Quattrocento miglia per uno




Il vento viene giù dalla montagna sibilando. Lo sento mentre si prepara, si riempie di forza, gonfia i muscoli, riempie le guance e poi urla, urla a più non posso in un crescendo che dura una decina di secondi o poco più; sento la catena dell’ancora che si tende, la barca si piega da una parte, comincia a cigolare, la cime vanno in tensione, qualche legno scricchiola, l’acqua scorre mormorando lungo le fiancate per perdersi al largo, dietro la poppa della barca. Non so che velocità abbia il vento, so solo che sono contento di essere qui, fermo e riparato davanti al porto del paesino di Othonoi. 
L’aria è più calda questa sera, non me lo spiego ma è così. Non c’è una nuvola in cielo, e le stelle sono dappertutto, coprono la volta celeste fin quasi la linea dell’orizzonte, spettacolo stupendo.
Le previsioni meteo dicono che per i prossimi tre giorni sono previsti continui venti da nord, anche forti, e questo rende molto difficile passare il Canale di Otranto. Il giorno peggiore dovrebbe essere sabato, con venti oltre i 30 nodi e onde di 1,80 cm. Per mia fortuna sono in un bel posto, con un bel mare, e quindi non è poi una gran fatica rimanere qui qualche giorno a riposare.

La spiaggia nel primo porticciolo di Othonoi


Stamattina è calma piatta, come previsto. Ottimo per mettere in acqua il tender e andare in paese. È un paese piccolissimo, almeno quello che si vede qui, non so poi se nell’interno ci siano altre case. La parte destra del porticciolo è occupata da una spiaggia di sabbia, e sinistra invece un piccolo molo con uno scivolo per alare le barche. Mi fermo lì con Iv, e percorro la breve strada che porta fino al bar, con annesso un supermarket, minuscolo, ma fornito di tutto. Sul lungomare si affacciano le poche case di questo paese, e percorrendolo per un centinaio di metri si raggiunge un secondo porticciolo, provvisto di una banchina per il diporto (mai completata, ma in parte fruibile) e di un’altra banchina per il traghetto che viene tutti i giorni da Corfù. Torno al supermarket, compro un litro di latte fresco, una testa d’aglio e una cipolla, vergognandomi un po’ per questo acquisto striminzito, ma non mi serve altro.
Faccio un bagno dopo l’altro fino a quando non torna il vento, e allora tutto cambia, la barca ricomincia a saltellare e pinne e maschera tornano nel gavone.
Sto per finire il secondo libro della trilogia della Ibis di Amitav Ghosh. Non avevo mai letto nulla di questo scrittore, ma adesso ho praticamente tutti i suoi libri, grazie al lettore Kobo e a Mario, che mi ha passato buona parte della sua libreria digitale. Più di quattromila libri, ci vorrebbero dieci vite per leggerli tutti!



Sabato 10 agosto, Othonoi
 
Notte difficile, non ho chiuso occhio. Prima le zanzare, poi il vento, che non ha smesso un attimo di soffiare. E anche stamattina non vuol saperne di diminuire. Sono arrivate altre barche ieri, approfittando della mattinata di calma, ma anche loro adesso si sono fermate, mettendo in acqua tanti ma tanti metri di catena. Io ne ho filati ben sessanta; come mi disse due anni fa a Nauplio un genovese “a tenerla in acqua o nel gavone costa uguale”, e da allora ne tengo sempre molta in acqua.
Guardo ossessivamente il meteo, sperando che cambi qualcosa, a volte succede per previsioni di più giorni, e invece nulla, se va bene potrò partire domenica mattina, fra trentasei ore.
Intanto le ragazze del volley hanno battuto la Turchia con un secco 3-0, e per la prima volta sono in finale olimpica, e se la vedranno con le americane. Speriamo bene.
 
