03 - Siracusa
Lunedì 30 giugno - Crotone -
Non è che il vento sia tanto calato oggi, anzi vedo ancora grosse onde fuori dal porto e la bandiera italiana sulle sartie di dritta di Eleftheria che sventola quasi a strapparsi. Eppure questa mattina presto pareva tutto molto più calmo, ed ero anche piuttosto indispettito per il fatto di dover ancora pagare il marina e dover ritirare la bombola di gas dal negozio delle ricariche, e che quindi prima delle 9 difficilmente saremmo riusciti a salpare.
Ora invece non so che pesci pigliare. Lella vuole aspettare che il vento cali, ma le previsioni dicono tutt’altro, e se restiamo fermi può solo peggiorare. Ritardare vuol dire partire stasera, quando non ci sarà più un briciolo di vento, ma con più di 150 miglia da fare arriveremmo a Siracusa nella notte di dopodomani.
Dopo diversi tentennamenti scegliamo di partire lo stesso, confidando nel fatto che, dopo qualche miglio con il mare contro, dovremmo poi virare verso sud e quindi avere le onde a favore.
Stacchiamo velocemente le cime dal pontile, Lella a prua molla le altre cime che ci tenevano ancorati al fondo e, con un’accelerata molto forte, contrasto il vento laterale per uscire dal finger e trovarmi in mezzo al porto e subito dopo fuori dalle dighe, pronti per affrontare queste prime 6 miglia di “cavalloni”. E sì, perché tali sono le onde che colpiscono Eleftheria sul suo fianco sinistro, veri e propri cavalloni, che ci fanno rollare, sobbalzare, sculettare, e ogni tanto ci bagnano anche, con gli spruzzi delle onde più alte. Avrei dovuto aprire un po’ di vela di prua per aiutare la barca a stare più dritta, ma non ne ho avuto il tempo prima - a malapena siamo riusciti a mettere dentro alle draglie tutti i parabordi – e adesso è impensabile lasciare il timone per fare la manovra. Pazienza, sono poche miglia, in un’ora saremo a Capo Colonna, e poi il mare dovrebbe calmarsi.
Quelle che dalle previsioni dovevano esser solo raffiche a 20-25 nodi, sembrano invece diventate vento continuo. Per i primi quindici minuti Lella in pozzetto non spiccica verbo, io nemmeno. Poi provo a chiacchierare del più e del meno, ma si vede che sono forzature, che le parole sono vuote e la mente è altrove. Dopo la prima mezz’ora però ci siamo abituati entrambi al ritmo del mare, e adesso non ci facciamo più caso, tranne quando qualche spruzzata di mare ci lava per benino.
Ho il telefono in tasca per non bagnarlo; tre anni fa in Grecia con Max, in una situazione simile, avevamo lasciato la go-pro cinese montata accanto al timone, ma senza protezione impermeabile e da allora non ha più funzionato, ho dovuta buttarla; non voglio far lo stesso con il telefono!
Doppiato Capo Colonna il vento e il mare finalmente ci colpiscono da poppa e adesso è tutto più governabile. Spegniamo il motore, apriamo le vele e navighiamo sulla giusta rotta per Siracusa a oltre 7 nodi.
Poche ore di bel vento, poi calma piatta. La Sicilia è lontana, dovremo navigare con il solo aiuto del motore per tanto tempo, troppo tempo. Questa sarà la nostra ultima “notturna”, ne abbiamo fatte ben quattro in questa prima parte del viaggio, e fino a che non lasceremo la Sicilia credo proprio che non ne faremo più.
1° luglio, Mare Ionio
L’Etna, con i suoi oltre 3.300 metri, fa sembrare semplici collinette il monti della Calabria e quelli del messinese, i Nebrodi. Raggiungo Lella in pozzetto, dopo il solito cambio turno delle 2 di notte. “Oggi il sole è sorto 12 minuti più tardi rispetto all’ultima notte in mare – mi dice subito – si vede che stiamo andando verso ovest.” In effetti ci siamo allontanati di quasi 3° da est, e non sono pochi.
Questa notte non è stata molto umida, e nemmeno fredda. Alle 7 di mattina avevamo già voglia di stare in costume da bagno, e qualche ora dopo è fondamentale ripararsi all’ombra del bimini, se non ci si vuol cuocere la testa. Pare che per la prossima settimana siano previste temperature molto alte in tutta Europa, da nord a sud. I meteorologi parlano di ondate di calore ad oltre 40 gradi per giorni e giorni, speriamo bene.
Siracusa la raggiungiamo quando il sole è ancora alto nel cielo. Entriamo nel porto piccolo e ci fermiamo al Circolo Velico Aretusa, ospiti qui grazie al nostro amico Giacomo. Ci fermiamo al secondo pontile, con le trappe a prua e a poppa, un sistema che non ho visto da altre parti ma che qui è usato. In pratica la barca è ferma su due blocchi di cemento (corpi morti) posti sul fondo del mare, ai quali è legata una grossa cima che si fissa a bordo, una prua e una a poppa. Niente cime sul pontile, se non per tenere più vicina la poppa e facilitare l’ingresso in barca, nulla più.
