Si va in Toscana, ma lentamente...

 



Domenica, 9 luglio, Ponza – 

 

Neanche stanotte il rollio è cessato, colpa dell’onda da sud ovest che entrava lentamente e ritmicamente nella grande Cala di Chiaia di Luna. Deve aver soffiato molto dalle parti della Sicilia occidentale perchè ci sia fin quassù un mare così fastidioso, e senza un alito di vento. Mille rumori e mille cigolii si nascondono tra le complicate attrezzature delle barche a vela, e tutti gli oggetti prendono vita nel silenzio notturno, creando un concerto polifonico straziante. Cerco di dormire, un po’ ci riesco un po’ no. L’alba sta per arrivare, è tempo di mollare questo ormeggio poco riparato e tornare a navigare; se devo ballare così, è meglio farlo macinando miglia che non stando fermo all’àncora.
A motore e senza vento ho la prua verso la città di Santa Marinella, poco a sud di Civitavecchia. Ottanta miglia, dovrei farcela in giornata, magari arrivo quasi con il buio, ma c’è una bella spiaggia di fronte alla quale fermarmi e il fondo di sabbia facilita sempre la sosta. Poi il giorno dopo andrò al Giglio, nella baia di Campese, che è sul lato orientale dell’isola ed è sufficientemente riparata per attendere lì un paio di giorni che passi il forte vento di scirocco che è previsto da mercoledì pomeriggio fino a venerdì mattina.


Palmarola

Tutto procede bene, sono sdraiato in pozzetto, a sonnecchiare all’ombra del bimini quando sento un bip di allarme; scendo sottocoperta e vedo che il voltometro delle batterie è andato fuori scala, oltre 15 volt, ma soprattutto vedo dell’acqua che è a filo del pagliolato, il pavimento della barca che ricopre la sentina, la parte più profonda dello scafo. Mi viene un colpo, penso subito di avere un'infiltrazione d’acqua da qualche parte, magari una presa a mare che si è rotta. Poi sento che l’acqua sotto i miei piedi è calda, corro in cabina di poppa, apro il vano motore e vedo un fiotto d’acqua potente che esce dal collettore che va dallo scambiatore alla marmitta. Corro immediatamente a spegnere il motore e il flusso d’acqua si ferma. Cerco di mettere in fila i pensieri e capire cosa è meglio fare e in che ordine. Primo, non ci sono buchi nello scafo e quindi non sono in pericolo; secondo, devo svuotare la barca dall’acqua di mare e terzo devo capire cosa è successo al motore e poi vedere se sono in grado di porvi rimedio.
Aziono la pompa elettrica ma mi sembra che non tiri a sufficienza, strano. Prendo la pompa a mano e con quella comincio a svuotare tutti i vari scomparti in cui è separata la sentina, togliendo e asciugando anche le circa 25 bottiglie di vino che erano stipate lì e cercandogli un altro posto all’asciutto.
Mentre pompo, asciugo e pulisco la mente va alla ricerca delle cause di quello che è successo e di come venirne fuori. Se il motore è fuori uso l’unica speranza è il vento, ma per adesso non c’è e le previsioni che ho visto questa mattina lo davano in arrivo da ovest-nord-ovest in tarda mattinata o primo pomeriggio. Di arrivare a Santa Marinella non se ne parla nemmeno, e non so ancora quale alternativa ho sulla costa per potermi fermare.
Asciugato tutto e rimesso i paglioli al loro posto, entro in cabina di poppa per capire meglio cosa è successo e mi accorgo che è stata tutta colpa di una banale fascetta che si è allentata e ha fatto staccare il tubo dell’acqua di scarico del motore, che invece di essere ributtata in mare veniva bellamente versata dentro la barca! Non so se sono più contento o più incazzato, perché è un guasto ridicolo che si ripara perfettamente, ma nello stesso tempo ti fa rabbia perché poteva benissimo non succedere nulla, se quella fascetta avesse tenuto!
Con il cuore più leggero rimetto in moto e riparto, ma non faccio nemmeno cinquanta metri che il bip d’allarme riparte, batterie in sovraccarica. Merda! Prendo il tester e controllo la batteria motore: 18 volt!!! Spengo immediatamente il motore, la tensione della batteria cala, ma il bip raddoppia. È partito anche l’allarme del misuratore del monossido, che ho messo da quando ho montato il riscaldamento a gasolio per l’inverno (il webasto) per essere sicuro di dormire sonni tranquilli.
Ora ho la certezza che il motore non posso rimetterlo in moto, l’alternatore carica troppo e rischio di far scoppiare la batteria.
Esco in pozzetto, ho bisogno di una pausa e di riflettere. Guardo il mare piatto e deserto, guardo la carta nautica, il porto più vicino è Nettuno, nella baia di Anzio, 30 miglia a nord dalla mia posizione. Apro le vele, le metto a segno e cammino a 1,8 nodi, in una direzione 35-40° più a sud di quella che dovrebbe esser la mia rotta giusta. Sto andando verso il Circeo e non va bene. Aspetto, il vento dovrebbe girare a mio favore, le previsioni lo dicono, cazzo! Non potete sbagliare sempre!
Mi accorgo che sto parlando da solo, mi viene da ridere, ma non tanto. Non c’è campo in questo tratto di mare aperto, e non posso parlare con nessuno, tanto meno con il Marina di Nettuno per chiedere se hanno un posto per me.
Prendo il manuale di Zerbinati e mi leggo tutto il lunghissimo capitolo dedicato alla parte elettrica. Mi schianto sulla frase: “se non avete un alternatore di rispetto in barca non c’è modo di riparare il vostro alternatore che non va”. Vorrei trovare un paragrafo che mi dica come fare a impedire che l’alternatore carichi la batteria, ma non trovo nulla. Questi libri alla fine non servono a niente se non a rendersi conto che in mare aperto non si riesce a riparare mai nulla di serio e per camminare bisogna affidarsi al vento e alle vele.
E alla fine il vento arriva per bene, e anche nella giusta direzione; navigo a oltre 6 nodi e mezzo e Nettuno è sempre più vicina. Arriva anche la copertura telefonica e chiamo immediatamente per farmi assegnare un posto in banchina, informandoli che ho un problema serio al motore.