Domenica 11 agosto
 
Otranto dista solo 45 miglia da qui. Si fanno in giornata, anche con l’onda contro e la totale assenza di vento. Metto in moto, accendo il salpa àncora e comincio a recuperare a bordo le decine di metri di catena. Apro anche la randa, che pur senza vento mi aiuta a tenere la barca più dritta e farla rollare un po’ di meno. Non sono solo io a partire, altre due barche hanno tirato su l’àncora e si muovono verso ovest, verso l’Italia. Ci metterò una decina d’ore ad arrivare, perché oltre al fatto che a motore non faccio più di 5 nodi, quando arrivano due o tre onde in stretta successione, e capita molto spesso, la barca quasi si ferma, e prima di riprendere la sua velocità di crociera ci mette un bel po’, con il risultato che la mia velocità media è di soli 4 nodi!
Per colazione mi sono bevuto due belle tazze di latte e menta, fredde ghiacciate, grazie al frigo che non si è mai fermato. Ci ho messo dentro alcuni biscotti, senza però fare la mia classica “pappetta”. Questa volta sono stato un po’ più morigerato del solito. 
Mi siedo nello spazio compreso fra il salpa àncora e il passa uomo della cabina di prua, e osservo le onde che fanno saltellare Eleftheria. Arrivano una dietro l’altra, una un po’ più alta, una un po’ meno, una ti solleva, l’altra viene “tagliata” dal peso della barca; poi ne arriva una che non è nemmeno la più alta, ma ti solleva quel tanto di più che è sufficiente a farti ricadere dall’alto con un tonfo pesante. L’acqua viene spruzzata da tutte le parti, lo scafo vibra dall’albero alla battagliola, e la barca compie una brusca frenata. Poi l’elica spinta dal motore ha la meglio e la prua riparte, per un nuovo identico gioco, minuto dopo minuto, ora dopo ora.



Con il passare delle ore le onde calano, il mare diventa più calmo, Otranto si avvicina. Ho da poco superato il “cono d’ombra” dove non c’era nessuna connessione internet, e provo ad aprire il sito di RaiPlay per vedermi la finale olimpica delle ragazze del volley. Stanno vincendo, il primo set è loro. Il secondo set faccio molta fatica a vederlo, è più il tempo che passo a guardare la rotellina che gira in pausa che non quello in cui ci sono delle azioni. Vinto anche il secondo set! Vedere Il terzo è una pia illusione, solo dei “fermo immagine” ogni tanto, e nulla di più. Ma vinciamo anche il terzo set, ed è oro olimpico, prima volta nella storia del volley femminile!


Otranto, il porto circondato dalle spiagge cittadine

L’avanporto di Otranto è sabbioso, ampio, e mai troppo pieno di barche all’àncora. Colpa dell’onda da nord, che in assenza di un molo protettivo, entra libera e potente, facendoti rollare e rendendo fastidiosa la sosta.
Io ho appuntamento con Michele, amico bolognese ma di origine pugliesi/salentine, che in questo periodo è a al suo paese natale e che per l’occasione viene a trovarmi in barca. Ceniamo assieme in pozzetto, con ottimi “rustici” portati da lui: polpette di patate alla menta, pizzette, calzoni al pomodoro e per finire dei magnifici pasticciotti alla crema.
 
Lunedì 12 agosto
 
Ormai ho una specie di sveglia incorporata, e alle sei del mattino ho già gli occhi aperti. Devo far gasolio e quindi devo attendere che il benzinaio apra. Fatto il pieno mi metto in marcia per Brindisi, ma non è una mossa giusta. Speravo ci fosse meno mare, e invece sto ballonzolando da una parte all’altra avanzando a soli 3 nodi! Non va bene, cambio programma e mi fermo dietro una scogliera che mi protegge da Nord e che forma una magnifica baia, la baia Murrone, con acqua chiara e grandi grotte marine. Sono da solo e il posto è magnifico. Calo l’àncora in 6 metri di sabbia chiara e faccio subito un bel bagno. 

Baia Murrone, prima...

... e dopo.

