’ perché non vorrei che facesse dei danni, mi metto in mezzo, prendo io la passerella e la porto fuori bordo. La posiziono sul predellino, balla paurosamente. Cerco di fissarla alla barca con un cordino, ma è molto instabile. Intanto i marineros hanno terminato il lavoro, la barca è ferma. Il “capo” mi chiede di passargli il cavo della corrente e lo collega alla colonnina, chiedendo a Lella di controllare se la corrente c’è. Lella esegue subito, corre sottocoperta e torna annuendo. Poi ultimo avvertimento/consiglio: “l’acqua potete prenderla da questa manichetta gialla, ma non potete fare la doccia in banchina, solo sulla barca”. Quando gli chiedo dove sono i bagni, la risposta è gentile e divertita: nessun marina a Lipari ha bagni e docce!
Resto di sasso, probabilmente la signora con cui ho parlato per telefono quando ho prenotato me lo aveva anche detto, me lo sarò dimenticato.
Quando ci lasciano soli Lella mi dice che lei la passerella non vuole usarla, la barca “sculetta” troppo a causa della risacca. Inizio a modificare le distanze delle varie cime per avvicinare la barca al pontile quando arriva di corsa l’ormeggiatore, quello che stava sul gommone, e mi dice che le cime non devono essere toccate, se voglio cambiarle devo chiamare loro e ci penseranno loro a cambiare il tipo di ormeggio.
Acc.… non mi era mai successa una cosa così, mi sento un po’ in gabbia. L’ultima informazione che mi ha dato, prima di andar via, è che se vogliamo uscire la sera, non c’è alcun problema, ma al ritorno c’è il guardiano notturno che ci accompagnerà alla barca.
Sbigottiti da questo “sistema” facciamo finta di niente cominciamo a mettere a posto le nostre solite cose. Sto montando il tavolino in pozzetto quando l’occhio mi cade sulla bandiera che sventola sul pennone in ingresso del marina: è la bandiera della Decima Flottiglia Mas, con tanto di teschio al centro, una X gigantesca e la scritta in latino memento audere semper. Chiamo Lella e gliela faccio vedere. Ci si raggela il sangue! Siamo finiti in un marina gestito da fascisti, e per giunta quelli della prima ora. Porcaccia miseria, non so cosa fare, mi scoccia tanto dare dei soldi a dei fascisti dichiarati, ma ormai siamo qui e non abbiamo scelta.
Il Castello di Lipari
Non ho comprato una guida delle Eolie, e nemmeno un portolano. Avendo a casa una guida verde della Sicilia e una piccolissima guida turistica delle Eolie del 1976 del mio papà - che amava comprare più guide turistiche di quanti viaggi sia mai riuscito a fare - ho pensato di avere sufficienti informazioni, da abbinare ai numerosi siti internet nei quali si trova di tutto e di più. Eppure che il Castello di Lipari fosse una fortezza meritevole di una visita accurata non lo immaginavo. In cima al centro storico della città, salendo le ripide strade che partono dal corso principale, si arriva di fronte ai bastioni cinquecenteschi strapiombanti sul mare.
Le mura medievali racchiudono l’antica acropoli, e gli scavi eseguiti negli anni cinquanta hanno portato alla luce l’antico insediamento neolitico e successivamente la città greca, con i resti dei templi di Efesto e di Eolo. Ma dentro i castello vi sono anche numerosi altri edifici, piccole palazzine dove oggi si trova il museo archeologico. Anche due chiese, con facciate barocche, non belle per la verità. In una di queste, presumo sconsacrata, c’erano dentro tre mostre fotografiche: una dedicata ai letterati che hanno parlato e scritto delle Eolie (fin dai tempi di Plinio!); un’altra ai film girati nell’arcipelago, e la terza al periodo del confino degli antifascisti, prima che venissero tutti trasferiti a Ventotene.
La cosa più bella che abbiamo visto è stato il chiostro normanno, che si trova a fianco dell’altra chiesa. Si paga un euro per entrare, e la “bigliettaia” è una signora seduta a ricamare, accanto alla porta del chiostro, vicino ad un banchetto pieno di oggetti religiosi in vendita, cartoline comprese. Nessun biglietto ovviamente, solo la riscossione dell’euro, brevi manu.
