Peloponneso

 





Notte di caldo e umidità. Partiamo presto per il Peloponneso. Ci sono quasi cinquanta miglia fra noi e Kyparissia. Al mattino presto non c’è mai vento; poco male, devo tenere il frigo “allegro” e caricare per bene la nuova batteria. Il vento arriva a metà viaggio, alle spalle, e solleva subito un’onda che quando siamo nei pressi del porto è diventata abbastanza alta e fastidiosa. Entriamo fra i due moli guardiani di un porto grande e deserto. La banchina est è l’unica in cui sono presenti alcune barche, diportisti come noi. Caliamo l’àncora e manovriamo per arrivare in banchina. Un signore a terra ci aiuta con le cime, ma come spesso succede le fissa su una bitta troppo laterale rispetto alla catena sul fondo, e così dobbiamo un po’ tribolare per mettere la barca perpendicolare al molo. Accanto a noi un’altra barca, con a bordo una coppia “agè”, lei di Honkong, lui forse tedesco, non ho ben capito visto che tutti comunichiamo usando l’inglese. Un po’ più in là c’è una barca francese, un Alubat di 15 metri molto bello, con un nome italiano. Forse è un “polacco come noi”, ovvero barca registrata in Francia e proprietario italiano. La tipa di Honkong è molto chiacchierona, ci dice che l’acqua c’è, ma la corrente elettrica no (e questo lo sapevamo già), e che l’acqua è caldissima, tanto che non si riesce a fare la doccia “è buona solo per lavare i panni!”. Vado a verificare e noto subito che la tubazione che arriva al rubinetto è tutta esterna e corre per centinaia di metri; ed essendo anche abbastanza grossa contiene parecchi litri d’acqua, tanto che dopo più di mezz’ora che ho il rubinetto aperto per pulire la barca dal sale e per riempire il nostro serbatoio, faccio ancora molta fatica a farmi una doccia, al limite della scottatura. Secondo me era oltre i 50 gradi, ora forse è a 40!
Nel frattempo Lella è scesa terra per il classico giro di “esplorazione del territorio”. Io ho un dito del piede tutto nero e gonfio, colpa di una collisione con un bozzello, e faccio un po’ fatica a camminare. Ci ho messo sopra della pomata tipo Lasonil, scaduta però da sette anni, e temo che non sia troppo efficace. Passerà.

Il porto deserto di Kyparissia

Il paese di Kyparissia è assai strano. È fatto tutto di palazzine abbastanza nuove, che sorgono una lontana dall’altra, in mezzo a spazi di “aperta campagna” e a case diroccate. Il paese si sviluppa sulla collina, e quindi dal porto le strade, brutte e sgarrupate, sono tutte in salita, fino a quando non si raggiunge una grande piazza squadrata, presumo il cuore della vita cittadina, completamente circondata da grandi alberi e bar fra i quali anche dei super mega bar bistrot extralusso, con tavolini bassi coperti di fiori e circondati da divanetti e puffi; ventilatori giganti per gli avventori nei rispettivi dehors, e aria condizionata nelle sale al chiuso.  Il primo si chiama “Square”, il secondo “Onore”, e il terzo non me lo ricordo più perché facevano talmente ribrezzo che siamo andati a cercare il bar più popolare possibile. Ne abbiamo trovato giusto uno, defilato in un angolino, e lì ci siamo fermati per una birra.
Proprio strani mega bar così in questo posto, con i giovani camerieri tutti in divisa, pronti a servire clienti che per il momento non ci sono, ma che non immagino nemmeno da dove possano arrivare, visto che il paese non è certo una gran bellezza turistica. Certo, adesso sono le sei del pomeriggio e ci sono 38 gradi! Magari stasera... chissà. 
 