La mia solitudine dura poco; in meno di un’ora ci sono già altri tre barchini di gitanti, e nell’ora successiva le barche sono già una decina, per diventare ben 17 al culmine dell’affollamento tutte in un fazzoletto di mare, a due o tre metri l’una dall’altra. A mezzogiorno ne ho abbastanza, salpo l’àncora e ritorno a navigare verso Brindisi, nonostante non ci siano le condizioni. Non so di preciso dove voglio fermarmi, e non so nemmeno se voglio fermarmi per la notte. A Brindisi ci arrivo alle nove di sera, ma non entro in porto, tiro dritto, verso il Gargano. Mi organizzo per i turni di notte, che essendo da solo non sono dei veri e propri turni, bensì un alternarsi fra momenti di veglia e momenti di sonno. È il classico sistema dei micro sonni, 15 minuti circa di sonno, poi suona la sveglia del telefono, schizzo fuori dalla cuccetta, sguardo panoramico alla ricerca di luci sospette, e se non c’è nulla in vista torno a dormire per altri 15 minuti.

Tramonto su Vieste

Martedì 13 agosto, Adriatico meridionale
 
Ho passato la nottata, e sto puntando verso Vieste. Il mio piano prevede la sosta notturna alla Testa del Gargano, nella baietta dell’Isola Campi. Non ne sono molto convinto però. Non mi sento particolarmente affaticato, e quasi quasi proseguo fino a Termoli. Ci penso un po’, poi decido che è la cosa migliore. Supero Vieste, supero Peschici - accolto da fuochi d’artificio - in lontananza vedo le luci delle Tremiti, ho le vele su e una brezza notturna mi fa bolinare. Per poco, come sempre, poi si torna a motore. Arriverò a Termoli solo domattina, verso le 7 o le 8, dipenderà solo da quanti giri motore voglio tenere. Questa è la prima volta che provo a passare due notti di fila navigando in solitario senza fermarmi. Non sono particolarmente stanco, la notte passata ho dormicchiato abbastanza, grazie al fatto che il mare era proprio un deserto, e nonostante i continui risvegli ho comunque accumulato quattro o cinque ore di sonno.
Ma questa seconda notte mi appare subito più dura; vengo colto da un irresistibile bisogno di dormire, non riesco a tenere gli occhi aperti, e per di più fuori è pieno di pescherecci che lavorano, si staranno preparando per il ferragosto e devono riempire di pesce fresco i banchi delle pescherie.
I miei micro sonni funzionano meno; ad ogni risveglio sono più stanco di prima, e spesso resto in pozzetto, con gli occhi mezzi chiusi. Mi fa fatica anche scendere i quattro gradini che portano sottocoperta e stendermi sul letto. Ho quasi svuotato la bottiglia da mezzo litro di caffè freddo che mi preparo per queste nottate, e contrariamente al solito non ho mangiucchiato un biscotto o un pezzetto di cioccolato o qualcos’altro di dolce, solo dello zenzero candito, ogni tanto.
 
