Verso sud
Poche miglia a est di Itaca c’è l’isolotto di Atokos. Lungo poco più di tre chilometri e largo uno e mezzo, è completamente disabitato, nonostante la presenza di una chiesa. È proprietà privata di una famiglia di armatori greci, ma non per questo l’accesso alle sue spiagge e alle sue splendide baie è vietato, come purtroppo succede oggi in quella che fu l’isola di Onassis (Skorpios) diventata proprietà di magnati russi.
Mi ero sempre chiesto come mai in Grecia ci fossero tutti questi armatori ultramiliardari, e il motivo è molto semplice: gli armatori non pagano le tasse sui profitti realizzati all’estero. C’è addirittura una norma costituzionale che li protegge da eventuali richieste future dell’erario greco. Una vera e propria casta, che ha ramificato le proprie attività ben oltre il lavoro sul mare, occupandosi perfino di lavori pubblici, e che nessun governo, nemmeno quello di Tsipras dopo il quasi default del 2009, è mai riuscito a regimentare.
Atokos è una specie di cocuzzolo di montagna in mezzo al mare. Pareti altissime a picco, diverse insenature quasi prive di spiagge, se si escludono pochi metri di ghiaia mista a sabbia, e un mare turchese trasparentissimo da fare invidia anche alla rinomata Antipaxos.
A causa dei fondali profondi gli spazi per fermarsi non sono tanti, e quei pochi accessibili sono tutti già occupati. Dobbiamo attendere l’uscita di un catamarano da un ormeggio per impossessarci subito del suo posto. Caliamo l’ancora a una cinquantina di metri di distanza dalle pareti, e cominciamo a indietreggiare piano piano con il motore al minimo. Ho già preparato le due cime da portare a terra e legarle agli scogli e sto per tuffarmi lasciando Lella da sola in barca (cosa che so che non gradisce molto ma non c’è altra possibilità per fare questo tipo di manovra) quando dei vicini di barca si tuffano in mare chiedendoci di dargli le cime che ci penseranno loro a portarle a terra. Grande bazza, si direbbe, e non possiamo fare a meno di ringraziarli per questa loro gentilezza portandogli a nuoto una bottiglia di vino, pignoletto made in Castelfranco Emilia!
Non solo acqua trasparente ad Atokos, ma anche splendide formazioni rocciose, tutte così contorte che farebbero la felicità di qualsiasi geologo. E un mare anche pieno di pesci, comprese delle corvine (non ne sono sicurissimo ma quasi) molti difficili da vedere se non ad una certa profondità. E per di più un gigantesco lumacone, lungo almeno 20 cm., che si muove lentamente su una lama di roccia a un paio di metri sotto la superficie.
Pur protetti dal mare in questa bella insenatura non siamo però protetti perfettamente dal vento, che tutto il giorno ha soffiato con raffiche molto forti, e che anche adesso, alle undici di sera, porta una terribile aria calda che rende veramente difficile dormire sottocoperta. Dicono che sia l’anticiclone africano, che per tutta la prossima settimana dominerà questa parte di Mediterraneo. Per fortuna possiamo sempre buttarci in acqua quando l’afa morde.
18 luglio, Poros (Cefalonia)
Come oramai da diversi anni a questa parte uno degli sport preferiti di Marinella è quello di prenotare viaggi di ritorno a Bologna e poi cambiare idea e ritrovarsi a cercarne degli altri, per altre date e altri luoghi. Anche quest’anno dopo aver comprato il biglietto aereo Zante-Roma quando eravamo in spiaggia a Itaca, ha deciso di rimanere un’altra settimana, e quindi ieri sera ci siamo messi a cercare una soluzione diversa. Per fortuna nelle isole greche, anche in quelle disabitate, internet c’è sempre (non so come, ma c’è!) e così il nuovo rientro è previsto da Kalamata, in pieno Peloponneso. A Zante ci andremo lo stesso, ma senza più la necessità di andare in città faremo invece tappa nella sua baia più grande, quella delle tartarughe, a sud dell’isola. Per il momento spezziamo il viaggio fermandoci a Cefalonia, e precisamente a Poros, dove c’è anche un porticciolo per il diporto. Stamattina c’è una leggera brezza che permette di veleggiare, ma non possiamo fare a meno di tenere il motore acceso perché la batteria dei servizi comincia ad essere in crisi e si scarica più in fretta del dovuto, con il risultato che il frigo si spegne e non riparte più fino a quando non riaccendiamo il motore. Anche i pannelli solari, che negli anni passati riuscivano a fornire più o meno l’energia necessaria per alimentare il frigo, hanno ridotto notevolmente la loro capacità di produzione, nonostante il sole forte di questa estate.