L’ingresso della baia di Navarino

22 luglio, Pylos
 
È luna piena, ed è davvero un peccato non navigare di notte per godere della sua splendida pallida luce. Il consulto meteo del mattino non è molto rassicurante. Si prevedono venti da NW a 15 nodi, con rinforzi a 25 nodi nel pomeriggio e fino alle 21 circa. Poi la solita calma notturna. Noi andiamo a sud, è vero, quindi non sono venti contrari, ma probabilmente ci impediscono di fare il bagno in una spiaggia vicino alla baia di Navarino, che per la seconda volta saremmo costretti a bypassare. Peccato, perché questa spiaggia è a forma di ventaglio, quasi come fosse un atollo del pacifico, con acqua cristallina e sabbia bianca, ma purtroppo la sua “passe” è proprio a NW, la direzione dei venti dominanti estivi in questa zona. E infatti quando ci passiamo davanti vediamo le onde frangere violentemente contro gli scogli che ne delimitano l’ingresso, e la spiaggia non a caso è completamente deserta.
Quando poi entriamo dentro la baia di Navarino abbiamo la stessa sensazione di quando si entra in un porto fuggendo dalla tempesta. Siamo passati dal “frullatore” causato dalle onde alte quasi un metro, e per giunta incrociate, alla calma piatta della bonaccia. Merito degli scogli che fermano sempre il mare! Navarino è una specie di grande lago, lungo 8 miglia e largo 3. Dentro la baia la città di Pylos a sud, e il piccolo abitato di Gialova con la sua spiaggia a nord. Pylos ha anche un marina, gratuito e abbandonato, al punto tale che è ormai pieno di barche anche loro abbandonate, e trovare posto lungo le banchine è abbastanza difficile. Noi preferiamo calare l’ancora fuori dove ci sono già tante altre barche, ma non abbiamo fatto i conti con questo insistente maestrale a 25 nodi, che riesce a penetrare anche nella baia e a creare un’onda di 30-40 cm., corta e pestilenziale, che al momento di mettere Iv in acqua e salirci sopra, mostra tutta la sua cattiveria, facendo saltellare il nostro dinghi e bagnandoci ben bene mentre cerchiamo di raggiungere la banchina del porticciolo.

Le mura della 
Fortezza di Pylos

Pylos è una piccola cittadina adagiata sui fianchi di due collinette separate da un canalone che porta al mare. Non è brutta, anzi al confronto con Kyparissia è una bomboniera. Ha la sua piazza centrale e i suoi bar tutto intorno, come si usa qui, ma di dimensioni più modeste e meno “spocchiosi”. Giriamo senza meta fra le sue case fino a raggiungere la chiesa, posta in alto su una delle due colline, per poi finire dentro l’area della Fortezza edificata dai turchi nel ‘500. Qui in Peloponneso le fortezze, turche o veneziane che siano, non mancano mai. In ogni paese costiero che si rispetti ce n’è una, persino nella lontanissima Nauplio, ben dentro il Golfo dell’Argolide c’è una gigantesca fortezza veneziana, forse la più grande e la meglio conservata che abbiamo mai visto. Un paio di anni fa, visitando il museo navale di Venezia, sono entrato in una sala dove si trovavano esposti quadri e tavole nelle quali erano rappresentate tutte le città costiere conquistate dai veneziani nel corso dei secoli, in Adriatico come nello Ionio, nella costa dalmata e in Grecia, Corfù, Lepanto, Methoni, Koroni, Nauplio, tutte con le loro imponenti mura fortificate.
Qui a Pylos si è combattuta una famosissima battaglia durante la guerra per l’indipendenza greca nell’800 e un grande murale all’uscita dal porto ricorda i capitani inglese, francese e russo che sconfissero la flotta egiziana alleata degli ottomani. Murale scolorito, sbiadito, e nemmeno tanto curato, mi sa proprio che agli abitanti di Pylos non gliene freghi poi molto di questo avvenimento...


