Romagna mia
Lunedì 2 ottobre - Leuca
Da due giorni siamo a Leuca, a riposarci dopo la lunga navigata da Palermo alla Puglia, e ad aspettare che il maestrale che soffia sullo stretto di Otranto perda forza e ci permetta di rimettere la prua a nord.
Ieri mattina una barca a vela ormeggiata accanto a noi, un Comet 111, ha provato ad uscire per andare a sud, a Crotone, ma dopo qualche ora è tornata indietro raccontando di onde alte due metri e vento insostenibile. Noi prudentemente siamo rimasti in porto, e lasceremo la banchina solo domani mattina, come suggeriscono le previsioni meteo.
Non c’è molto da vedere nella cittadina di Leuca, a parte una cosa effettivamente molto strana e unica: le ville eclettiche. Questa piccola località balneare del Salento è letteralmente piena di ville di fine ottocento, costruite sul lungomare e anche nelle strade interne. Sono ville grandi, circondate da giardini e parchi, alcune racchiuse da grandi mura e con imponenti portali d’ingresso. Spesso una doppia scalinata dà accesso agli interni delle ville, e gli stili sono i più vari, dal gotico al pompeiano. Ce ne sono ben 43, come ho letto su una guida turistica, e sono state realizzate nella seconda metà dell’ottocento. Sono veramente belle, e quasi tutte ben tenute e ristrutturate di recente, probabilmente beneficiando del famoso 110% del governo, chissà.
Un’altra particolarità di queste ville è la cosiddetta “bagnarola”, una dependance costruita sulla spiaggia antistante la villa, con un’apertura sul fondo per far entrare ed uscire l’acqua di mare, allo scopo di fornire ai ricchi proprietari un comodo punto d’appoggio per fare il bagno al riparo da sguardi indiscreti.
E a proposito di bagni non possiamo certo rinunciare a fare l’ultimo tuffo della stagione, in ottobre poi, cosa abbastanza rara, che non facevo nemmeno quando abitavo in Sicilia, dove fino a inizio novembre si girava ancora in maniche di camicia. Ora sembra di essere ancora in agosto, in questa lunga, lunghissima estate mediterranea.
Martedì 3 ottobre - da Leuca a Trani
La prossima destinazione è Trani, non più Brindisi, come da programma inziale; non conviene fare tappa lì, ci arriveremmo di sera tardi e visto che il meteo non è avverso, tanto vale fare un’altra notte in mare e recuperare altre sessanta miglia verso Ravenna. Ce ne sono ancora molte da fare ed è meglio approfittare del mare calmo e del vento leggero.
Il nostro pontile si sta svuotando; il Comet 111, con a bordo padre, figlio e amico del padre, è già partito, alle sei di mattina; la coppia di lussemburghesi con il loro gigantesco catamarano sta per mollare gli ormeggi diretta in Montenegro. Lasceranno la barca lì per l’inverno e poi l’anno prossimo andranno in Grecia e Turchia. Si parte anche noi, per la Romagna.
Lella è già a prua, pronta a lasciar cadere in mare le cime che tengono la barca ancorata al fondo; io ho acceso il motore e staccato le altre due cime che ci legano alla banchina. Lentamente ci allontaniamo dal molo, usciamo dal porto e issiamo subito la randa. Anche se il vento è poco preferiamo sempre navigare con la randa già aperta, pronti a sfruttare il primo alito di vento a nostro favore. Colazione in mare aperto, con caffè e biscotti, seduti in pozzetto, guardando il pilota automatico che governa la barca. Benedetto pilota! Senza di lui non sarebbe possibile navigare per tante miglia e per tanti giorni di seguito. Fra tutti gli accessori che possono essere messi in una barca questo è sicuramente il migliore, anzi non lo chiamerei nemmeno accessorio, è proprio indispensabile!
Il cielo è sereno e il sole scalda già. L’aria però non è più quella dell’estate piena, e si nota soprattutto quando si sta all’ombra, sotto il bimini. Lella rimane in pozzetto a leggere, io mi sposto a prua, seduto a guardare le onde del mare, tra il gavone dell’ancora e l’oblò della cabina di prua. È la zona della barca che più amo, dove mi stendo a dormicchiare o a prendere il sole quando navigo da solo, ed è quella dove il rumore delle onde che scorrono lungo lo scafo ha il suono più bello, più ritmico, più lungo, più pieno. Guardo la prua che affonda nel mare per riemergere poco dopo, muovendosi leggermente a sinistra e a dritta, con la barca che avanza lentamente, così onda dopo onda.
