Isole ionie, seconda tappa
Methoni è un luogo che avevo sottovalutato nel mio primo viaggio lungo in Grecia. Non per la città in sé, che è meno bella di Koroni, ma per il paesaggio, per l’acqua cristallina della sua grande baia, e per la fortezza che la circonda e la difende, con la sua meravigliosa torre di guardia ottagonale, e per le due isole che chiudono l’orizzonte sul lato ovest, Sapientza e Schiza.
Mi fermo volentieri per un giorno intero in questa baia, approfittando della sosta per fare qualche lavoretto alla barca, che dopo un mese di viaggio ha bisogno di qualche raddobbo. Nulla di ché, ma una vite allentata su un sedile, un punto dove è saltato un po’ di gelcoat, una fascetta da sostituire; cose di poco conto ma necessarie per evitare che si accumulino.
Guardo il meteo e faccio previsioni. Di giorno soffia sempre un maestrale forte, oltre i 20 nodi, e non mi conviene proprio muovermi, l’ho visto anche ieri che con il vento sul muso si fatica inutilmente, meglio aspettare. L’ideale sarebbe partire alle dieci di sera, quando il vento smette, e navigare tutta la notte, ma dovrei dormire molto di giorno per avere poi più energie da spendere la notte, e non so se poi ne ho molta voglia. Controllo tutte le rotte possibili per i diversi punti di approdo: Pylos è troppo vicina, appena 15 miglia; Kyparissia è a 35 miglia, ma un po’ fuori rotta; Katakolon è a 52 miglia e potrebbe essere la tappa giusta. Faccio la simulazione del viaggio su Windy, e mi sembra affrontabile. L’unico problema può essere il mare contro con un onda da 50 cm, ma con un vento leggero che dovrebbe essere a favore, e quindi spianare un po’ il mare. Vada per questa soluzione, partenza la mattina presto e arrivo, se tutto va bene non oltre le cinque del pomeriggio.
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L’acqua cristallina di Methoni |
Lunedì, 29 luglio
Alle 5,30 suona la sveglia. È buio pesto, vedo le stelle brillare in cielo. Essere più a est, ma avere l’orologio con un’ora in più non migliora le cose. E poi siamo a fine luglio, quindi le meravigliose giornate di massima luce del mese di giugno sono già in ritirata. Rimango a letto un altro po’ anche se non dormo, sto solo con gli occhi chiusi. Aiuta anche quello. Poi mi alzo, mi vesto, costume e canottiera, e esco in pozzetto. L’umido della notte è stato terribile, ed è come se avesse piovuto. Accendo il motore, mi preparo a salpare.
Fuori dalla baia c’è già vento. A dispetto delle previsioni viene da terra, apro le vele, e sono già a 6 nodi. C’è ancora tanta onda fuori in mare aperto, onda lunga da vento che ha soffiato lontano. Insieme a me esce anche una barca di pescatori, che si dirige a nord, ma si ferma nei pressi di Pylos, probabilmente un buon posto dove pescare.
Le onde contro mi fanno un po’ rallentare, specialmente quelle che arrivano sommate le une alle altre e quindi più alte e con una massa maggiore d’acqua. Sono le peggiori, riescono quasi a fermare la barca, prima che l’elica spinta dal motore le dia la forza sufficiente per avanzare. Il vento, che all’inizio arrivava da terra, ora viene da maestrale, da nord ovest, stessa direzione delle onde, e quelle che erano solo onde lunghe e tutto sommato facilmente superabili, adesso si sono trasformate in onde più corte, più caparbie e più difficili da controllare. Ho le vele aperte e il motore acceso, ma faccio solo 4 nodi, e Il vento aumenta ancora. Supero l’isola di Proti, passando accanto al paesino di Marathopoli, e per qualche miglio sono protetto dal mare, ma subito oltre vengo investito in pieno dal vento e dalle onde, che sono diventate molto più potenti.
Maledette previsioni, non so mai se sono io che le leggo male o se sono loro che sono inesatte, sta di fatto che sono costretto a ridurre la randa, prendendo una mano di terzaroli e a chiudere anche un po’ il genoa, riducendone la superfice esposta la vento. Faccio anche fatica a chiudere la randa per bene, non so perché ma se cazzo la borosa non sono poi in grado di far salire la randa per bene e quindi devo accettare una via di mezzo che non è certo efficace. Le raffiche credo siano ormai a più di 20 nodi, e sono continue. Mi vengono dritte sulla prua, letteralmente opposte alla mia meta. Non riuscirò ad arrivare a Katakolon navigando così, mi tocca cambiare rotta e questo vuol dire fare più strada, fare una linea curva anziché una linea retta, però vado più veloce, sono di nuovo sopra i 5 nodi, ed è meglio così.
