Sicilia, per amore e per forza
Giovedì 21 settembre, San Vito – Palermo
Al benzinaio presente sul molo di sopraflutto ci sono già diverse barche in fila per fare gasolio. Ci sono anche due catamarani turistici che approfittano della sosta per far l’imbarco dei loro ospiti. Uno dei gestori ci vede e ci fa cenno di infilarci in un posticino proprio accanto ai sassi frangiflutti. Faccio manovra con molta attenzione, e altrettanta apprensione, e senza commettere errori ci fermiamo appoggiandoci dolcemente al molo. Con grande sorpresa scopro che abbiamo consumato molto meno di quanto avessi previsto, nonostante i lunghi tratti di navigazione controvento. Lasciamo San Vito per attraversare il Golfo di Castellammare e dirigere su Palermo. Un vento teso ci accompagna per tutta la prima parte di viaggio, con raffiche anche forti che ci spingono oltre i 7 nodi di velocità. Vento al lasco, quasi in poppa; vento buono ma per sicurezza viaggiamo ancora con la randa ridotta e il genoa mezzo rollato attorno allo strallo. Palermo dista solo 30 miglia, ci arriveremo in poche ore. Doppiamo Punta Raisi con il naso all’insù, guardando gli aerei che si avvicinano alla terra ferma in fase di atterraggio, o che passano alti sopra di noi diretti in qualche altro posto, forse in Sardegna, o in Spagna, o magari oltre oceano. Navighiamo abbastanza vicini alla costa godendoci il panorama dopo quasi due giorni di mare aperto: Terrasini, Sferracavallo, Isola delle Femmine, Capo Gallo, Mondello, l’Addaura, il monte Pellegrino e finalmente Palermo.
Entriamo in porto diretti alla “Cala” il porto storico della città, separato dal porto commerciale dei traghetti e delle grandi navi. Facciamo un po’ di slalom fra gruppi di canoisti che si allenano approfittando delle acque calme del grande porto, e ci fermiamo al pontile della Sitimar, dove ci attende il marinaio di turno per prenderci le cime e darci la trappa. Il posto ci sembra buono, siamo in pieno centro città, acqua e corrente dove allacciarci sono proprio accanto a noi, e il gestore non ci fa nessuna fretta per la registrazione, anzi ci dà appuntamento a domattina. I bagni sono nuovi e puliti, c’è la raccolta differenziata, un cancello chiuso che separa il pontile dal molo, e soprattutto non si sente musica da discoteca. Peccato che non si possa restare qui più di un giorno, ma lo sapevamo già, ci avevano avvertito che per via del tempo non buono che sta per arrivare il marina era tutto prenotato. Però Stefano, il gestore, ci dice di attendere, che forse in qualche modo un posto domani potrebbe trovarlo.
Intanto facciamo un giro in città, almeno per vedere qualcuno dei suoi monumenti, dei suoi palazzi e delle sue strade, con l’onnipresente street food a far da colonna sonora ai nostri passi: pane e panelle, arancini con mille ripieni diversi, cannoli, gelati, il classico panino con la meusa (la milza), le crocchette, le fritture di pesce, nelle grandi vie pedonali del centro è tutto un brulicale di sedie e tavolini dove sedersi a mangiare e bere. Ma è anche pieno di novelli sposi, che fasciati nei loro inverosimili vestiti da nozze, nella calura dei 37 gradi del pomeriggio palermitano, posano e sfilano agli ordini di fotografi aguzzini che gli impongono scene ridicole, tra abbracci, sguardi trasversali e inginocchiamenti vari, seguiti dalla claque di amici, anche loro fasciati e sudati, che applaudono e cantano a comando. Quando si dice “un giorno indimenticabile”!
Venerdì 22 settembre, Palermo
Oggi dobbiamo lasciare Palermo, senza essere riusciti a vedere nulla, se non la Cattedrale, e neanche benissimo. Andiamo speranzosi negli uffici della Sitimar e per nostra fortuna un buco nell’altro pontile ci sarebbe, a patto di stringerci fra due piccole barche a motore ed avere la prua quasi a picco sulla trappa. Per noi è perfetto, accettiamo immediatamente e in mattinata facciamo lo spostamento. Sistemata la barca siamo pronti per fare seriamente i turisti turisti!
