Dal mirto al couscous





Venerdì 15 settembre, Olbia - 

Il traghetto della Grimaldi Lines da Livorno è arrivato puntuale alle 7,30 al molo 4 del porto di Olbia. Ho dormito tutta notte steso per traverso su una fila di poltrone, con sopra il mio fido sacco blu di pile, comprato quasi trent’anni fa in occasione della mia prima spedizione speleologica in Honduras. Lella invece non ha chiuso occhio, rimasta seduta in poltrona con un brutto dolore alla spalla, frutto di uno strappo muscolare causato dallo scontro della sua borsa a tracolla con un sedile del treno per Livorno.
Ci fermiamo al bar della Stazione Marittima per un caffè con croissant - decisamente modesti – e telefoniamo in cantiere per avere la certezza che la barca sia pronta.
- Sì, la stiamo mettendo in acqua, vi aspettiamo.
Meno male, nessuna sorpresa. Prima di prendere un taxi per raggiungere Cala Saccaia, zona industriale di Olbia e sede del cantiere, ci fermiamo alla Lega Navale per cercare un ormeggio per la notte. Il posto c’è, e per nostra fortuna uno dei soci che lavora lì deve andare in macchina proprio a Cala Saccaia, e quindi ci può dare uno strappo.
Il conto del cantiere è salato, con un numero di ore lavoro a nostro avviso eccessivo ma che, pur provando a contestare, alla fine non possiamo fare altro che accettare, e pagare. Come si dice in questi casi “hanno il coltello dalla parte del manico”! 
Saliamo in barca e come ultima sorpresa mi accorgo che gli strumenti di navigazione non vanno. Il meccanico non aveva collegato bene “la massa” del motore e non si accendeva nulla. Lo richiamo, dà una grattatina alla vernice e tutto ritorna come prima. Usciamo dall’invaso, facciamo un po’ di slalom fra le cozzare davanti a noi ed imbocchiamo il canale che porta in città, quello dei traghetti, correndo fino alla Lega Navale prima che il marinaio al pontile vada via per il week end. 
Quarantaquattro giorni dopo la rottura del motore siamo felicemente ormeggiati nel centro di Olbia e pronti per la grande navigazione di rientro. Prima però dobbiamo riorganizzare la barca, pulire la coperta e il pozzetto, buttare nel pattume il cibo scaduto e quello andato a male perché in vasetti aperti, mettere in carica tutti gli apparecchi elettrici, far ripartire il frigo, rifare un po’ di cambusa “fresca” - ovvero verdure, frutta, formaggi – e infine controllare le previsioni meteorologiche.
Un forte vento da est ha cominciato a soffiare questo pomeriggio, e nel giro di poco ha increspato le onde del porto, che sbattono con prepotenza contro la fiancata sinistra della barca. Siamo gli ultimi sul pontile e quindi non c’è nessuno che ci faccia un minimo di protezione dal mare. La sera però si calma tutto e possiamo cenare in barca in tranquillità, prima di crollare a letto stanchi e sfiniti da una giornata lunghissima.
 