Alle quattro del pomeriggio sono davanti al porto, bene segnalato da due enormi fanali, il rosso e il verde, e anticipato dal rumore sgraziato delle moto d’acqua che corrono lì davanti.
Mi sintonizzo sul canale 9 dopo aver serrato le vele e acceso il motore al minimo, appena 500-600 giri, quanto basta per non far caricare l’alternatore e mantenere la batteria a 13,5 volt.
C’è un continuo traffico di comunicazione sul canale 9, tra i diportisti che entrano al marina e la Torre di controllo - la chiamano proprio così - che tutti interpellano prima di entrare chiedendo assistenza all’ormeggio. Approfitto di un paio di secondi di silenzio fra una comunicazione e l’altra per chiamare anch’io, e mi danno il numero del pontile dove recarmi. “Pontile 11, dopo il benzinaio, dopo la torre di controllo, alla sua destra, sulla testata, c’è il marinaio che l’aspetta”
Ringrazio, accosto, fermo la barca aiutato da un giovane marinaio in divisa rossa e poi corro subito negli uffici, altrimenti niente acqua e niente luce. Gli uffici sono sotto la Torre, dalla parte opposta del porto, quasi mezzo chilometro sotto il sole cocente e senza un filo d’ombra. Pago i miei 75 €, e anche altri 5 € per avere acqua e luce. Chiedo una piantina del marina con qualche indicazione su dove sono i servizi, ma non ce l’hanno. Mi fanno una fotocopia in bianco e nero con svariati appunti a penna scritti per altri clienti e mi indicano uno dei due bagni presenti. Il più vicino al molo sud, dove sono io, è a 200 mt. dalla barca. Va bene, non c’è problema. Chiedo anche se c’è una lavanderia automatica, ma c’è solo in città. Poi chiamo il meccanico e mi dà appuntamento per domattina. Torno verso la barca e mi fermo ai bagni, che con sorpresa trovo chiusi: si aprono solo con tessera magnetica. Ci risiamo. Chiamo gli uffici chiedendo perché non mi abbiano informato che ci voleva la tessera e adesso mi tocca rifare un altro chilometro di vai e vieni per prenderla e per tutta risposta mi sento dire: “ma lei non ce l’ha chiesta la tessera del bagno, qui tutti usano la barca per i servizi, provi a vedere se c’è un marinaio e si faccia aprire”. Non voglio litigare e sto zitto; per mia fortuna un marinaio lo vedo, lì che gira con uno di quei piccoli veicoli elettrici; lo fermo, non ha la chiave del bagno però mi promette che ci penserà lui a risolvere la faccenda. Dopo un’altra mezzora finalmente ho acqua, luce e bagni disponibili, con la famigerata tessera. Che fatica, però.