Poros è una piccola cittadina situata sulla costa sud orientale di Cefalonia. Negli anni passati era un centro turistico molto vivo, ma oggi è un po’ in decadenza, scalzato da un’altra piccola località poco più a sud, la città di Skala. Rimane però un porto molto importante per i collegamenti con Zakintos, e lunghe file di camion entrano ed escono dai traghetti della Levante Ferries passando più volte al giorno accanto alla banchina dove siamo ormeggiati.
È una banchina più piccola di quella di Itaca, lunga appena una trentina di metri, senza colonnine per la luce ma con qualche rubinetto per l’acqua qua e là. C’è però un bagno, molto basic ma pulito e con carta igienica, e con un lavandino per lavarsi con addirittura il sapone liquido a disposizione degli avventori. E c’è anche qui l’esattore del porto, che ci accoglie all’arrivo, ci prende le cime e ci dà le informazioni “turistiche” perfino in italiano: qui c’è la taverna, la c’è il market, qui i bagni, di là si va in centro, etc.... Non ci lascia però nessuna ricevuta, e non vuole vedere nemmeno i documenti della barca, e il tablet che tiene in mano è spento. Mi sa tanto che il nostro “harbour master” non è proprio ufficialmente incaricato del ruolo, ma gli diamo volentieri i 15€ che ci ha chiesto, fosse solo per la simpatia delle sue chiacchere.
19 luglio – Zakintos
Ieri sera il frigo si è spento quasi subito dopo il nostro ormeggio, e stamattina ho letto sul voltometro appena 10 volt! Butta male. Senza frigo e con 40 gradi tutti i giorni la permanenza nelle baie è a forte rischio. Lo yogurt è già andato a male, i formaggi diventano molli tutte le sere e poi si riprendono la mattina, ma non va bene. Decidiamo di fare una sosta a Zante città per vedere se c’è modo di cambiare la batteria, ormai al quinto anni di vita. Tutta la navigazione la facciamo a motore, e alle due del pomeriggio siamo nel porto di Zakintos, molto più affollato di un paio d’anni fa, e con la banchina principale, quella sul lungo mare occupata da mega yacht e dai finti velieri turistici. Per noi diportisti normali c’è rimasta una banchina laterale, affollatissima. Mentre cerchiamo con lo sguardo un buco dove fermarci sentiamo la voce di un tizio che gira in motorino sulla banchina facendoci ampi gesti e indicandoci di seguirlo. È un “blue shirt” ovvero uno della società di servizi YZC, che non so per quale motivo gestisce - a prezzi abbastanza elevati - l’uso dell’acqua e della corrente elettrica, facendoti credere però che siano loro gli unici gestori del porto. Due anni fa pagammo 25 € al giorno, e ci sembrava anche una buona cifra. In realtà il costo “ufficiale” è di 6 € al giorno, quindi tutto il resto era dovuto per l’acqua, la luce e l’aiuto all’ormeggio. Quest’anno non ci caschiamo, e non chiediamo nessun servizio extra al rude marinero in blue che ci ha aiutato, mettendoci oltretutto in un posto molto scomodo, accanto a una scalinata che scende in acqua e rende complicato e precario posizionare la passerella. Per fortuna dentro il porto non c’è un grande traffico e le onde di risacca dei traghetti sono poche e discrete.