Sabato 16 settembre, Olbia
 
Cielo coperto stamattina, e comincia anche a piovere. Non è proprio sano partire oggi per affrontare 36 ore di mare per raggiungere Ponza. Le previsioni in realtà non sono pessime, non dovrebbe piovere nei prossimi due giorni, e il vento da sud non dovrebbe superare mai i 10-15 nodi. Il vero problema sono le onde, che vengono date a quasi un metro di altezza, cosa che renderebbe faticosissima la navigazione, di giorno e specialmente di notte. Meglio aspettare altre 24 ore e sperare in un miglioramento. Rimaniamo chiusi sottocoperta in attesa che la pioggia e il vento facciano il loro corso, lasciando di nuovo il cielo azzurro. Le cime d’ormeggio si tendono ad ogni onda che arriva, danno un forte strattone alle bitte e poi lasciano ciondolare la barca per qualche secondo in attesa del prossimo colpo secco. Uno, due, cento colpi... alla fine non resistiamo più. Lasciamo Eleftheria da sola “a difendersi” dal mare e scendiamo a terra, facendo un giro in città e andando anche a far cambusa per la partenza di domani. Ci sono ancora molti turisti a Olbia, nonostante il tempo non proprio eccellente, e tutti passeggiano nel corso principale, facendo su e giù tra un tavolino del bar e la vetrina di un negozio. Le gelaterie non sono più così affollate come a inizio agosto, quando si doveva fare letteralmente la fila per prendere un gelato, muniti per giunta del numerino elimina coda come al supermercato.
Non è grande il centro di Olbia, in mezz’ora l’abbiamo attraversato due volte, compresa la sosta sotto la piazza coperta davanti alle Poste, dove un gruppo di persone, anziane e meno anziane, era intento a praticare esercizi di tai-chi.
Fa buio presto in questa stagione, e alle sette di sera ci sono già tutte le luci accese. Rientriamo al nostro pontile, sistemiamo la cambusa appena fatta e ci prepariamo per la cena. Prima di andare a dormire facciamo un ultimo controllo delle previsioni meteo e scopriamo con orrore che non sono migliorate, anzi lungo la nostra rotta rimangono onde alte e vento da sud, che man mano si sposta da sud-est e poi decisamente da est, il famoso “dritto in faccia”! Non si può partire, guardiamo il giorno dopo e la situazione non migliora; ancora un giorno e addirittura peggiora.
Un po’ disperati cerchiamo di tracciare una rotta diversa, scendendo lungo la costa sarda e immaginando la traversata sulla Sicilia anziché sulle Isole Pontine. Potremmo andare a Baunei e poi a Porto Corallo, e da qui attraversare il Tirreno con una lunga tratta fino a San Vito lo Capo. Trecento miglia totali, divise in tre tratte, e con il meteo che non dovrebbe essere ostile, a parte la giornata di domani, da rendere meno difficile navigando sottocosta per evitare le onde alte.
Approviamo questa nuova ipotesi e andiamo a riposare. Domani si torna a navigare, con una certa apprensione che cerco in ogni modo di non far trasparire.

Domenica, 17 settembre – Da Olbia a Baunei 
 
Alle 6,20 suona la prime delle tre sveglie che ho puntato. Non c’è un filo di vento nella baia di Olbia. I traghetti per il continente sono fermi nei loro moli, con i motori sempre accesi e un filo di fumo che esce dai fumaioli. Non è freddo, ma sento la necessità di mettermi i pantaloni lunghi, forse per via delle nuvole in cielo, o forse solo perché non è ancora giorno pieno e mi sembra che un po’ di freddo debba per forza farlo. Nel lungo canale che porta in mare aperto incontriamo la Grimaldi che viene da Livorno, la stessa nave che ci ha portato qui un paio di giorni fa; poi un grande mercantile, con accanto la pilotina del porto che la conduce all’ormeggio, ed infine un catamarano diretto a nord, verso l’arcipelago della Maddalena. Noi mettiamo la prua a sud, verso il Golfo di Orosei, e cominciamo a sentire le prime raffiche di vento. Per qualche miglio avanziamo a motore, fra la terra ferma e l’isola di Tavolara; poi ancora un passaggio fra alcune piccole isole e finalmente usciamo in mare aperto dirigendo verso Capo Comino. Vento in faccia ma leggero, utile ad aprire la randa senza neanche dover far manovra. Ci aspettano quasi settanta miglia e difficilmente riusciremo ad andare a vela, ed è anche inutile cercare di “fare dei bordi” zigzagando per sfruttare il vento, allungheremmo solo il percorso senza nessun vantaggio reale.
Mare contro significa anche velocità ridotta, e barca bagnata, con gli spruzzi delle onde che ogni tanto ci arrivano addosso. Ci mettiamo ben 15 ore ad arrivare a Santa Maria Navarrese – questo il nome esatto della località, anche se viene chiamata Marina di Baunei - ed è già buio quando entriamo nel porticciolo, per fortuna ben ridossato dal vento e circondato dai monti. Ci guidano via radio fino all’ormeggio e sistemate le cime al pontile, spento il motore, collegata la presa elettrica alla colonnina, possiamo farci una meritata doccia per togliere il sale di dosso e anche la stanchezza di questa prima lunga navigazione.