Le ore passano rapidamente, la costa scorre alla nostra sinistra, superiamo Otranto ed entriamo “ufficialmente” in Adriatico; vediamo le scogliere di Torre dell’Orso, bianche e luccicanti, e per la prima volta deserte, senza bagnanti, senza ombrelloni, senza barche all’ancora. San Foca, San Cataldo, poi Brindisi; il Salento è ormai alle nostre spalle. Il sole è tramontato presto e la notte è già iniziata. C’è ancora un po’ di luna in cielo, ormai non più piena, che illumina la superfice del mare, ma sorge sempre più tardi e poi rimane alta per tutta la mattina successiva, inutilmente.
Il primo turno lo faccio io, come di consueto. Ben coperto con salopette e cerata, cappello in testa e binocolo a portata di mano, pronto a puntare ogni luce che appare all’orizzonte, cercando di interpretare il significato spesso oscuro dei bagliori che si muovono sull’acqua.
Mercoledì 4 ottobre - Adriatico meridionale
Alle due di notte Lella mi dà il cambio. Siamo al traverso di Ostuni, o poco oltre, e siamo letteralmente circondati da barche, pescherecci che stanno raggiungendo il largo. Alcuni sono fermi, presumo a preparare le reti o a fare qualche altro lavoro, altri invece viaggiano già velocissimi. Con il buio le distanze sono veramente difficili da capire, non sai se quella che vedi è una barca vicina ma con una piccola luce, oppure una barca lontanissima con grande e forte faro abbagliante; l’unica cosa che ti può salvare, per capire in che direzione si muovono i pescherecci, è riuscire a individuare le due luci di via, la rossa o la verde, messe rispettivamente sul lato sinistro l’una e sul lato destro l’altra. Ma una piccola luce colorata in mezzo a enormi fanali bianchi ha scarsissime possibilità di essere vista. L’unica alternativa è quella di tenersi più lontano possibile da loro e dalle loro reti calate a poppa, pregando il dio del mare che non ti facciano prigioniero!
All’alba siamo già in vista di Bari, e quando l’ora lo permette provo a chiamare al telefono la Darsena Comunale di Trani, per prenotare un posto per la notte. Non risponde nessuno. Metto giù e chiamo la Lega navale, dove siamo già stati ospiti qualche anno fa, che prontamente risponde al telefono, ma purtroppo non ha posto per il transito, tutto occupato. In ottobre? Tutto occupato? E da chi, che non c’è anima viva in mare? Non so perché ma ho la netta sensazione che sia una balla, che non ci abbiano voluto ospitare. Riprovo alla Darsena comunale ma il telefono squilla per un po’ poi si interrompe.
-In qualche modo faremo- dico a Lella - magari ci fermiamo al benzinaio e restiamo lì per la notte, ho letto su Navily che è un tipo gentile...
Cerco di tranquillizzarla perché la vedo già un po’ preoccupata, e per timore che anche il benzinaio possa essere chiuso do anche a lui uno squillo. Il telefono torna a suonare a vuoto. Sembra proprio che a Trani non ci sia nessuno in porto! Poi magicamente il mio telefono si illumina e compare una call su WhatsApp. È il benzinaio che ci ha richiamato e ci rassicura, dicendoci che possiamo fermarci da lui, fare il pieno di gasolio e dopo andare direttamente in Darsena, che non c’è problema di posti.
Che sollievo, con questa bella notizia le ultime miglia scorrono velocissime. Entriamo a Trani alle due del pomeriggio, sotto un bel sole caldo e ci fermiamo sulla banchina del distributore API. Ci facciamo dare una mano con le cime da un ragazzo che è lì di passaggio, appena sceso sa un gommone. Ormai Lella è diventata sfrontata e appena vede qualcuno a terra lo chiama subito per farsi aiutare. Fermiamo la barca e aspettiamo che si facciano le tre del pomeriggio, ora in cui il distributore riapre.
Poco dopo passa una turista con la quale mi fermo a chiacchierare. È canadese, si chiama Jasmine, e sta girando l’Europa assieme a suo marito. Anche lei pensionata, come noi, ama moltissimo l’Italia e vuole godere del caldo del Mediterraneo prima di tornare alla sua città e alla neve del lungo inverno nordamericano. Noi la neve la vediamo sempre meno in pianura padana, e anche se so che è un male, non posso in tutta onestà rimpiangerla.