Lasciato il Castello e con ancora tante energia da consumare, visto che è appena mezzogiorno, e il sole comincia solo adesso a scaldare sul serio, decidiamo di affrontare una lunga salita fino all’Osservatorio, da cui pare si goda un ottimo panorama su Vulcano e su Filicudi e Alicudi. Tutto il percorso è tristemente su una brutta strada asfaltata, anche se pochissimo trafficata. Quattrocentocinquanta metri di dislivello, da affrontare con un litro e mezzo d’acqua e un pacchetto di Tuc al peperoncino (in realtà credevo che fossero al pomodoro, ma la mancanza degli occhiali non mi ha aiutato nella giusta scelta), comprati nell’unico market ancora aperto fra le ultime strade del paese, prima della salita.
Quando mancano ormai solo pochi ma impegnativi tornanti alla meta, incontriamo i primi cartelli che indicano il punto panoramico dell’osservatorio, con anche la freccia per il ristorante lì vicino. Poi passa una famigliola, sicuramente turisti, con macchina a noleggio, che si dirige al punto panoramico. Poi anche una coppietta in vespa, stessa meta, sempre turisti. Avremmo dovuto noleggiare anche noi un vespino, e risparmiarci questa insulsa e faticosa salita!
Il panorama però è bello, e finalmente appagati dal consistente consumo di calorie, dopo giorni e giorni di ozio marinaro, ritorniamo al marina, pronti per una doccia rigorosamente in barca e per una cena ancora tutta da inventare.
A Marina Lunga vi sono altri due pontili galleggianti per il transito, e per pura curiosità proviamo ad informarci sui costi e sulla disponibilità futura. Il primo a cui chiediamo vuole 120 € a notte, ma sono stati molto poco cortesi, quasi che non volessero darci questa informazione. L’altro invece è più amichevole, però costa 100 € adesso, ma dopo il 15 luglio un posto per una barca di 11 metri è di 150 a notte. Alla fine i fascisti sono i più economici, che ci hanno chiesto solo 80 € a notte, acqua e luce comprese!
Giovedì 10 agosto, Lipari - Salina
La risacca di questi pontili galleggianti è disastrosa. Ogni dieci o quindici secondi uno strattone laterale ti ricorda che la prima onda è entrata in baia, e che rimbalzando sulla spiaggia ti colpisce di nuovo, mentre la seconda si sta preparando a fare la stessa cosa. Quando poi arriva anche il traghetto si aggiunge l’onda artificiale a quella naturale e l’effetto strattonamento diventa doppio, con due o tre colpi continui uno più forte dell’altro, fino a fermarsi per qualche secondo di respiro prima di ripartire con lo stesso ritmo.
I due catamarani che sono ormeggiati ai nostri lati si stanno preparando a lasciare il porto. Il vento da NO ha smesso di soffiare forte, e i turisti a bordo fremono per andar via. Come la stragrande maggioranza dei catamarani che si vedono qui, e ce ne sono tanti, anche questi sono dei charter, con skipper e hostess che portano a spasso i loro ospiti. Quello alla nostra sinistra ha a bordo un solo passeggero, uno spagnolo, e mi sembra una cosa molto strana; probabilmente imbarcherà altri turisti in qualche altra isola. Quello alla nostra destra invece sembra al completo, con una famiglia di inglesi con bimbi al seguito, che giocano tutto il giorno salendo e scendendo dal ponte superiore a quello di sotto, chiacchierando fra loro e inventando chissà quali storie per divertirsi. Gli skipper sono piuttosto agê, e immagino con tanta esperienza e conoscenza di questo arcipelago, ma in manovra per uscire dai rispettivi ormeggi ci fanno venire un po’ di dubbi. Il primo, quello alla nostra sinistra, parte deciso ma infila la prua di uno degli scafi direttamente fra le nostre trappe, incastrando le nostre due barche e liberandosi solo con una decisa marcia indietro, fra le urla della hostess e lo sguardo assente dello spagnolo. Il secondo la fa ancora più grossa, facendo per bene la manovra di uscita, ma dimenticandosi di staccare una delle trappe che lo legano al corpo morto in fondo al mare, per cui rimbalza lateralmente, si rigira su sé stesso e rischia di andare a sbattere contro il pontile di fronte a lui. Un vero genio!
