Itaca
La baia di Vathì, il capoluogo dell’isola di Ithaki, è ancora vuota quando ci entriamo alle due del pomeriggio di domenica 14 luglio. Sulla lunga banchina comunale si vedono molti posti liberi, e sapendo che qui il vento viene sempre da nord ovest cerco di scegliere quello che al momento è più protetto dalle altre barche già ormeggiate. Iniziamo la manovra, con Lella a prua che fila la catena dell’àncora e io che indietreggio lentamene verso la città. Un solerte diportista a bordo di un caicco blu tirato a lucido, già fermo in banchina, ci fa segno di avvinarci alla sua barca. Abbiamo dato àncora un po’ più lateralmente, ma seguo ugualmente il suo consiglio, visto che è anche sceso dalla barca per prendere le nostre cime e fissarle alle bitte. Il risultato finale è che siamo totalmente storti, ma per non essere scortese faccio finta di niente. Per nostra fortuna subito dopo arriva un “motoscafino” con a bordo una famigliola, mamma e babbo, figlio e figlia (forse nonni e nipoti, chissà) che ormeggiano accanto a noi e che, notando il nostro ormeggio quasi a “spina di pesce”, ci aiutano a rimetterci dritti, allontanandoci decisamente dal caicco e restituendo un po’ di dignità al nostro faber marinero.
Da quando abbiamo lasciato Corfù è la prima volta che siamo fermi in una banchina e le cose da fare sono tante, a partire dal lavaggio dei panni sporchi, che si sono accumulati fin dalla partenza da Ravenna, quasi tre settimane fa. La nostra laundry di riferimento oggi è chiusa, sfiga, ma per fortuna ce n’è un’altra proprio a due passi dalla barca. È meno elegante della prima ma ha una cosa in più: servizio doccia e due lavabi con specchio grande, ottimi per farsi la barba!
Un tizio arrivato poco prima di noi ha occupato tutte e tre le lavatici disponibili, e aspettiamo pazientemente che termini il suo lavaggio prima di fare il nostro.
Doccia e shampoo però li facciamo direttamente dalla gomma dell’acqua in banchina, come fanno anche altri e con questo caldo è proprio una vera goduria.
Lunedì 15 luglio, Itaca
Le barche accanto a noi questa mattina hanno tolto gli ormeggi e sono andate via. Speriamo che al loro posto non arrivino delle flottiglie charter che sono sempre le peggiori e con le quali si rischia di subire dei danni da skipper ben poco avvezzi alla pratica diportistica.
Oggi andiamo in spiaggia, abbiamo scelto quella di Mnimata, a circa 3,5 km di distanza. La strada che porta a Mnimata prima costeggia tutta la baia, poi inizia a salire per scavalcare il promontorio oltre il quale si scende verso il mare. La strada è totalmente assolata, con pochissimi alberi qua e là dove ripararsi dal sole già forte del mattino. Nei nostri zainetti, oltre alle maschere da sub, ai teli da mare, ai telefoni e ai rispettivi libri, c’è solo un litro e mezzo d’acqua, che dopo le prime tre curve si è già dimezzata. Arriviamo al culmine della salita grondanti di sudore e con le labbra un po’ appiccicose, superati da qualche macchina o moto di bagnanti che si dirigono alla spiaggia. Ancora un sorso d’acqua e siamo di nuovo al livello del mare. Ci sistemiamo sulla spiaggia sassosa all’ombra di un albero e ci tuffiamo immediatamente. Tra un bagno e un altro si fanno le quattro del pomeriggio e arriva l’ora del rientro.
La banchina si è completamente riempita di altre barche. Accanto a noi due coppie di romani/siciliani con due bambini, con i quali chiacchieriamo amabilmente. Hanno una barca a noleggio e solo una settimana di ferie. Ci invidiano, e soprattutto invidiano la nostra grande disponibilità di tempo. È sempre così, è il grande irrisolto, anche delle barche; il poco tempo disponibile è il nemico principale dell’andar per mare, e quando arriva il momento in cui hai il tempo necessario, poi non hai più le energie o il desiderio di andarci. Una delle ragazze mi dice: ho fatto i conteggio e potrò andare in pensione nel 2046! Non ce la farò mai ad aspettare!