Sapientza e Koroni
 
La baia stamattina è un lago, placido e immobile. Mare liscio come l’olio ma brutto, non sembra nemmeno di essere in Peloponneso. Volevamo fare il tuffo mattutino del risveglio, quello che si fa prima di prendere il caffè, giusto per rinfrescarsi dopo un’altra notte di caldo, e invece facciamo subito fagotto, lasciando la baia dirigendoci verso l’isola di Sapientza, di fronte alla cittadina di Methoni, per passare qualche ora facendo bagni e snorkeling in un bel posto. Questa piccola isola lunga appena 2,5 km. è disabitata, o quasi. Dall’ultimo censimento del 2011 risultano solo due abitanti, ma dieci anni prima erano in sette, e prima ancora nel 1991 erano in quattro (dato Wikipedia). Mi chiedo cosa ci stanno a fare due sole persone in un’isola così piccola, ci fosse almeno un faro da gestire, ma non c’è nemmeno quello, solo dei fanali automatici.
La piccola spiaggia di acqua azzurra è piuttosto frequentata, e insieme a noi vi è un gruppetto di persone, due famigliole si direbbe, intente a ripararsi dal sole sotto gli ombrelloni e a rifocillarsi con panini imbottiti e bibite. Sono italiani, e mi sembrano usciti da un film degli anni sessanta: la musica, i bimbi che giocano urlando, le ragazze adolescenti stese sugli asciugamani a prendere il sole, e la mamma con il frigo portatile che distribuisce cibi e bevande a tutti. E non è neanche mezzogiorno!
Lasciamo la spiaggia e torniamo a nuoto alla nostra Eleftheria, alla fonda a un centinaio di metri dalla costa. 

Koroni e la sua baia

Koroni è a una decina di miglia da noi e la raggiungiamo navigando a vela. Ci fermiamo nell’ampia baia che si affaccia sul lungomare del paese, su un fondo di sabbia e un mare trasparente, anche se di color verde e non azzurro. Ormai ci siamo talmente abituati al colore azzurro che tutte le volte che non lo vediamo ci restiamo male, anche se il mare è ugualmente bellissimo. Nella baia ci sono appena quattro barche, compresi noi. È il bello di questi posti, pochissimi turisti per mare, cittadine poco o per niente rumorose, mari puliti.

Una chiesetta fra i 
vicoli di Koroni

Koroni è un paesino delizioso. Scendiamo a terra con Iv e per prima cosa prendo subito un gelato, pistacchio e yogurt all’arancia, il più buono che ho mangiato finora in Grecia, forse più buono di quello preso a Corfù. I ristoranti lungo la marina sono al momento vuoti, con i loro tavoli di legno e le classiche sedie impagliate. Nelle stradine e nei vicoli del paese si alternano negozi per turisti e negozi “normali”, pochi quelli di paccottiglie tutte uguali, tipo sottobicchieri, carte da gioco, tazze e posaceneri, e fesserie simili. C’è un negozio di articoli fatti all’uncinetto, dai costumi da bagno ai centro tavola; uno che vende gioie e oggetti per la casa, di legno e ceramica; uno di abbigliamento non sciocco, e così via. E poi tanti gatti, per la gioia di Marinella. 



Svoltando per un vicoletto più defilato, sotto una grande pianta di bouganville, sentiamo un miagolio continuo e un po’ straziante. È una gattina magrissima, stesa lungo la salita, e quasi sicuramente ha dei cuccioli. È talmente magra che gli occhi sembrano la cosa più grande che abbia. Lella non si trattiene e si precipita in un supermarket per comprare dei croccantini. Ci sono solo pacchi da 5 kg, oppure scatolette. Poi cercando meglio nello scaffale troviamo anche un pacchetto da mezzo chilo. Una corsa su per il vicolo ed è fatta: anche questa gatta è salva, almeno per oggi ha da mangiare, lei e i suoi quattro cuccioli.



La fortezza di Koroni è molto grande, ed è stata in buona parte “riconvertita”, con la costruzione al suo interno di una grande chiesa e di un altrettanto grande convento, comprese zone di coltivazione di fiori e piante ornamentali, ma anche ulivi, limoni, bergamotti e altre piante “utili”. Il convento è del 1916, e non è consentito entrare in pantaloncini e canottiera. Dei grandi “pareo” sono comunque disponibili accanto al portone principale, per chi ne avesse bisogno.
Fuori dal convento, in un’altra zona della fortezza con vista sul mare, si trova invece il cimitero di Koroni. Sembrerà strano, ma noi entriamo sempre a vedere come è fatto un cimitero in un altro paese; è come se dal culto dei morti si riuscisse a capire un po’ meglio come vive o ha vissuto quella comunità, o almeno così ci sembra. Una cosa curiosa delle iscrizioni su queste tombe è che non c’è la data di nascita del defunto, ma solo quella di morte, con l’indicazione a fianco dell’età. Molti novantenni o quasi, e molte foto di persone molto sorridenti. Si vede che hanno trascorso una buona vita, o forse i parenti li hanno voluti ricordare così, allegri e felici. Sono tutte foto di persone anziane, eppure forse non sarebbe una cattiva idea quella di mettere nelle tombe non una solo foto ma diverse, a ricordo di come quella persona è stata nel corso della sua vita, da ragazzo, da adulto e da anziano. Chissà.
 