Termoli, l’arrivo
delle bolognesi

Mercoledì 14 agosto, Termoli
 
Al pontile “D” del Marina San Pietro siamo in pochi fermi con le nostre barche, saranno tutti in Gargano o alle Tremiti. Io invece vado a farmi una mega doccia nei bagni più freddi di tutto l’Adriatico, lì dove l’aria condizionata è sparata “a mille”. Con mia sorpresa vedo che non è più così, qualcuno deve aver fatto notare che passare dai quaranta gradi esterni ai venti gradi dei bagni è un po’ troppo, e quindi mi ritrovo in un bagno normale. Ma va bene così, la cervicale ringrazia.
Mi sdraio sulla seduta del pozzetto, all’ombra del tendalino, e mi addormento subito. Al mio risveglio ci sono già altre barche ormeggiate, e una sta arrivando proprio in questo momento. Come d’abitudine scendo a dare una mano, come se fossi ancora in Grecia, ma qui c’è il servizio ormeggio, e il marinaio è già pronto a prender le cime e dare istruzioni. Sono in sei a bordo, cinque donne e un cane, e ormeggiano di prua, cosa che vedo fare molto di rado, non solo qui in Italia. Io al mio circolo a Ravenna la barca la fermo al pontile sempre di prua, e per scendere agevolmente a terra ho messo sul pontile uno sgabellino in legno da me costruito, una solida cassa rettangolare, che funge da gradino su cui poggiare il primo passo. Ma quando sono in viaggio non ho una passerella che si possa attaccare a prua e quindi farei una inutile fatica ad entrare ed uscire scavalcando l’àncora e il pulpito e facendo un passo in giù di oltre un metro e mezzo. Il gentile ormeggiatore si prodiga anche per aiutare l’equipaggio a scendere dalla prua, e dopo aver fissato le cime, torna proprio con una cassetta di legno, un po’ sgangherata ma utile allo scopo, grazie anche a due poderose zeppe che la tengono ferma.
Le cinque donne vengono da Bologna, e in verità sono tre donne e due bambine (del cagnolino non ho verificato il sesso), e sono in viaggio lungo la costa pugliese fino al Salento. Vanno giustamente molto piano, e sono appena partite da Montenero di Bisaccia, meno di quindici miglia più a nord, dove tengono la barca tutto l’anno.
È un’idea che spesso ha bussato alla mia testa in questi anni, quella di tenere la barca più a sud, ed evitare tutte le estati di percorrere più di quattrocento miglia solo di “spostamento”, senza considerare la fatica del ritorno, quasi sempre con il maestrale in faccia. Ma alla fine non l’ho mai fatto, e queste lunghissime salite e discese lungo la costa italica sono diventate per me una “palestra” di navigazione, e anche un’occasione per fermarmi in tante città di mare che difficilmente avrei visitato in una normale “crociera estiva”.
 
Giovedì 15 agosto
 
Eleftheria è pronta per questa seconda tappa di risalita dell’Adriatico. Ho il pieno di gasolio, il pieno d’acqua e il pieno di corrente elettrica. La doccia solare è già lì che si scalda al sole, stacco tutte le cime che mi tengono fermo al pontile e lascio Termoli. Ho davanti a me altre 48 ore no stop di navigazione, circa duecento miglia. Ho controllato le previsioni del tempo e dovrebbe essere una lunga navigazione quasi tutta a motore, vento inesistente o quasi.
Ecco il “quasi” è diventato, subito appena fuori dal porto, un leggero venticello da nord ovest (maestrale) che nel giro di poco è diventato un modesto venticello, e poi si è trasformato in un vento da almeno 15 nodi, che quando li hai in faccia sembrano anche 20! Non ci posso credere, la pacifica navigazione a motore, con la barca dritta, e con il programma di fare tante lunghissime letture e poi la sera prepararmi un bel piatto di spaghetti alle vongole, è diventata una bolina così stretta che mi tocca fare i bordi solo con la randa e il motore (se apro anche il genoa non riesco a risalire il vento e mi tocca fare degli inutili bordi piatti). E non avendo previsto questo vento mi sono trovato con tutto quello che avevo lasciato sui divani sottocoperta che è volato via, finendo sotto un tavolo o dentro il lavello. In bagno non avevo ancora chiuso la presa a mare, e meno male che non è entrata acqua dalla tazza del water. Insomma, un altro bell’inizio di navigazione!


Tutta la giornata passa così, a guardare e riguardare tutti i siti meteo possibili e tutti che mi dicono la stessa cosa: mare piatto, 2 o 3 nodi da direzione variabile. 
Al pomeriggio le cose non migliorano. Sulla costa abruzzese si sono addensate spesse nuvole nere e si vedono i lampi che ogni tanto le attraversano. Non sento i tuoni per mia fortuna, vuol dire che sono molto lontane sulla terra ferma. Anche in mare le nuvole hanno prima offuscato il sole, poi coperto interamente il cielo, anche se non sembrano per il momento molto minacciose. Nel timore che possa però arrivare il maltempo chiudo la randa e navigo a secco di vele. Il vento è sempre in faccia e le onde sono sempre più grosse. Non riesco a raggiungere i 4 nodi di velocità, se non di rado, quando dopo le “infilate” dei treni di onde alte, il mare si spiana un po’ ed Eleftheria ne approfitta per “scaricare” i suoi giri dell’elica ed accelerare. Per migliorare la velocità cambio anche decisamente direzione, puntando verso il largo e pur se abbondantemente fuori rotta, almeno vado un po’ più veloce. E in più mi allontano dalla terra ferma, sempre più minacciosa.