 
Il Marina di Baunei contornato dai monti


Lunedì 18 settembre – Da Baunei a Porto Corallo
 
La nostra prossima tappa è Porto Corallo, nel comune di Villaputzo. È vicina, solo 30 miglia, in poco più di mezza giornata saremo lì. Non c’è bisogno di fare una levataccia, e ci svegliamo alle 8,30 senza bisogno di puntare nessuna sveglia. Colazione in barca, con caffè, biscotti e marmellata, e poi via, di nuovo in mare. È un bel Marina quello di Baunei; ottimi bagni, grandi e puliti; raccolta differenziata per tutti i tipi di rifiuti; nessuna “bum bum music”, diportisti tranquilli e rilassati. Certo siamo a settembre, non so cosa succede qui in agosto, ma voglio credere che sia così anche negli altri mesi, pur se il portolano dice che qui in alta stagione è impossibile trovare un posto libero! E in effetti siamo in una zona magnifica, alla fine del Golfo di Orosei, famoso per le sue spiagge e le sue grotte marine, e ai piedi del parco nazionale del Gennargentu.
C’è poco vento, ma dalla parte giusta, alle nostre spalle, anche se siamo costretti a usare ancora il motore. Porto Corallo lo raggiungiamo nel primo pomeriggio. Chiamo il marina per confermare il nostro arrivo e gli chiedo anche dove si trova il benzinaio.
-È lì all’entrata, sulla sinistra, ma può far gasolio domattina.
-No, domattina devo andar via presto.
-Va bene, allora prima fa gasolio e poi viene all’ormeggio
-Bene, la chiamo quando ho finito di far gasolio.
Entriamo in porto, vedo la pompa di benzina alla mia sinistra, ma non c’è nessuno davanti. Una grossa chiatta da lavoro con sopra una gru, di quelle che si usano per dragare i porti, staziona lì davanti quasi ostruendo l’accesso a chi vuol fare rifornimento. Aspettiamo qualche minuto fino a quando vediamo arrivare un signore, basso e con un bel pancione fasciato da una maglietta ben aderente, che ci fa un segno di riconoscimento. Ci avviciniamo, accostiamo verso sinistra, appoggiandoci a quei parabordi neri che sporcano le fiancate delle barche, presenti su ogni banchina di rifornimento, spegniamo il motore e riempiamo il serbatoio con quasi 50 litri di gasolio. Poi il benzinaio ci dice di andare oltre il secondo pontile, dove c’è un posto ben riparato dal vento e dalla risacca. Lo ringrazio e sto per chiamare l’ormeggiatore del porto per avere le indicazione quando Lella mi fa notare che l’ormeggiatore è sempre lui, il nostro benzinaio, in questa anomala duplice veste.
Giriamo attorno alla testata del pontile e fermiamo la barca con la poppa in banchina, come è d’uso in tutto il mediterraneo italico. Dobbiamo andare a registrarci in ufficio e pagare la notte perché domattina alle 6 vogliamo ripartire, ma gli uffici sono chiusi adesso, e se aspettiamo che lui termini un lavoro che adesso ha da fare, ci penserà ancora lui a registrarci e incassare. Uno e trino, il nostro benzinaio/marinaio ormeggiatore/segretario. E non è finita qui, anche per i bagni ci pensa sempre lui a darci i gettoni per la doccia, e se abbiamo del pattume da “conferire” dobbiamo sempre chiamare lui che ci aprirà la porta del deposito della raccolta differenziata. 
Abbiamo scoperto che Porto Corallo è sostanzialmente mandato avanti da una sola persona che però lavora 24 ore al giorno! Bel risparmio per i proprietari!
Puliti e rifocillati diamo un’ultima controllatina al meteo, non si sa mai, e ancora una volta troviamo la sorpresa: quella che doveva essere una traversata tranquilla quasi interamente a motore rischia di esser l’ennesima navigata contro il vento e il mare. Ci sono da percorrere 165 miglia e se non vogliamo beccarci un forte vento da est in faccia nelle ultime 50 miglia, dobbiamo anticipare la partenza, anzi sarebbe meglio partire anche subito! Ma non possiamo, almeno qualche ora dobbiamo dormire. Rifacciamo i conti delle miglia e delle ore di navigazione; cambiamo varie volte la velocità media sulla funzione “distanza e pianificazione” di Windy, e dopo varie ipotesi arriviamo a questa unica soluzione: partenza alle 4 esatte - con sveglia alle 3,45 – e velocità media da tenere di 5,5 kts, con uno scarto massimo di 0,3 miglia orarie. Se andiamo più piano ci beccheremo 20-25 nodi di vento e 0,80 di onda! È quasi un videogioco adesso, ma in mare sarà tutt’altra musica.
 