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Bolina strettissima, quasi controvento |
A fatica metto in ordine le vele, precedentemente ammainate un po’ alla rinfusa. Non ho fame, ho bevuto molto poco, questa lunga bolina mi ha stancato più di quanto immaginassi. Devo riposare, domani voglio andare a Cefalonia, e devo farlo prima che il solito maestrale pomeridiano diventi troppo cattivo.
30 luglio, Katakolon - Poros
Guazza impossibile questa mattina. L’umidità della notte si è depositata sulla barca coperta dal sale lasciato ieri dal mare che ha spazzato la prua di Eleftheria. Mentre vado a piedi nudi verso il gavone dell’àncora scivolo pericolosamente come se stessi camminando su un pavimento saponato. Gli oltre cinquanta metri di catena che ho calato ieri sera ci mettono un bel po’ a tornare in barca, tirate su dal verricello elettrico. Sono le sette del mattino, Il sole sta per sorgere al di là del Golfo di Corinto, il mare è calmo, e c’è appena una brezza con la quale navigare dolcemente. È il momento giusto per andare solo a vela e ne approfitto subito. Sono solo in mare, come spesso succede in Peloponneso. Qui le barche a noleggio non ci arrivano, non ci sono porti, non ci sono marine per il diporto, e le distanze sono eccessive per chi ha solo una settimana disponibile per la sua crociera estiva. Zakintos è l’ultimo “avamposto” dei charteristi e dei catamarani, e mi fa venire in mente Apocalypse now, quando il Capitano Willard (Martin Sheene) arriva nell’ultima base americana, sul fiume, oltre il quale c’è solo “Charlie”.
Risalgo l’ampio specchio di mare fra il Peloponneso e Zakintos facendo dei bordi di bolina. Divertenti, ma poco produttivi quando devi fare più di 40 miglia per raggiungere la tua meta. Per un po’ vado avanti cosi, ma guadagno troppo poco verso nord. Dopo più di due ore di bolina, con il vento in calo, riaccendo il motore e punto dritto su Poros, sperando che oltrepassata Zante il vento da ovest sia più costante e più forte. Così è, e finalmente riapro le vele e volo via a oltre 7 nodi!
Per più di dieci miglia navigo a questa velocità, con la barca, come di dice,” con la falchetta in acqua”. Ma non è una scelta, sono obbligato ad andare così fino a quando il vento non gira leggermente e arriva al traverso. Apro un po’ le vele e vado ancora più veloce di prima, una meraviglia! Sottocoperta tutto è rotolato, ma va bene così, non c’è nulla che possa rompersi cadendo dai divani o scivolando dentro il lavello.
Arrivo a Poros prima del previsto, e in un momento d grande affollamento per il piccolo porto. Il vento ha richiamato dentro tante barche, e bisogna fare la fila per trovare un posto in banchina. Per fortuna sono arrivato prima, mezz’ora dopo e mi sarebbe toccato un posto in “seconda fila” come succede a Trieste al Molo Audace durante la Barcolana, oppure addirittura fuori, all’àncora.
Cefalonia, vista da terra
Sono anni che ho in mente di girare per Cefalonia e finalmente è arrivato il suo giorno. Noleggio uno scooter 125 Kymco dal rent a car accanto al porto, un po’ caro a detta dell’uomo degli ormeggi, e parto per questa giornata di visita turistica dell’isola. Per prima cosa vado ad Argostòli, capoluogo di Cefalonia, a una cinquantina di chilometri da Poros. Giornata molto ventosa quella di oggi, e questa idea di non navigare ma di stare fermo in porto è cascata a fagiolo. Faccio un po’ di prove di accelerata, frenata, curve e controcurve. Devo prendere la mano con la moto, che non guido mai. C’è una spia gialla sul cruscotto sempre accesa, e quando ho chiesto al tipo del rent a car cos’era mi ha detto “tranquillo, è l’olio dei freni, non c’è problema”. Speriamo bene.