Il marinaio della Darsena comunale ci assegna un posto accanto ad una magnifica barca a vela d’altri tempi. È tutta in legno, ha lo scafo blu e un gigantesco albero centrale. I parabordi sono enormi, dei cilindri alti due metri e larghi in proporzione, i winch sulla coperta grandi come una tavolino da bar! Si chiama Antonisa, e ci sono diverse persone della “Crew” che puliscono, sistemano, ci lavorano.
L’armatore non è in barca - ci dice il marinaio della Darsena – viene solo ogni tanto. Incuriosito vado a cercare su internet e scopro che si tratta di uno sloop di 38 metri, costruito nel 1999 negli Stati Uniti, di proprietà di Natuzzi, quello dei divani. Albero in carbonio, tuga assente, interni in ciliegio; c’è perfino un organo a canne nel salone, il caminetto nella dinette con doppio divano contrapposto, e solo 3 cabine, una armatoriale - grande come un mini appartamento in città – e altre due per gli ospiti. Bella, proprio bella. Se siete curiosi vi suggerisco di vedere questo link:
Non siamo particolarmente stanchi, nonostante un’altra notte passata in mare dormendo poco. Forse ci siamo un po’ abituati e stiamo imparando a recuperare le energie in fretta. Non abbiamo voglia di cucinare però, e quindi andiamo a cena fuori, fermandoci in una pizzeria dall’aria invitante. Domattina partirò da solo, Lella ha deciso di prendere il treno e tornare prima a Bologna. La mia meta sarà Pescara, che dista da Trani 135 miglia. Poi farò un’ultima lunga tappa fino a Ravenna, altre 160 miglia, per arrivare domenica mattina, più o meno. Il meteo dovrebbe essere favorevole, poco o niente vento per i prossimi 3 o quattro giorni, poi si vedrà.
Giovedì 5 ottobre - da Trani a... Ravenna
Sono le cinque del mattino, Lella si è alzata dal letto, sento i suoi passi in dinette, poi in bagno, poi ritorna a letto. Non ha sonno, la capisco, spesso è così quando dobbiamo separare le nostre destinazioni. Poi si gira verso di me e mi dice “non vado via in treno, vengo con te fino a Ravenna”.
Rimaniamo ancora un po’ a dormire, mentre la mia mente sta già automaticamente disegnando una nuova rotta, dritta fino a Ravenna.
Sono molto contento di questa decisione, non avrebbe avuto molto senso interrompere la navigazione ad un passo dalla meta, dopo quasi 20 giorni di mare passati assieme.
Lasciamo Trani e la sua stupenda cattedrale diretti prima a Vieste, per doppiare il Gargano, e poi verso Ancona. Un bellissimo vento da sud ovest ci spinge a oltre 7 nodi, nel silenzio mattutino del golfo di Manfredonia. Un’altra barca a vela viaggia verso Vieste, qualche miglio più a est, forse partita da Bari. Per quasi tre ore avanziamo così, poi si torna tristemente ad avviare il motore. Mare piatto, per adesso, ma in lontananza si intravede un tratto di mare più scuro, segno che sopra la superficie scorre del vento più o meno inteso.
Nel giro di mezz’ora ci ritroviamo con un bel vento forte in faccia e con le onde che sono diventate alte anche mezzo metro. Che sfiga, la nostra velocità è crollata miseramente, e avanziamo a fatica a volte anche a meno di 3 nodi! Più che navigare stiamo letteralmente arando in mare, come fossimo sulla terra ferma. Per tutto il pomeriggio il faro di Vieste rimane lì davanti a noi, come un miraggio irraggiungibile. Lentamente superiamo Vieste, poi Peschici e infine Pianosa, l’isola più a est delle Tremiti. Una grande nave diretta a Ravenna passa sul lato di dritta, molto distante da noi; poi nessun’altra luce all’orizzonte, ad eccezione di quelle di San Domino. L’Adriatico centrale si presenta vuoto, sarà una notte tranquilla, così lontani dalla costa.