Il pontile 11 del Marina di Nettuno.


Lunedì 10 luglio, Nettuno

 

Proviamo a ripararlo, ma non so se ci sono i pezzi disponibili, dobbiamo ordinarli; forse le conviene prenderne uno nuovo, tanto i ricambi costano, e alla fine non c’è tanta differenza. Comunque lo smontiamo lo portiamo “a banco” in officina e poi le faccio sapere.
Questo discorso l’ho sentito fare un mucchio di volte, e non solo nel mondo della nautica; è diventato, e non da poco, l’unico sistema che tutti hanno di riparare le cose, sostituendole. 
Usa e getta è ancora la legge universale della nostra società, alla faccia di tutti i discorsi sulla sostenibilità, il riciclo, e l’impatto zero. So già come andrà a finire questa storia, alternatore nuovo e via, si fa presto, si montano due viti, si collegano due fili, non bisogna avere dei bravi meccanici in azienda, basta che abbiano un po’ di dimestichezza con il “modello Ikea”, e il gioco è fatto.
Come previsto, nemmeno un’ora dopo ritorna il “capo” e mi dice che se voglio metterne uno nuovo, domattina alle 9 è già pronto, altrimenti “provano a riparare il vecchio... “
Manco a parlarne, significherebbe come minimo un paio di giorni di sosta in più. Obtorto collo accetto la sua ipotesi del nuovo e mi preparo mentalmente a riprendere il viaggio.
Sistemata la faccenda meccanico passo alla fase “ordine e pulizia” perché oltre al sale presente ancora in molti angoli nascosti della barca, e che va rimosso al più presto, ho anche da fare una nuova lavatrice nella quale cacciare dentro, senza ormai alcuna distinzione fra colorati e bianchi, tutte le magliette, canottiere, asciugamani, mutande, lenzuola, fazzoletti e strofinacci che si sono accumulati da quando abbiamo lasciato Siracusa. Per quanto in barca ci si vesta sempre con le stesse cose e per la maggior parte del tempo si stia in costume, un po’ di panni si sporcano ugualmente.

Raccolta differenziata dentro il Marina. No comment!

Lavanderie automatiche nel marina non ce ne sono, ma c’è l’ottima Free Wash, lavanderia normale con servizio anche di stireria, che però ha piazzato, intelligentemente, nello spazio che prima era solo per l’accoglienza della clientela, tre belle macchine a gettone e due asciugatrici. Se vuoi fai tutto tu, ma se per caso preferisci che ti stirino le camice o che ti rammendino qualcosa di rotto, o che ci pensino loro a farti il bucato, non hai che da chiedere.  Mica male come idea.
 