Nella baia di Argostòli vi sono diverse barche alla fonda, e ballano tutte tremendamente a causa del forte vento. Non c’è un marina vero e proprio qui, ma una banchina pubblica, che a prima vista mi sembra anche senza colonnine di acqua e luce. Poche le barche a vela ferme, parecchi mega yacht invece. Una enorme tartaruga nuota a fil di banchina inseguendo dei pesci, e si è formato un piccolo gruppo di turisti che si spostano di qua e di là, sperando in una bella foto, me compreso che però non ho fortuna. Il lungomare è al solito affollato di bar, con sedie e tavolini non direttamente sul mare, come succede in molte isole greche, ma dall’altro lato della strada, accanto al bar stesso. La via del passeggio e dello shopping è un po’ più interna, si chiama Lithostràto, e si capisce quando ci si arriva, perché è tutta lastricata e lucida come se avesse appena piovuto. Bar, negozi, un paio di chiesette, una piazzetta con alberi e tavolini, un musicista che suona per strada, e per finire la sede del KKE, il partito comunista greco, con tanto di bandiera rossa che sventola sul balcone del primo piano!
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Sede del KKE al Lithostràto |
Risalgo in moto e vado verso il promontorio dove c’è il monumento ai caduti della Divisione Aqui. La drammatica storia dei militari italiani a Cefalonia durante la seconda guerra mondiale è nota a tutti, e mi aspettavo che il monumento dedicato alla loro memoria fosse qualcosa di più di un semplice muro basso, lungo meno di una decina di metri, con al centro una croce, e due lapidi, una in greco e una in italiano. D’altro canto noi in Grecia c’eravamo da invasori occupanti, e forse più di tanto non è che si potesse pretendere, anche se a onor del vero il monumento è stato eretto dal nostro paese, nel 1978, e non dai greci. Forse qualcosa di meglio si poteva fare.
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Monumento ai caduti della Divisione Aqui |
Lascio Argostòli e comincio a risalire la montagna. Voglio andare nel parco nazionale del Monte Ainos, il più alto di Cefalonia, con i suoi 1627 metri. È una lunga dorsale che corre da NO a SE nella parte sud dell’isola. Sulla carta topografica ho visto che c’è una strada che lo attraversa per intero e ho intenzione di risalirla per ridiscendere dal lato opposto raggiungendo il mare. Non c’è molto traffico, e quando svolto per la strada interna che conduce al parco, praticamente sono solo. Raggiungo un Osservatorio con due enormi antenne circolari puntate chissà in quale punto dello spazio. Continuo a salire, l’aria è già più fresca; attorno a me boschi verdissimi e grandi affioramenti di calcare. Mi sembra di essere in Apuane. Poi un cancello, o meglio una grande sbarra d’ingresso, aperta, con un cartello che recita in sintesi “Parco Nazionale del Mt. Ainos, qui si sta solo dall’alba al tramonto”.
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Il mio scooter in una delle aree sosta del Parco del M.te Ainos |
Proseguo, non ho certo intenzione di passarci la notte qui. Arrivo finalmente in cima al monte, sempre per strada asfaltata, e mi trovo di fronte ad un mega traliccio stracarico di antenne di comunicazione. Non me l’aspettavo in un parco nazionale, ma che vuoi farci, questo è il punto più alto di tutta l’isola...
Ci sono altre auto parcheggiate al bordo della strada, altri turisti come me, che scendono, fanno una foto panoramica, un selfie, e poi tornano indietro. La strada adesso comincia ad andare giù dall’altra parte, ma non c’è più l’asfalto. Strano, sulla carta non c’è disegnato nessun tratto differente, dovrebbe essere lo stesso fondo, eppure. Magari sarà per poche centinaia di metri, e poi torna l’asfalto. E così imbocco questa strada bianca, larga a sufficienza per un’automobile e con chiari segni di pneumatici. La strada scende ripida e non accenna a cambiar aspetto, anzi si fa un po’ più sconnessa. Nulla di preoccupante, ma non sono molto convinto. Il fondo diventa meno “liscio”, ci sono più pietre in mezzo ed è sempre più stretta. Nel frattempo mi è arrivato un sms dalle protezione civile greca che mi informa di un pericolo incendio nel territorio di Svoronata, chiedendo a tutti di evacuare la zona. Controllo sulla mappa dove mi trovo e per fortuna sono da tutt’altra parte.