Palazzo dei Normanni è la prima meta, poi il mercato di Ballarò, poi le via della Kalsa, e poi in giro senza meta per la città, a esplorare il territorio. Una cosa ci viene subito in mente, e non potrebbe essere diverso, la mafia. Sono tante le targhe che ricordano i morti ammazzati di mafia e non puoi fare a meno di fermarti e leggerle. Già all’interno della Cattedrale c’è una mostra dedicata a don Pino Puglisi, poi a Palazzo dei Normanni un’altra dedicata a Dalla Chiesa. Davanti a un commissariato un’altra targa, in un’altra via ancora una, e così per chissà quanti altri posti, in questa grande città al centro dei più grandi intrighi di politica, affari e criminalità d’Italia dal dopoguerra in poi.
E penso anche al bel film di Pif, “La mafia uccide solo d’estate”, dove con leggerezza vengono ricordati tutti coloro che hanno perso la vita in questa orribile e impari lotta: Ninni Cassarà, Beppe Montana, Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Rocco Scaglione, Cesare Terranova, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa, Emanuela Setti Carraro, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, solo per citare i più famosi e conosciuti.
Passeggiando per via Vittorio Emanuele non si può fare a meno di entrare e visitare il “NO MAFIA MEMORIAL”, una mostra permanente organizzata dal Centro di documentazione Peppino Impastato, voluta dal comune di Palermo per sensibilizzare i giovani delle scuole, ma ormai diventata un punto di attrazione turistico, con tantissimi visitatori. Non so fino a che punto consapevoli di cosa stanno vedendo e partecipi allo sdegno per questo “cancro” della nostra società, perché come sappiamo il fenomeno mafioso è anche uno strano oggetto di “culto” e come ci raccontavano al porto “ci sono anche turisti che chiedono come fare per visitare solo Corleone” e sicuramente sono pronti a indossare le magliette con Il Padrino o quelle con la lupara.
Sabato, domenica e lunedì – Palermo
Vento, mare grosso, temporali, e perfino incendi. Sembra una congiura, ma da Palermo non conviene proprio muoversi in questi giorni. Dobbiamo rimandare il nostro viaggio di rientro, e non è che ci dispiaccia più di tanto, anzi. Palermo è magnifica e più giriamo fra la gente, più vediamo mercati e visitiamo chiese e mosaici, più ci piace restare in città a bighellonare. Anche qui in tutti i mercati ci sono tavoli per turisti dove sedersi a mangiare, un altro gigantesco street food, nel vero senso della parola. Rimangono però anche tante bancarelle “normali”, nella maggior parte dei casi gestite da stranieri. Una cosa che abbiamo notato è la grandissima quantità di stranieri presenti, persone provenienti dal sud del mondo, da oriente e da occidente, e tutti con la loro attività economica nei tre mercati principali. Sembrerebbero molto integrati, e comunque per strada si incontrano molte meno persone che chiedono l’elemosina o che dormono sui marciapiedi. Forse in una società dove non essere in regola non è un peccato mortale, anche chi non ha grandi possibilità riesce a vivere più dignitosamente che nel ricco nord industriale. Forse.
Fra tutti i nostri giri non poteva mancare la visita a Monreale. Dista circa otto chilometri dal porto, e la strada è praticamente tutta dritta. Si potrebbe andare in bus, ma... non sia mai! Due ore e mezza di cammino a passo svelto, con un dislivello di 300 metri, tutti alla fine, per salire sulla collina. Ne valeva la pena, non c’è dubbio, nonostante il muro di turisti presenti fra le navate ad ammirare quelli che sono i più bei mosaici bizantini che abbia mai visto. La prossima volta però devo ricordarmi di portare con me un piccolo binocolo, come quelli che si usano a teatro, perché può tornare molto utile per vederli più da vicino.