Martedì 11 luglio, Nettuno - Argentario
 
Già ieri sera ho tolto il tavolino dal pozzetto, riposto nel gavone il tendalino, svuotato il tubo dell’acqua, raccolto tutte le pezze, le spugne e gli stracci usati per asciugare, rimessi i parabordi non utilizzati nello spazio a poppa sopra la spiaggetta. Non vedo l’ora di ripartire, e quando si fanno le 9,00 comincio a contare i minuti di ritardo. Alle 9,30 chiamo il meccanico. Qui pro quo, dice lui, alle 9,00 arriva il corriere, speriamo che abbia il pezzo, stiamo andando a ritirarlo, ti faccio sapere.
Ahi, comincia male, forse sono stato troppo ottimista sul fatto che stamattina sarei partito. Aspetto. Faccio piccole cose inutili, vado da prua a poppa a sistemare cose già sistemate, pulisco le porte delle cabine con un po’ di prodotto per legno, poi i gradini di accesso in dinette, poi metto via il tutto e mi siedo sul divano. Guardo fuori dall’oblò tenendo d’occhio il cancello d’accesso al pontile, per vedere se arriva il furgone di Ricci Nautica. Dopo un po’ si avvicina una Smart, scendono in due, vengono a bordo, montano il pezzo, testano le batterie per controllarne l’efficienza, gli offro un caffè freddo, scambiamo quattro chiacchiere e poi vanno via. È fatta, si riparte.

La costa laziale dopo Anzio

Torno in mare, dopo questa sosta forzata, e punto verso l’Argentario. Farò un’altra notte di navigazione, la terza di questo viaggio, ma ormai ci ho fatto l’abitudine e mi piace anche di più navigare al buio. Cento miglia mi separano dal posto che ho individuato per fermarmi, vicino a Porto Santo Stefano. Ho scartato l’isola del Giglio perché ho letto che a Campese, la grande baia dove volevo inizialmente andare, hanno messo delle boe molto distanti dalla spiaggia per limitarne l’accesso alle barche, e questo mi lascerebbe troppo esposto alle onde che, con una previsione di vento a 25-30 nodi per 48 ore di fila, sicuramente saranno ben oltre il mezzo metro di altezza.
Vento da sud, randa aperta, anche il genoa, ma non si gonfia a sufficienza. Lo richiudo e riaccendo il motore. Ho una strana sensazione di insicurezza; guardo continuamente se dalla marmitta esce l’acqua, poi controllo il livello di carica delle batterie; apro anche il vano motore e controllo se il tubo che ho serrato tiene o se fa “la goccia”. Tutto a posto, ma mi sento in apprensione, improvvisamente la barca mi appare un luogo meno sicuro di qualche giorno fa. So che non è così, non è cambiato nulla, anzi ho un alternatore nuovo di zecca, batterie controllate, sono riposato, eppure mi è rimasto addosso questo strano senso di fragilità. Passerà, col passar delle miglia, ne sono certo.
Anche la costa laziale è molto edificata, come il resto d’Italia; la osservo con il binocolo e da quando ho doppiato Anzio non si è ancora interrotta la fila di palazzi e palazzoni, ben visibili dal mare, che disegna il suo skyline, se così di può dire. Com’è brutto il Bel paese quando non si è nelle città d’arte!