A volte penso che tutto sommato sia stato un bene che la voglia di andare in barca a me sia venuta solo a cinquant’anni suonati, e che quindi non abbia dovuto aspettare tantissimo tempo per poter fare queste lunghe vacanze/navigazioni, e realizzare così quello che per molti rimane per sempre un sogno nel cassetto, destinato a sbiadire nel corso tempo.
Da quando siamo partiti non abbiamo cenato nemmeno una volta al ristorante. Itaca sembra il posto giusto per farlo e giriamo fra i tavoli delle tantissime taverne alla ricerca di quella giusta. Non so perché ma ci sembrano tutte tristemente uguali, con menù identici e “turistici”, e con proposte che alla fin fine non ci attirano. Cambiamo idea e andiamo a prendere un bel polpo alla pescheria del supermercato per cucinarlo in barca. Scelta ottima, ma che non ha fatto i conti con il diportista del caicco blu!
È tutto il pomeriggio che il nostro “amico” ascolta, ad un volume ben più alto del sostenibile, un repertorio di musica tradizionale greca. Non ci sarebbe niente di male se non fosse che, oltre ad ascoltarla, il nostro amico ci canti sopra. Un micidiale karaoke sostenuto da un numero ormai imprecisato di birre e che dura ininterrottamente da almeno sei ore!
Fa sempre così?, chiede Salvatore, il nostro vicino di barca oramai in preda ad una crisi di nervi. Non lo sappiamo, risponde Lella onestamente, speriamo che smetta prima o poi.
Ma “l’amico” non smette, e quando il nostro polpo è pronto ed è l’ora di cena, come unica speranza ci rimane un tentativo: mettere su della musica anche noi. Apro la App di Radio Popolare sul telefono e becco in diretta un programma di musica reggae, non è il massimo ma almeno neutralizza il cantore greco!
16 luglio, Vathì
Un vento caldo e secco ha soffiato per tutto il pomeriggio di ieri fino a tarda serata. Anche oggi non si prevedono cambiamenti di sorta, siamo in pieno anticiclone africano e sarà così per parecchi giorni ancora. La spiaggia che abbiamo scelto oggi è un po’ più vicina, sempre sulla costa est, ma con meno dislivello da percorrere. Si chiama Sarakiniko e si raggiunge in poco più di un’ora di cammino. Alla fine del sentiero in discesa, fra grandi ulivi coltivati su terrazzi, si apre questa bella spiaggia di sassi, quasi deserta. Siamo in quattro soli bagnanti, poi in sei, dopo, cinque, poi in tre... Non c’è di certo una folla di turisti, eppure l’acqua è bella e trasparente, e vi sono una decina di ombrelloni già piazzati con doppio lettino annesso, che nessuno per adesso utilizza.
Sistemiamo i nostri teli sui sassi bianchi già caldissimi ed entriamo in acqua per il solito snorkeling mediterraneo.
All’ombra degli ulivi, sui terrazzamenti, ci sono un paio di tende di giovani campeggiatori, con tanto di zaino appresso. Avevamo notato ieri in città che alcuni ragazzi, zaino in spalla appunto, consultavano delle carte ma credevamo che stessero cercando un alloggio cittadino, dando per totalmente escluso che stessero invece cercando dove fare “campeggio libero”. Siamo proprio diventati anziani!
Il sole picchia e i lettini vuoti con gli ombrelloni sono una tentazione. Mi avvicino, leggo il cartello con il prezzo giornaliero, solo 10 €, e non ci penso due volte. Prendo le mie cose e mi trasferisco lì. Lella resiste ancora un po’ sotto il sole, ma non per molto.