Martedì 19 settembre -  Da Porto Corallo alla Sicilia

Nonostante l’ansia e la preoccupazione sono riuscito a dormire profondamente per più di due ore, breve risveglio e un’altra ora di sonno. Anche Lella ha riposato bene, per quel che si può in così poco tempo.
Lasciamo le acque chete del porto e ci immergiamo in un mare nero ed un po’ agitato, con onda residua di scirocco che proviene dal largo e onda corta ma leggera che proviene da nord est. Un gran casino, ma perfettamente gestibile. Vento assente, cielo stellato, e una sottile fetta di luna che fatica ad illuminare perfino sè stessa. Davanti alla nostra prua una magnifica Cintura di Orione ci guida verso sud est. Mi sento tranquillo e rilassato, il motore gira a 1900 giri e la velocità è di 5,6 kts. Ora prevista di arrivo a San Vito lo Capo: le 14 del giorno dopo. Non abbiamo ancora fatto colazione, l’adrenalina delle partenze notturne non ci fa venire fame. Verso le 6,30 il cielo nero comincia a perdere un po’ del suo colore scuro e alle 7 del mattino la luce lo ha già riempito quasi del tutto, nonostante oggi sia ancora una volta una uggiosa giornata autunnale.

Mare piatto e giornata uggiosa

Con il passare delle ore le nuvole si dissolvono e un sole prima timido, poi sempre più ardimentoso, riempie tutto il cielo sopra di noi. Il mare è più calmo ora, la barca non rolla più e si sta benissimo sdraiati a prua a prendere il sole. Non succedeva dal mese di luglio, e non mi sembra vero. La giornata scorre lenta e senza particolari novità. Abbiamo incontrato solo un paio di grandi navi, molto lontane da noi peraltro, e come sempre l’alto mare è un deserto. Di barche da diporto nemmeno l’ombra, e nemmeno di delfini ahimè, che quest’anno sono stati davvero molto latitanti.
Per il viaggio Lella ha preparato una zuppiera di ricco couscous, con ceci, pomodori, cipolle e spezie. Ne mangio subito una bella porzione e mi sento più che sazio.
Il pomeriggio scorre tranquillo, e arriva persino un po’ di venticello che permette anche di aprire il genoa per una breve bolina. Poco prima dell’imbrunire una rondinella, forse un rondone, non saprei, comincia a girare attorno alla barca; ci vola accanto, poi punta in alto sopra l’albero, poi ridiscende sul bimini, a poppa, prima di girare di nuovo attorno allo scafo. Chissà cosa ci fa qui in alto mare, a oltre cento chilometri dalla costa. 