Tramonto su Tirreno

Prima di Ostia c’è il primo grande tratto verde di questa costa, la Riserva Naturale Romana, che termina alla foce del Tevere. Forse è l’unico modo che abbiamo per evitare che l’homo faber costruisca dappertutto, e cioè istituire più riserve naturali possibili, altrimenti... zac! ecco un’altra casa, un altro albergo, un ristorante, qualsiasi cosa, basta che non resti “vuoto”.
Cala la sera e mi sto avvicinando a Civitavecchia. So già che sarà il momento di massima allerta per la mia sicurezza, perché da qui partono i traghetti per le isole e il traffico, specie la sera, è sempre sostenuto.
La prima grande nave la vedo uscire alle 23,00 esatte. Gigantesca, tutta illuminata, con luci bianche e azzurre, sembra il REX di Amarcord. La vedo sfilare davanti a me, e la osservo con il binocolo.
Dieci minuti dopo eccone un’altra, meno grande della prima ma “più nave”, con la prua più slanciata e meno alta sul mare. Il terzo traghetto mi coglie all’improvviso; ero già oltre l’imboccatura del porto e mi sentivo fuori dalla zona pericolo, e invece non avevo considerato che appena fuori dalle dighe questi prendono subito la loro rotta e mi sono trovato a meno di 200 metri da quest’altro gigante, che mi “sfilava” passando dietro alla mia poppa. Questo significa che gli ho tagliato la rotta senza accorgermene! Che paura, non so come sia successo ma cinque minuti prima il mare era totalmente vuoto e poi è arrivato lui, velocissimo e silenzioso. Mai più rilassarsi quando si è vicini ad un porto, mai più!

Il traghetto silenzioso
uscito da Civitavecchia.

La notte avanza e il vento da sud arriva, e con il vento anche le onde crescono. Bene, mi spingeranno più velocemente verso la meta. 
All’alba vedo Porto Ercole, costeggio tutto il promontorio del Monte Argentario e raggiungo la sua parte nord, riparata dal mare che ormai è parecchio mosso. Mi fermo a Cala Grande, fondo di sabbia e tanti metri di catena per contrastare le forti raffiche di vento che scendono dalla montagna. Sono stanchissimo, non ho dormito per nulla stanotte, mi addormento prima in pozzetto, poi in cabina di prua. Il rollio eccessivo mi sveglia dopo un paio d’ore. Non va bene qui, devo essere più riparato. Tolgo l’àncora e vado verso Porto Santo Stefano, in un posto che si chiama Pozzarello, un nome che mi è particolarmente caro perché mi ricorda una lunga e bella esplorazione di grotta nelle Alpi Apuane. Quattro o cinque barche a vela sono già qui alla fonda; vedo molte persone fare il bagno, nonostante le continue raffiche di vento e il mare un po’ mosso. Ci sono anche alcune derive con dei ragazzini che si divertono a planare sull’acqua. Qualcuno di tanto in tanto esagera e finisce per scuffiare, e il gommone dell’istruttore gli viene subito in soccorso per raddrizzare la barca. L’acqua è di un bel colore, mi tuffo anch’io, giusto per controllare la tenuta dell’àncora, ma la visibilità non va oltre i tre o quattro metri, e non posso seguire la catena fino al fondo. È lo stesso, so già che sono ben saldo sulla sabbia, era puro sfizio.

Il Pozzarello all'Argentario

Giovedì 13 luglio, Argentario – Elba
 
Previsioni del vento, 25 nodi. Guardo il mare, piatto. Riguardo Windy, l’app che uso per le previsioni e mi conferma che per tutto il giorno ci sono 15 nodi con raffiche a 25-28 nodi. Riguardo il mare e ogni tanto arriva una raffica, anche forte, ma poi più nulla. Io vado all’Elba, le raffiche si controllano, poi sono da dietro – mi dico - ancora più facili da gestire. 
Ieri ho chiamato Roberto, un vecchio amico di quando andavo in grotta e che oggi vive all’Elba, per dirgli che sarei andato a trovarlo. Lascio la spiaggia di Pozzarello diretto a Cala Zupignano, sulla costa nord. La giornata non è serena, cielo grigio dappertutto e minaccia di pioggia, ma non c’è aria di temporali, piuttosto di pioggerellina leggera, quasi autunnale. Quando raggiungo il mare aperto le onde e il vento sono aumentate molto, ho il genoa tutto aperto e viaggio oltre i 7 nodi. Non c’è nessuno al di fuori di me, e questa cosa sta diventando sempre più frequente. L’Elba è a 40 miglia, la rotta che ho tracciato passa vicino alle Formiche di Grosseto, un gruppo di isolette il cui nome mi ha sempre fatto sorridere, e da cui sono passato, senza fermarmi, quasi quindici anni fa.
Ora le raffiche sono molto forti, forse davvero quei 28 nodi di cui parlava Windy, e devo chiudere un po’ di vela perché faccio fatica a tenere diritta la barca. Le onde da dietro fanno il resto, spostando la poppa della barca ora a sinistra ora a destra e non mantengo più la rotta giusta. Meglio poggiare, così riesco a surfare sul mare che mi spinge e vado avanti meglio. Sottocoperta il solito finimondo di cuscini volati via, la spalliera del divano giù, e un concerto di pentole e bottiglie che sbattono negli stipetti. Non che si rompa nulla, è tutto ok, ma devo sempre riempire ogni spazio libero fra gli oggetti di cucina, pena il loro continuo sbatacchiare.