Terminate le operazioni di ormeggio faccio due chiacchiere con Giacomo bevendo una birra, poi altri soci del circolo si fermano a conoscermi, mentre Lella è in spiaggia insieme al piccolo Matteo, parlando di cani, gatti e telefoni cellulari!
Doccia con acqua tiepida, passeggiata per la Borgata, e cena in pozzetto con un’insalata di pomodori. La stanchezza ha fatto il resto.
Siracusa, luglio 2025
Le zanzare sono una vera peste. Ti distruggono il sonno, ti fanno imbestialire, vorresti avere un lanciafiamme in mano e fulminarle tutte per sempre. Ti ronzano attorno alle orecchie come per ricordarti che loro ci sono e quindi non ti puoi addormentare, così impunemente, senza lottare, senza cercare di acchiapparle, senza dare quelle goffe manate contro la parete, convinto di averle schiacciate, e invece di loro non c’è traccia. E poi si posano negli angoli, dove non puoi picchiare, o su uno spigolo, e perfino sulla zanzariera, per farti dispetto, quasi per sfidarti.
Ecco, le notti passate a Siracusa sono state tutte così: caldo e zanzare assieme, un incubo! Però la città è bella, anche piena com’è di turisti, piena di tavolini di ristoranti improvvisati, di bancarelle che vendono paccottiglia, di gazebo e ombrelloni che ne ingombrano le vie offrendo il “magico” giro in barca dell’isola di Ortigia.
Le strade di Ortigia, con i suoi palazzi in stile barocco, i templi greci in pieno centro, in mezzo alle case; piazza Duomo, con il pavimento di calcare bianco lucido dal quale sembrano emergere tutto intorno, abbracciandolo, i palazzi signorili e la magnifica Cattedrale, tempio dorico e facciata barocca; e poi le viuzze dei due quartieri principali, La Graziella e la Giudecca, e anche qui chiese, cortili, stradine ricolme di vasi di piante grasse, fiori, fichi d’india che si arrampicano fino ai balconi del primo piano di palazzi riccamente decorati. E sono belle anche le case non ancora ristrutturate, quelle con le facciate erose dal vento e dal mare, che ha sbriciolato il tenero calcare dei loro mattoni, con le finestre mezze aperte e i portoni in legno dal fondo consumato. Se ne avessi la possibilità mi piacerebbe prendere una di queste piccole case e rimetterla a nuovo, forse.
Il porto piccolo e il Circolo Aretusa
L’isola di Ortigia non è una vera isola, cioè è sì un’isola ma è unita al resto della città attraverso tre ponti, due dei quali carrabili e uno riservato esclusivamente a pedoni e biciclette. A est e a ovest dell’isola sono stati costruiti, da tempo immemore, i due porti della città, porto piccolo e porto grande. Porto Grande, va da sé, è quello principale, nel quale fanno sosta le grandi navi e i pescherecci d’altura; quello Piccolo è riservato alla piccola pesca e soprattutto oggi alle barche da diporto e a quelle turistiche.
Il Circolo velico Aretusa ha qui i suoi due pontili, posti esattamente all’imboccatura del porto – non certo una posizione riparata – ma ha in dote una piccola spiaggia di sabbia bianca, una decina di metri in tutto, che permette, volendo, anche di fare un bagno. C’è un bagnetto, con dentro l’essenziale, ma non si può fare la doccia, troppo piccolo e troppo ingombro di altre cose, mute da sub, bombole, etc... La doccia si fa benissimo in pontile, con l’acqua calda, ottenuta grazie all’azione del sole che scalda tubi e manichette.
Non ci sono molte barche ormeggiate, 30 o 40 al massimo, quasi tutte a vela, qualche gommone, un paio di barche a motore. Abbiamo conosciuto qualche socio del circolo, e fra questi l’armatore di Pegaso 1977, una barca a vela con scafo blu degli anni ’70, e il suo fido equipaggio: un giovane aitante e muscoloso, credo suo figlio, e un altro ragazzo, decisamente più basso, ma con una capigliatura riccia e massiccia, come un jazzista nero del free-jazz degli anni che furono. Lui parlava molto, dando consigli a Giacomo su come risolvere problemi del motore, parlando di cantieri e di grandi meccanici “solitari ma dalle mani d’oro”, parlando di gestione di barche e compravendita delle stesse, e gli altri annuendo e ripetendo alcune parole del “capo”, in completa devozione e in ossequio al suo pensiero. Persone simpatiche, come si incontrano nelle banchine di ogni circolo velico che si rispetti. Quando sono andati via, camminando un po’ storti lungo il pontile, mi è venuto subito in mente Jack Sparrow e il suo bislacco equipaggio della Perla Nera.