Kalamata
 
Siamo stati fermi un paio di giorni qui nella baia di Koroni, a oziare, a fare il bagno dall’altra parte del promontorio, dove l’acqua è più bella, ma ahimè più mossa, e a cenare in barca. Nonostante tutti i propositi di andare al ristorante, abbiamo preferito ancora una volta mangiare in barca. Alla fin fine si è più liberi, si mangia in costume, ci si fa la doccia subito un attimo prima, grazie alla nostra magnifica “doccia solare”, e poi si rimane sdraiati in pozzetto a sorseggiare un rum o un ouzo, guardando il panorama. Ieri sera purtroppo la musica che proveniva da un locale sul lungomare era pessima, una orribile bum-bum music che ha guastato l’atmosfera di tranquillità che c’era fino a quel momento. Ma pazienza, Koroni rimane sempre un bel posto dove fare una sosta.
 
Qui nel Golfo di Messenia il vento soffia sempre allo stesso modo in questi giorni. La notte e la mattina presto è calma totale; verso le dieci comincia a soffiare da sud e rimane così fino al primo pomeriggio, poi inverte e inizia a soffiare da nord ovest. E arriva tranquillamente a 15 nodi, con raffiche anche più forti. Quando entriamo nel porto di Kalamàta abbiamo già mezzo metro di onda alle spalle e siamo arrivati navigando quasi solo a vela. Il marinaio che ci assiste al pontile ci dà le prime indicazioni sui servizi, acqua e luce sempre accessibili senza nessuna card, bagni in quella palazzina, uffici in quell’altra, etc... Sistemiamo per bene le cime d’ormeggio, mettiamo giù la passerella e ci prepariamo per il mega bucato di più di una settimana. La lavanderia è dentro il marina, esattamente dentro il bagno degli uomini. C’è una sola wash machine, con accanto una dry machine. Chiediamo alla reception del marina come si usa, e la risposta è 2-1-1-0,50. Sulle prime penso che sia la combinazione per poter accendere la macchina, ma forse no. La lavatrice è con carica dall’alto, e al centro del cestello c’è una specie di elica che lo fa somigliare tanto ad un enorme mixer da cucina. Seguiamo le istruzioni mettendo prima il detersivo (che si perde in quell’enorme cestello) e poi tutti i nostri panni. A fianco della pulsantiera c’è una specie di rastrelliera/carrellino con dei solchi che sembrano fatti apposta per ricevere delle monete. Mettiamo uno accanto all’altro 2€, poi 1€, 1€ e 50 centesimi, e infine spingiamo questo carrellino dentro la macchina. Si accende una luce, le monete cadono dentro e la macchina parte. Scroscio d’acqua e poi un “cla-clank” ritmico e continuo come di un frullatore che sta macinando tutto. Ci viene il panico, forse abbiamo messo dentro troppi indumenti, si strapperanno le lenzuola, dovremo buttar via tutto! Faccio immediatamente un filmatino e corro alla reception per mostrarlo. No problem, is normal, è la risposta della gentilissima addetta.
Terminate le incombenze, fatta una doccia refrigerante, andiamo in città. Kalamata è la seconda città del Peloponneso. Non è una città turistica e ci sembra molto tranquilla. Un lungo parco cittadino la attraversa da nord a sud. Al suo interno c’è la vecchia stazione ferroviaria, oggi non più in uso, e trasformata in un bar. Lungo i binari ancora presenti ci sono vecchie locomotive e carrozze da inizio secolo, una specie di museo all’aria aperta. 