Il frangente che “si carica"

Il mare ormai frange alla mie spalle ad ogni onda e non ha intenzione di volersi calmare. Non posso lasciare il timone per il momento, il pilota faticherebbe troppo a tenere la rotta.
Passo al fianco di un peschereccio che sta tirando le reti a bordo, unica altra barca presente in mare, e continuo la mia marcia. Arrivano anche le prime gocce. Col passar delle ore il mare molla la sua spinta e posso utilizzare il pilota automatico. Esce uno spicchio di sole, relax, mangio un boccone - un pomodoro con maionese e una birra - e continuo a navigare. Alle quattro del pomeriggio circa arrivo a Zupignano, una bella spiaggetta sotto una parete a picco, irraggiungibile da terra, a meno così mi sembra. Ci sono altre cinque barche ferme e mi fermo anch’io.

La spiaggia di Zupignano all'Elba

Non ho ancora finito di sistemare i parabordi per liberare la spiaggetta di poppa per scendere in acqua che vedo avvicinarsi un tipo in kayak, con un berretto da ranger in testa e occhialini da piscina che gli pendono dal collo. È Roberto, mi stava già cercando ma vedendo la bandiera belga non pensava fossi io. Passiamo il pomeriggio insieme raccontandoci cosa abbiamo fatto in tutti questi anni, del suo trasferimento nell’isola, e delle mie scelte di lasciare il lavoro prima della pensione. Lui ha fatto un cambio radicale di vita, ed è stato molto bravo a reinventarsi, non è da tutti e ci vuol una bella forza e determinazione per fare certe cose. Nel mio piccolo, avendo per tutta la vita cambiato continuamente lavoro, so cosa vuol dire fare questi passi, ma in fondo io ho sempre vissuto a Bologna, almeno un centro di gravità, come diceva qualcuno, l’ho tenuto permanente, Roberto invece ha fatto ben di più.
Ci lasciamo dopo aver bevuto un “Birra dello Stretto” e promettendoci di rivederci, forse anche domani, o in un prossimo futuro.
La notte passa tranquilla, dopo che l’ultimo traghetto, quello delle 11 di sera, lascia Portoferraio riempiendo momentaneamente la nostra baia con le sue turbolente onde.
 
Venerdì 14 luglio, Elba
 
Volevo fare un po’ si snorkeling in questa che mi sembra un’acqua particolarmente trasparente e una scogliera invitante, ma non ho fatto i conti con i traghetti del giorno. No good spot, dicevano su Navily, il social dei diportisti che ti informa su ogni baia e baietta di tutto il Mediterraneo, e forse del mondo intero. Cerco sulla mappa un posto migliore, a ovest di Portoferraio, e mi ci dirigo a tutta birra. Baia grande, affollata di barche, ma fuori dal traffico marittimo e quindi più adeguata ad una lunga sosta. Sono nel Golfo di Viticcio e qui ci starò tutto il giorno, facendo snorkeling, leggendo, scrivendo e riposando.
Domani andrò a Livorno e inizierà un altro viaggio ancora.

Isola d’Elba, Golfo di Viticcio.


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