Mercoledì 27 settembre, Palermo – Roccella Ionica
Abbiamo dovuto attendere ancora un giorno prima di avere le condizioni migliori per tornare in mare e intraprendere la seconda lunga tappa di trasferimento. La nostra meta è Roccella Ionica, 180 miglia circa. Per giorni abbiamo studiato il meteo lungo il percorso, e non dovremmo avere problemi, a parte il passaggio dello stretto di Messina, nel quale sono previsti temporali esattamente al momento del nostro arrivo, verso le 6,30 del mattino. Non possiamo però anticipare la partenza perché il cambio marea è alle 7,00 e qui le maree arrivano fino a 5 nodi! E poi passare con il buio non mi piace, quindi partenza comoda in tarda mattinata.
Rotta a est, direzione Capo Mongerbino, dal lato opposto della grande baia di Palermo, e poi ancora est verso Capo d’Orlando e Milazzo. Abbiamo aperto le vele, ma non possiamo fare a meno del motore, perché il vento è leggero, più leggero di quanto “promesso” dalle previsioni. La nostra velocità è di 5,5 nodi, e per tutto il giorno avanziamo così. La sera, come di consueto, riduciamo la randa, e ci prepariamo per la lunga notte che ci porterà a Messina. Ci siamo organizzati con turni di tre ore circa, come quando siamo partiti dalla Sardegna. Io faccio il primo fino a mezzanotte, poi Lella si fa il secondo, più o meno fino alle tre di notte, e poi torno fuori io. Non siamo ovviamente rigidi nel cambio turno, e lasciamo che la persona che riposa si svegli spontaneamente, senza andarla a chiamare. Funziona benissimo e credo che lo adatteremo anche nelle navigazioni future.
Giovedì 28 settembre, Tirreno meridionale
Il vento adesso soffia in modo più costante, e viene esattamente da ovest, alle nostre spalle. Si è anche formata un po’ di onda, che ci spinge in avanti. Poco prima di arrivare a Capo Milazzo vediamo i primi lampi illuminare le nuvole lontane sulla Calabria e sullo stretto. Poi cadono i primi fulmini, dritti sul mare, bianchi e grossi. Siamo ancora distanti, ma cominciamo a deglutire forte.
Sopra di noi le stelle, quindi nessun rischio pioggia per il momento, ma ci stiamo andando proprio in bocca a questo temporale e prima o poi arriverà anche la pioggia.
Abbiamo appena passato capo Milazzo, e i fulmini sono ancora più fitti, cadendo anche a grappoli di tre o quattro alla volta. Non ci piace per nulla, rallentiamo, poi decisamente cambiamo direzione e non avanziamo più, torniamo indietro verso Milazzo e con il motore al minimo facciamo avanti e indietro dentro il golfo, aspettando che passi il maltempo e ci permetta di proseguire con più tranquillità. Per più di un’ora giriamo in tondo, poi rimettiamo la prua a est e avanziamo lentamente, monitorando le nuvole e il loro “contenuto elettrico”. Quando mi capita di vedere un temporale in mare non posso fare a meno di pensare che l’albero della barca a vela è un come bel parafulmine, e penso sempre che stia lì pronto ad aspettare una bella scarica che lo colpisca in pieno.
È ancora buio, il temporale si sta spostando verso sud, fra poco vedremo Capo Peloro e il suo gigantesco pilone dell’alta tensione, oramai in disuso. Entrando da ovest nello stretto si fa fatica ad indovinare il punto d’ingresso, perché la prospettiva inganna e sembra quasi che non ci sia un varco fra la costa siciliana e quella calabrese. Qui il fondo è tutto di sabbia e in alcuni punti non supera i sei metri di profondità. È meglio stare un po’ più distanti dalle spiagge del Capo, per non essere presi dalla corrente anzitempo. Decine di barchini affollano questo tratto di mare, barchini da pesca, con a bordo una o due persone al massimo. Li evitiamo, loro e le loro lenze, ci mettiamo nel centro del flusso di corrente, puntando verso Punta Pezza, sulla costa calabra. Subito la barca accelera, sei nodi, poi sette, infine otto nodi, anzi 8.4 kts, quello che segna il gps del programma di navigazione. Che meraviglia viaggiare con la corrente a favore! Continuiamo così fin quasi a Reggio Calabria, e anche con il vento a favore. Non c’è molto traffico in questo momento, solo qualche traghetto e qualche grande nave, che solleva sempre onde moleste per le nostre piccole barche a vela. Sulla superficie del mare si formano ogni tanto i famosi gorghi, ma non sono profondi e si limitano a far girare le acque in tondo come in un gigantesco lavandino, senza però tuffarsi in giù.