Non so a chi pagare la tariffa, qualcuna passerà penso, ma non gliene diamo il tempo. Sul telefono ho cercato dei voli per l’Italia e ho visto che c’è n’è uno da Zante a Roma molto economico, solo 70 €. Lella vuol subito prenotarlo e quindi torniamo immediatamente in barca per fare l’acquisto.
Come sempre la banchina si è riempita. Una barca di ragazzi serbi alla nostra sinistra, una barca inglese con timone a vento e gigantesca bandiera a poppa alla nostra destra. Il caicco blu del “cantore greco” non c’è più, è andato via pensiamo, invece si è solo spostato di una ventina di metri più in là. Ha la radio spenta, ma sono sicuro che dopo qualche altra birra riprenderà a bomba!
Fa caldo, ci facciamo una doccia dopo l’altra con il tubo dell’acqua, prenotiamo il volo, beviamo, leggiamo, facciamo un po’ di spesa. Domani ti lasciamo, Itaca, si va in baia a fare il bagno nella turquoise water!
L’esattore di Vathì
Il porto comunale di Vathì è a pagamento, come tanti altri porti qui in Grecia. Si cala l’ancora nel centro della baia, ci si avvicina a retromarcia con la poppa alla banchina e ci si ferma con le cime sulle bitte o sugli anelli d’acciaio. Lungo il molo c’è la possibilità di avere acqua corrente ed energia elettrica, distribuite attraverso una serie di colonnine che funzionano con tessere magnetiche a consumo. Una volta al giorno un esattore incaricato passa ad incassare la quota. Noi paghiamo 12,20 € al giorno. Due anni fa l’esattore era una donna, piccola di statura, un po’ sgarbata, molto sbrigativa e poco empatica. Credo non le piacesse molto avere a che fare con i diportisti, ma era molto compresa nel suo ruolo, che esercitava con un piglio degno di un generale.
Quest’anno l’esattore è un uomo, un ragazzo dagli occhiali tondi e spessi che parla un inglese un po’ difficile da comprendere, anche perché si mangia le parole. Non ha l’aria sveglissima, ma fa il suo lavoro: controlla il libretto di navigazione, compila il form online sul suo tablet con tutti i dati della barca, e preme invio per il calcolo della tariffa relativa alla sosta per una notte in porto. Pagamento solo cash, e quando gli do il biglietto da dieci euro lo appallottola nella mano come se fosse una cartaccia da buttare nel pattume e lo caccia in fondo al suo zainetto. Credo che lo faccia per il vento, per evitare che volino via, ma ormai lo fa anche quando tutto è calmo e non si muove una foglia, ha preso il ritmo e quello rimane. Wait receipt, mi dice, e con un largo sorriso mi consegna una ricevuta uscita dalla sua mini stampante a tracolla. Tutto perfetto, se non fosse che lui vende anche le card per allacciarsi alle colonnine di acqua e luce, ma non ce l’ha detto subito, lo abbiamo scoperto chiedendo informazioni al bar e poi al market di fronte, dove la signora della cassa ci ha detto, alzando gli occhi al cielo, “always the same problem, every day, every year”. Adesso però dobbiamo attendere che lui termini il giro, perché comprare le card non è così semplice, sono collegate alle barche già registrate e quindi devono essere inserite nel magico tablet.
Barca dopo barca percorre tutta la banchina, e noi lo seguiamo sperando di trovare un attimo in cui possa fermarsi e darci la tanto desiderata card, impresa che ci riesce solo dopo la registrazione dell’ultimo catamarano della famigerata compagnia di charter SunSail.
Il giorno dopo, alle cinque della sera, la scena di ripete: nome della barca, bandiera, privata o charter, ... Inserisce nuovamente tutti i dati sul tablet e poi preme invio dicendo “wait, calculate”. Sapendo già il costo sono lì con i soldi precisi precisi, e quando lui mi dice la cifra di 12,20€, e io gli do l’importo esatto, mi guarda meravigliato come se avessi indovinato! L’operazione termina con il wait receipt.
Ed è stato così per tutti i tre giorni.
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