Le carrozze non sono visitabili, e alcune sono diventate dimore per gatti. Oltre il parco inizia la zona dello shopping che conduce fino alla città vecchia, al Castro. Prima di arrivarci ci imbattiamo in una festa di piazza, con tanto di fuochi d’artificio (in pieno giorno?), cori e canti, e clacson strombazzanti. Strana festa, ci avviciniamo un altro po’ e scopriamo che si tratta di tifosi dell’Olimpiakos, che stanno festeggiando qualcosa che non sappiamo.
Le strade attorno al castro sono piene di ristoranti. Un cortile circondato da alberi e piante e con piccoli tavoli apparecchiati per due è la nostra scelta per il primo ristorante greco di quest’anno. Orektikà, acciughe marinate e calamari, pita e vino bianco, mentre lentamente la frescura serale avanza. Due ragazzi con chitarra e mandola si siedono attorno ad un tavolo vicino al nostro, raggiunti poco dopo da una ragazza. Tirano fuori i loro strumenti dalle custodie e iniziano a suonare e cantare musica tradizionale greca. Molto bella, un toccasana per le nostre orecchie, e rimaniamo lì seduti ad ascoltarli per molto tempo, ignari della tragedia che da lì a poco si consumerà sulla nostra testa.
 


Lasciato il castro e i suoi ristorantini torniamo alla barca. Dobbiamo ancora fare il check-in per il volo di Lella di domani, e vogliamo farlo adesso perché domani abbiamo in programma di noleggiare una moto e fare un bel giro lungo le strade e le montagne della penisola del Mani. Entrata nel sito di Ryanair, al momento di inserire i dati del documento, Lella non trova la carta d’identità. Cerca nella borsa, guarda nello zainetto, dentro il tavolo da carteggio, nel portafoglio, non c’è, non c’è da nessuna parte, non c’è perché non l’ha presa! È rimasta a Bologna! Disperazione totale, senza carta d’identità non c’è modo di lasciare la Grecia se non tornando indietro dalla stessa strada fatta, cioè con la barca. Forse si può partire anche con una denuncia di smarrimento del documento, ma occorre farla in fretta, domani è venerdì e il volo è sabato mattina, solo 36 ore di tempo per fare tutto. Non ha nemmeno una fotocopia della carta d’identità, e per fortuna Paola da Bologna riesce a inviare una foto del documento, almeno quello. 
Domani sarà una giornata difficile, altro che giro del Mani.
 
Kalamata, secondo giorno
 
Notte quasi insonne, e occhi puntati su tutti i siti che possono dare informazioni al riguardo. Pare che molte compagnie aeree accettino la denuncia di smarrimento come documento sostitutivo, ma Ryanair nella sua nuova policy non lo prevede, richiede anche un documento sostitutivo rilasciato dall’ambasciata. In ogni caso per prima cosa dobbiamo andare a fare una denuncia alla polizia. Il consolato italiano di Kalamata apre alle 9 e oggi riceve solo al pomeriggio, dopo le 18. Chiamiamo lo stesso e il console, una gentilissima signora toscana, che si prende a cuore il caso e ci dice che andrà direttamente lei in aeroporto per informarsi. Intanto però ci conferma che occorre la denuncia, primo passo senza il quale non si fa nulla. Il poliziotto che ci riceve ci dice subito che in centro a Kalamàta un suo amico ha una gelateria, è italiano e si chiama Luciano. Sorridiamo amabilmente, pur non fregandocene nulla, e speriamo solo che questo sia un segno di buona accoglienza. Ci porta al piano di sopra da un altro collega che comincia a porre le domande necessarie a fare la denuncia. Conoscendo la difficoltà di Marinella a dire le bugie ho il timore che possa rivelare di aver dimenticato il documento a casa e non di averlo preso qui in Grecia, forse compromettendo questa vitale denuncia.
Where are you from? Bologna. 
Are you from Polonia? Yes! 
And You? Rivolto a me.
I’m Italian, she is my wife. 
Document please. 
Of course, this is my driver license… non capiamo cosa sta succedendo e perché chiede a me i documenti, poi Lella ha un illuminazione.
No POLONIA, BOLOGNA, my city in Italy is Bologna!!
Che casino, per fortuna rientrato. Il poliziotto comincia scrivere, compila tutto, fa leggere (è tutto scritto in greco!!) e poi fa firmare a Lella. Dopodiché ci dice: tomorrow. Come tomorrow?! è impossibile, ci serve oggi, domattina abbiamo l’aereo alle 10,30! Ci guarda un po’ perplesso, poi ci chiede la mail. Se riesce oggi pomeriggio ci farà avere la denuncia per mail, di più non può.
 