Pensavo fosse già sera, tanto era scuro il cielo, che rimango sorpreso quando dietro un nuvolone che le sovrasta, e da cui si vedono i fiumi d’acqua che precipitano al suolo, vedo apparire le cime dei monti d’Abruzzo, arrossate dal sole al tramonto. Sono poco oltre Giulianova, il Conero è molto lontano davanti a me e non lo vedrò prima di domattina. Arriva anche qualche goccia di pioggia, innocua e sbrigativa. Sarà una lunga notte, questa notte adriatica senza nemmeno la luna.
 
Venerdì 16 agosto
 
In tutta la giornata di ieri, ventiquattrore notte compresa, ho incontrato in mare solo una barca, un peschereccio che faceva ritorno in porto dalle parti di Pescara. Navigare a ferragosto è un po’ come prendere il treno la notte di capodanno, o di natale, sei solo tu, il macchinista e il bigliettaio. Puoi anche permetterti di dormire delle ore di fila che non c’è nessun pericolo di scontrarsi contro un’altra imbarcazione. 
Solo attorno ad Ancona c’è del movimento. Pur con il mare ancora un po’ mosso, i barchini a motore di chi va a passare la giornata nelle spiagge del Conero sono numerosi. Qualche barca a vela, un traghetto che arriva da est, Grecia o Croazia, chissà, poi nessun altro.

Bolina, sempre bolina

Ho aperto le vele già da tempo, non appena ha fatto giorno, e aiutato dal motore ho “bolinato” fino a qui anche a più di 6 nodi e mezzo. Adesso, passata Ancona sono ritornato ed essere da solo in mare, che con mia grande gioia è molto meno mosso di prima, per cui posso ricominciare a leggere il mio ultimo libro delle trilogia della Ibis. Sono in un punto cruciale, le navi da guerra inglesi stanno per entrare nell’estuario del Fiume di Perla e sono pronte a dar battaglia alle giunche cinesi che difendono Canton e Macao. La guerra dell’oppio è in pieno svolgimento e tutti gli eroi di questa meravigliosa storia - iniziata con il primo viaggio della Ibis da Baltimora a Calcutta - si trovano, in un modo o nell’altro, coinvolti in questa guerra, e spesso su fronti diversi.
 
È calata la sera, la costa romagnola è piena di luci, si distingue chiaramente la ruota panoramica di Rimini, tutta illuminata. Non ho voglia di cucinare e mi faccio un’insalata di pomodori. È da diversi giorni che non sto più cucinando. Per pranzo ho mangiato mezzo pacchetto di noccioline con una birra. Ieri l’altro, a Termoli, ho cenato con un vasetto di acciughe, aglio e limone; il pranzo del giorno prima era stato il peggiore di tutti, una scatola di piselli, freschi da frigo, ricoperta da due cucchiaiate di salsa messicana. E come pane delle pseudo piadine scaldate direttamente sul gas.
Mi sembra di essere tornato agli anni dell’università, quando si mangiavano le croste di parmigiano dopo averle cotte sul gas, come fossero degli spiedini. Ed erano anche buone!
 
Quando entro fra le dighe del porto di Ravenna, ammaino la randa, la infagotto alla bella e meglio con un paio di elastici e vado al pontile del CVR. Non c’è vento, ormeggio lentamente nel mio posto barca, F17, e spengo il motore. Nel silenzio del pozzetto faccio quello che da sempre si fa quando si arriva in porto dopo una lunga navigata: stappo una bottiglia di birra e la bevo tutta, anche se sono le tre di notte.

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