Il rondone in volo attorno alla barca

Cerco di fotografarlo, ma va troppo veloce e troppo a scatti per riuscire ad immortalarlo. All’improvviso si infila sottocoperta, gira sopra il tavolo della dinette e sembra quasi volersi fermare aggrappandosi alla tendina dell’oblò; poi esce di nuovo, fa ancora dei giri attorno alla barca e rientra nuovamente in dinette. Ci guardiamo negli occhi provando ad immaginare cosa succede se decide di fermarsi a bordo per farsi trasportare da noi. Già altre volte mi è capitato di navigare con un uccellino rimasto sul ponte per qualche tempo, anche più di un’ora, prima di ritornare in cielo a volare. Il nostro rondone però non trova un posto dove fermarsi e poco dopo ci lascia volando via definitivamente.
Prima che faccia buio riduciamo la randa, prendendo due mani di terzarolo. È più sicuro viaggiare di notte con le vele ridotte, e in caso di aumento del vento non c’è bisogno di fare manovre, che al buio risultano sempre più difficoltose. Fa ancora caldo, ma l’aria è troppo umida per non mettersi addosso una giacca impermeabile. 
 
Mercoledì 20 settembre, Tirreno meridionale
 
Il primo turno di guardia lo faccio io, fino a mezzanotte circa; poi Lella mi dà il cambio, e rimane in pozzetto fino alle tre e mezza di notte. Quando ritorno fuori l’aria si è fatta più fresca, il vento è aumentato e anche le onde del mare sono cresciute. Ora non scivoliamo più sull’acqua, ma siamo frenati dalle onde che sempre più frequentemente sollevano la prua facendola ricadere pesantemente sulla superfice del mare. La nostra velocità è crollata sotto i 5 nodi, e possiamo fare ben poco in queste condizioni per farla aumentare. Provo ad aprire un po’ il genoa, ma il vento contro lo fa sbattere pesantemente e alla fine ci fa ulteriormente rallentare. Andiamo avanti così per un’altra ora, poi riprovo ancora una volta ad aprilo e questa volta lo tiene, anche se sono costretto a modificare la rotta, allontanandomi dalla direzione del vento. Ora la barca cammina meglio e siamo di nuovo sopra i fatidici 5 nodi di velocità. Quando torna il giorno il vento è ancora più forte e devo nuovamente modificare la direzione della prua, puntando decisamente su Trapani anziché su San Vito lo Capo. Non si vede ancora la Sicilia, anche se agli occhi affaticati appare continuamente la costa all’orizzonte, frutto di un vero e proprio miraggio nel deserto “marino”. Le prime montagne le scorgiamo a poco meno di trenta miglia, quando il vento è già calato e anche il mare si sta calmando. Abbiamo rimesso la prua su San Vito e ormai avanziamo spediti.
Fa caldo, anche se il sole è rimasto dietro le nuvole basse e lattiginose. È circa l’una quando entriamo nel porticciolo di San Vito, ormeggiando al pontile del Diporto Nautico e terminando così la prima lunga traversata del Tirreno.
 
La baiai di San Vito lo Capo

Dopo un inutile tentativo di sonno pomeridiano, andiamo a fare un giro in paese. C’è la Couscous Fest, una settimana di iniziative attorno a questo cibo, con stand che lo propongono in mille modi diversi; e poi ci sono anche i concerti serali, i convegni, il “campionato italiano di couscous” e le sfide internazionali fra Italia, Marocco, Tunisia, Israele e perfino Messico!
Peccato però che per tutto il viaggio non abbiamo fatto altro che mangiare couscous, e adesso non ne abbiamo proprio voglia! Ma dico io, non potevamo preparare qualcos’altro per navigare? Che ne so, un’insalata i riso, dei maccheroni pomodoro basilico e aglio, proprio il couscous ci doveva venire in mente! Pazienza, e stasera mangeremo solo pomodori, insalata, formaggio e olive (ottime, a San Vito le fanno ancora come una volta).



Intanto in spiaggia c’è grande festa; la musica risuona nell’aria e corre dritta verso di noi. Terminato il concerto – la musica dal vivo è sempre ascoltabile - attacca la discoteca, a volume ancora più alto di quello del gruppo rock che l’ha preceduta. Per riuscire a dormire chiudiamo tutti gli oblò, e per fortuna non fa così tanto caldo. La stanchezza ha comunque il sopravvento e non sento più la voce stridula e fastidiosa del dj che parla sopra i brani, mixando con pessimo gusto e con un altrettanto pessimo risultato sonoro, e che incita il pubblico con un continuo “su le mani, su le mani”. Mamma mia, che tempi!

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