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Panorama sulla costa orientale di Cefalonia |
Continuo con il mio scooter ad andare giù e scendo lentamente per quasi un’ora. Ora la strada è veramente bruttina, somiglia quasi a una strada di cava malmessa. Non so quanti chilometri ho già percorso, perché vado molto piano e perché frenare su questo terreno può essere molto insidioso. Dopo un tornante mi trovo di fronte due camion militari, con un gruppetto di persone in mimetica. Non hanno armi vicino a sé, mi danno più l’idea di essere una specie di “forestale”. Mi fermo, li saluto, mi guardano e non sapendo cosa dire esordisco con “I’m italian tourist”. Il più giovane di loro scoppia quasi a ridere, e lo capisco. Mi trovo quasi sperduto su una strada su cui non passa anima viva e penso di fare del turismo? Chiedo se da qui si va al mare, ma non sa cosa rispondermi, lui non è di queste parti. ”Sì, fra dieci o venti chilometri, da qui ci arrivi”. Poi guarda lo scooter e dice “non è proprio adatto per questa strada”. Lo so bene, purtroppo ho solo questo, e devo proseguire così. Saluto e continuo, ma non sono tranquillo. La strada è sempre più ripida e sta diventando quasi un sentiero, largo ma sentiero, pieno di sassi da evitare e buche da aggirare. Ci sono anche grossi tronchi di alberi caduti, che ne riducono ancora a larghezza.
Sono già più di due ore che viaggio lungo questa strada/sentiero e sono preoccupato ma nello stesso tempo mi dico: una strada che inizia come carrozzabile non può finire in nulla, da qualche parte deve arrivare! Avanzo lentamente, saltello su dei sassi smossi, poi all’improvviso la ruota davanti perde aderenza e finisco steso a terra. Mi tiro subito su e cerco di capire che danni ho fatto. Mi sanguina un ginocchio, ma poca cosa; ho dei graffi sul braccio ma non profondi; il bauletto si è aperto e bottiglia d’acqua, chiavi inglesi, documenti, e zainetto sono finiti sul sentiero. Lo specchietto retrovisore destro è rotto, lo raccolgo da terra e provo a vedere se si rimette a posto, ma si è spaccato il supporto in plastica. Sollevo lo scooter, che in discesa e sui sassi pesa anche di più. In qualche modo lo tengo fermo, ci rimetto dentro tutti gli oggetti, metto in moto e riparto. Questa caduta ha fatto più danni al mio morale che alle cose o al mio fisico. Ho una mano dolorante, è vero, ma non è questo il punto; è che sto perdendo un po’ di fiducia in me stesso. Parlo a voce alta “deve arrivare l’asfalto, deve arrivare, prima o poi DEVE arrivare”. Ad ogni tornante mi affaccio per vedere sotto di me se compare il magico nastro nero, ma non si vede nulla. Scendo ancora, adesso vedo qualche casa qua e là, non mi sembra vero, sto arrivando in pianura, sto uscendo da questo incubo. Ancora qualche altro tornante, ancora strada bianca, ma senza più sassi e buche, sono già in mezzo a campi coltivati e muri a secco. La strada asfaltata arriva all’improvviso, sull’ultima discesa. Un cartello stradale indica Xenòpuolo, non dice a quanti chilometri, ma non importa.
Mi fermo sotto un grande albero che fa ombra ad una panchina e ad una fontanella. Mi ripulisco un po’, mi lavo la faccia dalla polvere, pulisco anche il ginocchio con un fazzolettino disinfettante che avevo da anni dentro lo zainetto (sapevo che prima o poi sarebbe servito) e consulto la carta. Maledetti topografi, non si fa così, non si disegnano strade asfaltate dove non ci sono! Mi guardo attorno, prima a destra poi a sinistra, non passa nessuno. Leggo sul cartello stradale che per Poros sono solo pochi chilometri, ma non voglio tornare in barca, ho lo scooter a disposizione fino a domattina alle 8, e c’è ancora tanta isola da vedere. Voglio raggiungere il mare.
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La baia di Katelios, nella costa sud. |
Proseguo verso sud, rifacendo la strada che porta ad Argostoli. La lascio al bivio per Skala, famosa località turistica della costa sud di Cafalonia. Vedo le prime case solo quando arrivo a ridosso della costa. La strada corre parallela al mare, e separa le tante, troppe casette e villette, dalle belle e grandi spiagge sabbiose. Anche questo doveva essere un bel posto selvaggio, magari solo un decennio fa...
Arrivo infine a Poros e vado a riconsegnare lo scooter. Non voglio dirgli che sono caduto e mi invento una piccola balla dicendo che mi è cascata la moto contro un muretto mentre parcheggiavo. Pago il danno, 20€ per lo specchietto nuovo, e torno in barca. Domani si va via, anche se non so ancora dove andrò.
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