Lasciata alle spalle Reggio Calabria, ci prepariamo a circumnavigare la costa sud della Calabria, ma senza più il vento alle spalle, anzi adesso siamo di bolina con la barca leggermente sbandata. È una costa poco edificata questa, con piccoli paesini fatti di case moderne, una linea ferrata su cui vediamo correre un treno minuscolo - solo due carrozze – e alle spalle i primi rilievi dell’Aspromonte, coperti di nuvole nere e minacciose.
Bova Marina, Gruda, Galati, Calanello, Africo, Bovalino, sulla carta nautica leggiamo i nomi di piccoli centri a noi sconosciuti. Ci avviciniamo a Locri e sentiamo i primi tuoni di questo secondo temporale. Alé, questa volta ce lo becchiamo, e così è. Non faccio in tempo a mettere la cerata che i primi goccioloni sono già in mare, poi aumentano e infine diventano vera e propria pioggia fitta. Abbiamo ancora la randa issata, e temendo qualche improvvisa raffica di vento corro a chiuderla, fissandola alla bell’e meglio con un paio di elastici per non farla rotolare sulla coperta.
Dopo quindici minuti è finito tutto, anche l’arcobaleno si è dissolto e la barca si è riempita d’acqua dolce, levandosi di dosso un po’ di sale.
Sta per calare la seconda notte in mare e prima che faccia buio rabbocchiamo il nostro serbatoio con due taniche di gasolio da 20 litri l’una. Siamo indecisi sul da farsi. Quando abbiamo chiamato Roccella Ionica per prenotare un posto ci hanno risposto che il marina è mezzo chiuso, per ferie (?), e quindi la sera non fanno servizio. Se vogliamo possiamo metterci dal benzinaio ed aspettare lì che faccia giorno. Stiamo valutando l’ipotesi di continuare per Leuca, altre 140 miglia, poi saggiamente optiamo per una sosta tecnica a Roccella, giusto per dormire qualche ora e poi alle sei del mattino ripartire per la Puglia.
Venerdì, 29 settembre – Roccella – Leuca
Sono le cinque e mezza del mattino. Suona la sveglia, la spengo, mi stropiccio gli occhi, mi alzo e metto su un caffe. Fuori sento il borbottio di un motore da peschereccio. Stanno cominciando a uscire anche loro, i pescatori, come ogni notte. Stacchiamo le cime dalle grandi bitte del molo e lasciamo Roccella, con la luna piena ancora ben visibile nella notte limpida e senza nuvole.
Per raggiungere Leuca dovremo fare 120 miglia, tutte in un'unica direzione, 45 gradi nord. Non occorre neanche tracciare una rotta, se non per il gusto di avere il calcolo automatico di quante miglia mancano all’arrivo e a che ora si arriverà. Il programma di navigazione dice che l‘ETA (Estimated Time of Arrival) è per le 7,02 del mattino. Vedremo se la media della velocità ce la consentirà.
Le ore del mattino scorrono tra un cruciverba, la lettura di un libro e un sonnellino in pozzetto, sempre in costume da bagno per prendersi gli ultimi scampoli di sole in questo inizio d’autunno ancora caldo. Le notti in mare però cominciano ad essere fresche, e bisogna coprirsi bene per difendersi dall’umidità e dal vento.