E poi c’è Vittorio, il marinaio tutto fare, che ti assiste all’ormeggio preparando le cime e le trappe, che bagna il pontile quando serve per dare un po’ di refrigerio a tutti, e che gradisce sempre l’offerta di una birra fresca.
Arenella o Asparano?
Per fare il bagno al mare a Siracusa abbiamo tre possibilità; uscire in barca e andare in una delle baie a sud di Ortigia; fare due passi a piedi e andare sul lungomare e fermarsi a Forte Vigliena, dove ci sono degli scogli accessibili, grazie a passerelle e scalinate; noleggiare uno scooter e andare fuori città fermandoci in uno dei tanti posti di mare che ben conosciamo, Arenella, Asparano o Ognina. Scegliamo la terza opzione e pur soffrendo il caldo di un casco da moto in testa, con 37° all’ombra, ci dirigiamo verso la prima meta, gli scogli dell’Arenella.
Bel posto, acqua limpida, nessun altro bagnante oltre a noi e a una coppia di turisti russi, che hanno uno strano modo di fare il bagno, entrando in acqua da una parte, facendo il giro di una piccola scogliera, risalendo all’asciutto e rifacendo la stessa cosa, per due o tre volte prima di sparire alla nostra vista.
L’acqua qui agli scogli è fredda, a causa delle numerose sorgenti d’acqua dolce che entrano in mare creando dei fiumi freddi, non molto grandi, solo pochi metri, ma sufficienti a farti rabbrividire quando li incontri. Rimaniamo qui per qualche ora, facendo continui bagni per rinfrescarci. Non abbiamo un ombrellone e non c’è un filo d’ombra da sfruttare. Per di più questa mattina non abbiamo fatto colazione, e abbiamo portato solo un litro d’acqua! Alle due del pomeriggio siamo a rischio infarto. L’acqua, ormai calda e imbevibile, è comunque finita; comincio ad aver fame, sento la bocca più asciutta che mai, l’autosuggestione è potente, lo sappiamo. Ci vestiamo in fretta e torniamo al nostro scooter, infiliamo il casco malefico che fa salire la temperatura della mia testa di qualche grado, e andiamo a rifugiarci in un bar. Granita di mandorla e brioche! È un toccasana, mi sembra di rinascere. Non contento mi faccio anche un gelato di ricotta, Lella invece rinuncia, fatica anche a finire la brioche.
Rinfrancati e riposati, dopo quasi due ora passate al tavolino, record personale di permanenza ad un tavolino da bar, torniamo al mare, ma questa volta in un posto con abbondante ombra, in una deliziosa spiaggetta di scogli con una grotta alle spalle. L’avessimo fatto prima!
Sabato 5 luglio – Siracusa
Una colonna di fumo nero sta attraversando il cielo della città. Non sappiamo cosa sia fino a quando la nostra amica Nella non ci manda un foto: è scoppiato un incendio in un capannone di recupero plastica nella zona industriale di Priolo. E non è la prima volta, ci dice, è già la terza, quindi c’è il legittimo sospetto che questa sia quasi una pratica e non un incidente.
Questo è l’ultimo giorno che passiamo in città e quindi è la giornata dei preparativi per la partenza. L’abbiamo anticipata a domani anziché a lunedì, perché a metà settimana è previsto un peggioramento del tempo ed è meglio essere già oltre lo stretto di Messina per ripararsi alle Eolie. Facciamo un po’ di spesa, riempiamo il serbatoio d’acqua, diamo una pulitina alla coperta della barca, facciamo il bucato della settimana, insomma le solite cose di casa.
Nel pomeriggio Nella ci dà una mano con le taniche del gasolio, perché nel Porto Piccolo dove siamo ormeggiati non c’è un benzinaio e per rifornirsi bisogna usare le taniche. Ci viene a prendere con la sua cinquecento, stipata delle sue cose perché in questo mese sta ristrutturando casa e quindi ha sempre un mucchio di oggetti da muovere e traportare. Ci infiliamo anche noi fra le sue cose, con le taniche fra le gambe, attenti a non versarne una goccia, perché il gasolio ha proprio un puzzo tremendo.
Terminate le operazioni pre-partenza, andiamo a vedere il Seppellimento di Santa Lucia, bellissima tela di Caravaggio che si trova sull’altare maggiore della Chiesa di Santa Lucia alla Borgata. Molto rovinato, più volte restaurato malamente nel corso dei secoli, adesso è finalmente e definitivamente collocato nella sua sede originaria. Ci concedono pochi minuti di visita, quelli necessari al prete per prepararsi alla messa delle sette di sera, e a noi per godere ancora una volta di questa opera d’arte.
Sulla facciata di un palazzo che dà sulla piazza c’è un enorme murale che riproduce il Seppellimento; non avevo mai visto un murale di quelle dimensioni dedicato ad un quadro, chissà chi lo ha fatto e chissà perché.
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