Lasciamo anche noi il marina con l’idea di andare a fare il bagno nella zona delle miniere di pomice. Il vento è calato, è vero, ma il mare no, e la spiaggia della pomice non è per niente adatta ad una sosta. Le barche che ci sono rollano tutte paurosamente, ma non so perché continuano a stare lì. Noi dopo cinque minuti di sofferenza tiriamo su l’àncora e andiamo a ripararci a Salina, nei pressi di Punta Brigantina. Qui va decisamente meglio, ancoraggio su sabbia, mare quasi calmo e al solito trasparente, l’ideale per lasciar andar via questo scampolo di maestrale e godersi il mare calmo per lo snorkeling. Ci sono solo poche barche attorno a noi, come spesso accade nelle baie lontane dai centri abitati, e la notte è asciutta e stellata, l’ideale per dormire un po’ in pozzetto prima di trasferirsi in cabina per un sonno ristoratore.
Sabato 12 luglio, Vulcano
Ieri abbiamo passato tutta la giornata a Salina, e solo nel pomeriggio abbiamo deciso di spostarci a Vulcano, per andare a vedere da vicino il cratere. Il porto di Ponente però era troppo pieno di barche, e l’acqua era anche molto mossa, per cui la notte l’abbiamo passata a Lipari, nella spiaggia accanto ai Faraglioni. Questa mattina abbiamo trovato un ottimo posto dove calare l’ancora, sempre nel Porto di Ponente, e ci stiamo preparando per salire sul Vulcano.
Le escursioni sono regolamentate, si può accedere al sentiero solo dalle 6,30 del mattino alle 10,30 (dopo è troppo caldo) oppure al pomeriggio, dopo le 17,30. C’è perfino un semaforo all’imboccatura del sentiero e ovviamente si salo solo con il verde. Il semaforo pare che serva soprattutto per le fumarole di zolfo, perché se il vento soffia in direzione del sentiero diventa impossibile salire avvolti in un aria irrespirabile. Al nostro arrivo il semaforo è verde, siamo soli, abbiamo preso acqua e cibo, sono le 9,30 del mattino e muoviamo i primi passi su questa salita di sabbia fine e grigia. A metà salita incontriamo un gruppetto di spagnoli che sta scendendo. Poco dopo ci appare, silenzioso e solitario, un bellissimo husky, anche lui in discesa, seguito da una coppia di francesi, i probabili proprietari. Arrivati al bordo inferiore del cratere, che qui chiamano Fossa, vediamo le fumarole di zolfo. La terra è gialla, con macchie di verde qua e là, chissà quale minerale è, e le fumarole sono tutte allineate su questo bordo, per oltre un centinaio di metri. Non ci si può avvicinare, un cartello vieta lo scavalcamento della lunga recinzione di paletti di legno e corde. Risaliamo il bordo esterno della fossa, lungo il ripido ma comodo sentiero, fino a raggiungere la vetta. Sono solo 400 metri di dislivello, ma su queste sabbie e questi ciottoli che non stanno fermi, sono sempre faticosi.
L’odore di zolfo si sente molto bene, anche se il vento non c’è e le fumarole si innalzano leggermente prima di svanire nell’aria. Si vedono tutte le isole dell’arcipelago, anche la lontana Stromboli con il suo pennacchio permanente. E anche l’Etna, la sorella maggiore di tutti i vulcani del sud Italia.
Rimaniamo un po’ in cima, mangio un pomodoro, giusto per dare un senso all’inutile cibo che ci siamo portati dietro, scatto qualche foto con il telefono mentre Lella chiacchiera con un ragazzo genovese incontrato lungo il sentiero. Più in là un giovane coppia di inglesi con due bimbi stanno finendo anche loro di mangiucchiare qualcosa e si preparano per la discesa.
Ma la discesa ha in serbo per noi una brutta sorpresa! Dopo neanche centro metri di sentiero la scarpa destra di Marinella perde la suola, si stacca di netto rimanendo appesa solo per un brandello di colla ancora attiva. Cerco nello zainetto un cordino per fare una legatura di emergenza, ma non ho nulla. Per fortuna Lella ha casualmente un pezzetto di corda, un po’ grossa, ma pazienza.