Attraversiamo il golfo di Squillace con un leggero vento contro e il mare un po’ mosso, e non possiamo tenere le due vele aperte contemporaneamente. Alcune grandi navi mercantili corrono parallele alla nostra rotta, più a ovest verso il mare aperto. Grazie all’App Marine Traffic - un AIS che funziona solo se collegato a internet - riusciamo a conoscere tutti i dati di queste navi: dimensioni, nome, bandiera, comprese la velocità e la destinazione. Una di queste è diretta a Taranto e quindi fra un po’ ci attraverserà la rotta; quando eravamo al largo di Capo d’Orlando ce n’era una che era diretta a Zeebrugge, in Belgio, che è casualmente il porto nel quale è registrata Eleftheria. È molto comoda questa App, e l’ho già usata in altre occasioni per vedere di notte il traffico attorno a me e navigare con maggior tranquillità nei momenti in cui ho bisogno di chiudere momentaneamente gli occhi per riposare.
Nel pomeriggio superiamo Isola Capo Rizzuto ed entriamo “ufficialmente” nel Golfo di Taranto. Adesso il mare è piatto, non c’è un briciolo di vento, dovrebbe essere così per ancora diverse ore. Leuca è a poco meno di settanta miglia, l’ETA è ancora calcolato verso le 7 del mattino.
Prima che faccia buio prepariamo la cena, che questa volta non è la solita insalata e nemmeno il couscous della prima traversata. Stasera cena del cowboy, ovvero fagioli aglio e aceto, e pisellini con cipolla di tropea e pepe nero. Non abbiamo né cotiche né salsiccia per una vera cena del cowboy, ma ormai non mangiamo carne da anni, e quindi non ne sentiamo più la mancanza. Formaggio siculo e un bel bicchiere di cabernet sauvignon chiudono degnamente la serata.
Sabato 30 settembre, Santa Maria di Leuca
Sento la chiglia della barca battere violentemente e ritmicamente sul mare. Lella è in pozzetto, io sono disteso sul divano della dinette, abbozzolato nel plaid giallo. Sono quasi le tre del mattino. Il vento è cresciuto e con lui anche il mare con le sue onde che cercano sempre di salire a bordo. Mi vesto, indosso la giacca a vento ed esco fuori. Subito uno spruzzo d’acqua mi dà il benvenuto. Leggero per fortuna, solo nebulizzazione e nulla più. Siamo soli, noi, il mare, il vento e la luna piena. Nessuna barca nel golfo, nessuna nave all’orizzonte. Fra quattro ore saremo a Leuca. Si vede già il faro intermittente lanciare la luce tanto cara ai marinai della notte. Lella torna sottocoperta e io mi preparo per queste ultime ore. Da quando siamo partiti da Palermo, tre giorni fa, abbiamo navigato quasi ininterrottamente, e le poche ore di sonno adesso si fanno sentire.
Alle prime luci del giorno il mare comincia e popolarsi; arrivano alcune piccole barche da pesca e da Leuca escono anche delle barche a vela, tutte dirette a sud, giustamente, con il vento al lasco. Loro con le vele tutte aperte e la barca dritta, noi ancora con le mani di terzarolo alla randa, e la barca sbandata verso dritta, che invidia!
Entriamo in porto alle 7,30 circa. Il marinaio ci attende al molo dedicato alle barche in transito, quello più esterno, come sempre, e ci fermiamo accanto ad un grosso catamarano, un Leopard 45, dal nome di un carrarmato, e dalle dimensioni quasi simili. Batte bandiera lussemburghese, ed è “abitato” da una coppia di cinquantenni, o forse sessantenni, decisamente abbienti, visto che il Leopard è una barca che costa anche 1 milione di euro, a seconda dell’equipaggiamento.
Sono molto gentili e ci salutano calorosamente, ricambiati da noi insieme a qualche frase di convenienza: where are you from... e così via.
La nostra seconda lunga navigazione è terminata. Adesso staremo qualche giorno qui, per riposarci e per attendere che il maestrale che soffia da Otranto termini la sua forza e ci faccia ripartire verso l’Adriatico.
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