Lasciamo il comando di polizia, informiamo il console e torniamo in centro. Tempo sospeso, non sappiamo cosa fare, se non mille possibili congetture su come andrà a finire. Se il volo salta forse si può prendere un altro volo da Atene, con una compagnia che non fa le stesse resistenze di Ryanair; oppure un traghetto da Patrasso, ammesso che i traghetti siano più “permissivi” in fatto di documenti. Qualche ora dopo arriva per mail la denuncia. Il poliziotto è stato rapido e questo è già un buon punto di partenza. Adesso aspettiamo di sapere cosa dice il console di ritorno dall’aeroporto. Squilla il cellulare e finalmente la buona notizia: anche per Ryanair non ci sono problemi, domattina si può partire. Tutto è bene quel che finisce bene, come si usa dire nelle favole, e anche stasera si va al ristorante, vicino al marina però, dove ci sono diversi locali dall’aria popolare e sicuramente buoni.

Il nostro amico che
 ci aspetta sul pontile
 
Kalamata – Methoni, sabato 27 luglio
 
Il taxi per l’aeroporto ci aspetta alle 7,30 davanti all’ingresso del marina. Nikos l’ho chiamato ieri sera per prenotare la corsa, non si sa mai. Il check-in apre alle 8,30, il bar nella hall non ha nemmeno un tavolino dove sedersi a prendere un caffè, che consumiamo seduti sulle sedie della sala d’attesa: 12,20 € per due caffè e un croissant, più caro di un piatto di calamari fritti al ristorante! Gli aeroporti, si sa, sono dei “non luoghi” con regole tutte loro. 
L’addetta di Ryanair ci dice che per lei è tutto ok e che è meglio chiedere al controllo di polizia se la denuncia di smarrimento stampata dalla mail e la copia della carta di identità va bene lo stesso o no. Nella fila dell’imbarco c’è un’altra coppia di italiani con una denuncia di smarrimento, ma la loro è originale, speriamo bene. Quando tocca a Lella il poliziotto guarda il pdf stampato, poi chiede la fotocopia della carta d’identità e poi dice: OK!
Fine di un incubo, Lella può finalmente partire, bacio rapido di commiato (la fila spinge) e prendo un altro taxi per ritornare in città.
Adesso sono di nuovo solo, vado a pagare il marina (87€ per due giorni) e mollo gli ormeggi. Si torna indietro, non ho voglia di navigare verso sud, non da solo. So che la parte sud del Peloponneso è più selvaggia, niente porti, niente marina, solo un paio di baie e spiagge dove potersi fermare prima di girare capo Maleas per entrare in Egeo, ma adesso non ne ho proprio voglia. Chissà, magari un’altra volta, in compagnia.

La baia di Methoni

A Methoni ci arrivo solo pomeriggio tardi. Il vento da sud che risale il golfo di Messenia non si è fatto attendere e con lui anche l’onda. Per un po’ ho provato a bolinare, ma dopo la prima virata ho visto che non riesco a guadagnare acqua, il mare contro mi fa scarrocciare e quello che guadagno in un bordo lo perdo nell’altro, con il risultato di fare un zig zag inutile. Chiudo il genoa, riaccendo il motore e a 4 nodi avanzo con il mare e il vento contro. Per un po’ tengo aperta ancora la randa, poi la chiudo, si rovina inutilmente, non ne vale la pena. Doppiato il capo metto prua a nord, il vento non è più contro e posso riaprire le vele. La torre di guardia, simbolo di Methoni, è a una decina di miglia. La baia, grande e sabbiosa è ideale per fermarsi per la notte e poi anche l’acqua qui è bella e trasparente, molto meglio che a Koroni. Spengo il motore, mi siedo in pozzetto e mi bevo una bella birra ghiacciata, una Fix, presa dal frigo che va a bomba!

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