Fa due giri attorno alla suola, la chiude con il nodo meglio che può, e camminando un po’ sulla punta continua la discesa. Oltrepassatele fumarole anche la seconda suola cede, e abbiamo ancora 250 metri di dislivello da fare! Non ci sono più cordini, ma ho uno shopper di stoffa con due bei manici lunghi. Li taglio tutti e due e ne ricavo due fettucce, sufficienti per fare una seconda legatura. Ora la discesa di Lella è da vera ballerina classica, tutta sulle punte, con due polpacci che brillano gonfi, nonostante la polvere vulcanica li ricopra abbondantemente.
Lungo la strada assolata che porta in paese c’è il centro informazioni dell’INGV, una casetta circondata da alti alberi che creano una vasta e invitante ombra. Dalla porta aperta esce una meravigliosa aria condizionata, e insieme a lei un giovane geologo che ci saluta calorosamente e ci porta a visitare il piccolo ma ben fatto centro informazioni sulla vulcanologia delle Eolie e del sud Italia. Pannelli, foto, rocce vulcaniche da toccare con mano, ma soprattutto un fantastico documentario in 3d, da vedere e ascoltare seduti e indossando un visore panoramico, come quelli per la realtà virtuale.
Siamo dentro un elicottero, che si alza in volo da Lipari e raggiunge stromboli. Alla mia sinistra vedo il pilota, un ragazzo nero, con occhiali Ray-ban, cloche in mano e quadro strumenti davanti agli occhi. A destra un ragazza giapponese, capelli neri con la coda, pantaloncini e canottiera, e una mascherina sulla bocca, come al tempo del covid. L’elicottero sorvola Stromboli mentre la voce narrante ci informa sulle particolarità di questo vulcano, le sua storia, le colate lungo la sciara, i pericoli per chi ci vive e la prevenzione in caso di forte eruzione o di tsunami dovuto alla caduta di grandi massi in acqua. Finito il giro si torna alla base, con i saluti del narratore.
Terminate le “gite geologiche” nel pomeriggio torniamo in paese, sempre con il nostro fidato Ev, alla ricerca di un paio di scarpe nuove per Lella, ma non c’è nulla di decente. Raggiungiamo il porto di levante, dove c’è il laghetto dei fanghi solforosi, ma l’odore acre e pungente che c’è nell’aria prende alla gola, e bisogna starne lontani per respirare bene. Eppure questo è un luogo dove le persone si immergono per riceverne dei benefici, anche se attualmente è sotto sequestro per via di un malore occorso proprio ad un bagnante.
Lasciamo il mefitico laghetto e risaliamo il molo accanto all’arrivo dei traghetti, fermandoci ad osservare le operazioni di imbarco e sbarco, come degli umarell marittimi.
L’aliscafo è il primo ad arrivare, accosta di fianco al molo, fissa la passerella di uscita e lentamente scendono a terra i vari passeggeri, molti turisti con trolley al seguito, alcuni locali che si spostano da un’isola all’altra. Scende anche una giovane mamma, tubino nero e lunghi capelli neri, con un passeggino e un bimbo piccolo in braccio, aiutata dal marinaio dell’aliscafo.
Poi arriva anche il traghetto grande, quello che porta anche le auto. L’aliscafo aspetta che faccia manovra prima di ripartire, ed è una grande fortuna per la mamma con il bimbo e il passeggino, perché la vediamo ritornare di corsa cercando di riprendere l’aliscafo, ha sbagliato isola, doveva scendere a Lipari, non a Vulcano! I gentili marinai rimettono la passerella, riaprono il portello e la accolgono di nuovo a bordo. Cose che capitano.
Ciao intrepidi. Certo che andare per mare comport
RispondiElimina...comporta sempre qualche rischio, e credo che la sorpresa del porto nero di Lipari proprio non ve l'aspettavate😡 Le Eolie comunque vi avranno sicuramente ripagato della disavventura con la bellezza del mare e dei panorami, ognuna così diversa misteriosa e strana dall'altra. Un abbraccio
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