Fermata Eleftheria alla bella e meglio, con le cime fissate ad una ringhiera anziché a due bitte, scendiamo a terra alla ricerca del meccanico. Anche a Zakintos l’afa è tremenda, sudiamo solo al pensiero di dover camminare, e i litri di acqua che beviamo ogni giorno hanno ormai superato i tre a testa. Uscendo dal porto passiamo accanto ad una barca di italiani lì ormeggiata, un Vagabond 47, e gli chiediamo se per caso conoscono un meccanico. Per una coincidenza fortuita stanno proprio aspettando un meccanico che hanno chiamato per un problema che hanno all’elica di prua, e gentilmente ci danno il telefono di questa ditta. Li chiamo ma non subito, perché con il mio pessimo inglese temo di non riuscire a spiegarmi e ho bisogno di tutta la necessaria concentrazione per imbastire una conversazione immaginaria sperando che si svolga così come la sto pensando. E invece con mia sorpresa il tipo dall’altra parte del telefono capisce tutto subito, e dopo meno di mezz’ora mi richiama dicendomi che è già accanto alla barca. Facciamo una mezza corsa dal market dove ci stavamo rifornendo ancora di acqua, e cinque minuti dopo siamo al molo.
La batteria adesso va bene, il frigo pompa benissimo e la tensione e a 12, 80 v. E ti pareva che non succedesse così! Ho un attimo di esitazione, poi però decido di procedere con il cambio batteria, dal momento che mi conferma che in un’ora può tornare con la batteria nuova e cambiarla.
Ci mettiamo all’ombra del tendalino nell’attesa del ritorno del meccanico, continuando a bere acqua fredda e frizzante. Quando il meccanico testa la batteria nuova la tensione è identica a quella vecchia, anzi un po’ meno, 12,70 v. e il frigo ovviamente non riparte.
Non si preoccupi, ha solo bisogno di un po’ di carica con il motore e vedrà che poi si sistema.
Metto in moto e spero di non aver comprato una batteria farlocca, dal momento che non ho visto nessun sigillo di garanzia tolto e non ho nessuna prova che non ci abbiano rifilato una vecchia ciabatta!
20 luglio, Keri (Zakintos)
La baia delle tartarughe a sud di Zante è molto grande. Da un capo all’altro misura quasi 15 km, ed è divisa nella classiche tre zone di protezione, A, B e C. Sulla carta però, perché a ben vedere ci sembra che le barche scorrazzino liberamente un po’ dappertutto. Noi puntiamo ovviamente alla zona C, dove è permessa sia la navigazione che l’ormeggio, e dove si trova il paesino di Keri, nostra meta di oggi. L’acqua della baia non è così bella come speravamo, almeno da queste parti. È verde e non azzurra, pesci pochissimi, vegetazione inesistente. Non invoglia neanche tanto a fare il bagno, ma è troppo caldo per non tuffarsi, e poi c’è sempre da controllare l’àncora per vedere se ha preso per bene sul fondo. Tutto il giorno soffia vento da nord ovest, anche abbastanza sostenuto, per cui in barca si balla un po’. Se si aggiunge il moto ondoso provocato dai mille barchini che vanno e vengono dalla spiaggia che c’è nell’isolotto di fronte (fra l’altro zona A, quella che dovrebbe essere riserva integrale) la vita a bordo diventa molto stressante. Anche se non ne abbiamo molta voglia mettiamo Iv in acqua e scendiamo a terra. Il porticciolo è strapieno di barchini e trovare un buco per fermare Iv è abbastanza difficile. Ci facciamo largo tra una barca e un altra per raggiungere il molo di cemento e legare il nostro dinghi ad una bitta già strapiena delle cime delle altre barche.
Keri è un paese di villeggiatura, nel senso che il paese di Keri è all’interno e questo in cui siamo scesi è una specie di Keri Marina, con tante case per turisti, ristoranti e bar sul lungomare. Ci sarebbe anche un laghetto alle spalle della spiaggia, ma è totalmente prosciugato, somiglia più ad un campo da calcio che ad una laguna. C’è poi una specie di villaggio nel villaggio, ovvero un insieme di case in sasso ristrutturate, con tanto di stradine in acciottolato, ulivi inseriti nei muretti a secco, e una grande quantità di fiori e piante dentro e fuori i giardini a fianco di ogni casetta. Evidentemente qui di turisti ce ne sono tanti, anche se non si vedono, eccezion fatta per qualche italiano incontrato al market e agli immancabili e sempre bianchissimi inglesi.
Ceniamo ancora una volta in barca, mentre si prepara un’altra notte di caldo e umido. Domani andiamo in Peloponneso, per iniziare l’ultima parte del nostro viaggio verso Kalamata.
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