Venerdì 6 ottobre, Adriatico centrale
L’alba arriva alle 6,30 circa del mattino. Il mare è sempre vuoto, siamo al largo fra Pescara e Giulianova e non c’è copertura internet. Ho la radio accesa sul canale 68, quello delle previsioni meteo: “mare 2, nord ovest 2; tendenza, mare 2, Nord ovest 3”, che per i non esperti vuol dire che l’onda è stimata fra i 10 e i 50 cm, e il vento fra i 5 e i 10 nodi. Dovremo continuare a usare il motore, con poche probabilità di aprire tutte e due le vele. Si legge, si dormicchia al sole per recuperare un po’ di ore di sonno in previsione della prossima notte, si guarda il mare. Con la barca che cammina senza grandi sobbalzi riesco anche a farmi la barba, cosa che non facevo già da una settimana.
Nel primo pomeriggio il vento aumenta un po’ e ci costringe a dirigere verso la costa per non averlo proprio sulla prua. Quando avvistiamo il Conero è quasi sera, che ora in ottobre arriva già tra le sei e le sette. Sulla carta nautica elettronica vedo davanti a noi la distesa di aree di allevamenti di pesce, segnalate con boe gialle luminose. Sono molto grandi coprono dei rettangoli di mare di diverse miglia al largo dalla costa e devo fare molta attenzione per non finirci in mezzo. Temo sempre che qualche boa sia spenta e quindi ho lo sguardo fisso davanti a me alla ricerca dei segnali luminosi. Le uniche luci che vedo sono però quelle delle città lungo la costa, Sirolo e Numana in primis, ma di boe in mezzo al mare nemmeno l’ombra. Che cosa strana, ho sempre creduto che le indicazioni sul programma di navigazione fossero corrette e aggiornate, eppure in mare non c’è nulla di quanto segnalato sulla carta. Per prudenza ci teniamo più al largo, ma con il solo risultato di fare più strada aggirando delle boe inesistenti. Alle dieci di sera siamo quasi ad Ancona, il venticello è diventato più a nostro favore e riusciamo ad usare anche il genoa, pur non potendo rinunciare al motore. Facciamo 6 nodi di velocità, a 1500 giri. Ottimo.
Si vede già il faro di Pesaro, il più potente di questo tratto di mare, posto sul Monte S. Bartolo e con una portata luminosa di ben 25 miglia.
Sabato 7 ottobre, Adriatico settentrionale
Sto riposando in cabina di prua, mentre Lella in pozzetto controlla che tutto proceda in ordine. In questo tratto di mare di fronte alla costa marchigiana non ci sono particolari ostacoli da evitare. Il “mondo della piattaforme” inizia dopo Pesaro, e fino a Ravenna ne incontreremo tante. Sono sempre ben illuminate, anche se qualcuna ogni tanto rimane al buio, segnalata solo dal nautofono. L’aria della notte è un po’ più calda qui in Romagna, e per nostra fortuna non c’è nemmeno umidità. La luna, oramai ridotta ad uno spicchio, continua illuminare un po’ la notte, ma è la costa con le luci delle sue città a renderla sempre più chiara.
Il giorno fa la sua comparsa verso le 6,30 e il sole sorge sul mare esattamente da est. Per puro divertimento lo inquadro con la bussola, che segna 95°.
Giulia 1, Azalea A e B, Anemone cluster, Antonella; sono i nomi delle varie piattaforme che incrociamo nella nostra rotta verso casa. E incrociamo anche parecchi tronchi e rami, portati dalla piena di chissà quale fiume e dopo quale temporale. Poi cominciamo a veder qualche barca a vela, anzi tante barche a vela. Stiamo per arrivare, non c’è vento e il mare è calmo. Davanti alle dighe di Marina di Ravenna sono in tanti a veleggiare, muovendosi lentamente e senza fretta, in questa estate che non finisce più.
Sul nostro pontile, al Circolo Velico, c’è un gran silenzio; infiliamo dolcemente la prua fra le briccole del posto 17 e fissiamo le cime d’ormeggio. Spengo il motore dopo 50 ore di navigazione e 270 miglia di mare, la più lunga navigazione fatta quest’anno in un’unica tappa.
Sto per fare le solite cose di quando si arriva in porto, staccare la batteria motore, collegare il cavo elettrico in banchina, sistemare i parabordi, mettere il tendalino per il sole, ma poi mi fermo di colpo e mi siedo in pozzetto. Siamo a casa, il giorno è ancora lungo e anche per noi oggi non c’è fretta.
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