Mare, amore e follia



Martedì 4 luglio, Cetara - 

Abbiamo letto sul portolano, il 777 del Tirreno, che a Cetara, patria della colatura di alici, c’è la possibilità di ormeggiare in porto gratuitamente al pontile del transito, chiamando la Capitaneria e facendosi autorizzare. Potrebbe essere una buona soluzione, perché il luogo dove ci stiamo dirigendo, la Costiera Amalfitana, è nota per avere pareti a picco sul mare, bellissime da vedere, ma inadatte a chi come noi vuol mettere l’ancora per la notte e ha quindi bisogno di fondali poco profondi e possibilmente sabbiosi.
Cetara è la località più a est della Costiera, una dorsale montuosa alta anche più di 1000 mt. che inizia più o meno dopo Salerno e termina con Punta Campanella, all’imbocco del Golfo di Napoli.
Prende il nome dalla sua località più famosa, Amalfi, ma non è l’unico borgo che merita – o meriterebbe – di essere visto; uso il condizionale perché questi posti sono talmente affollati di turisti che è quasi impossibile riuscire ad arrivarci, da terra come dal mare.
Lasciato il Cilento con l’ultima baia dove abbiamo dormito ieri sera, partiamo non tanto presto alla volta di Cetara. Le prime ore di navigazione sono sempre a motore, poi nel corso della giornata arriva la brezza e si va a vela. È così anche oggi, e per qualche ora veleggiamo attraversando da sud a nord il Golfo di Salerno quasi fino alla nostra meta. Quando siamo a poche centinaia di metri dal porto di Cetara provo a chiamare il canale 16 del VHF, ma la Capitaneria non risponde. Impossibile, penso, forse non va la radio; eppure sento le altre comunicazioni, quindi riprovo, e riprovo ancora, ma niente, nessuna risposta. Entriamo ugualmente nel minuscolo porto alla ricerca di questi posti in transito, ma è tutto occupato, tranne un piccolo spazio alla testata dl molo, quasi sui massi frangiflutto, e più in là c’è un grande spazio riservato al traghetto. Per il resto pescherecci e alcuni pontili galleggianti “ballonati” di barche.

La baia a sud di Cetara, primo paesino della Costiera Amalfitana

Nello stesso momento arriva il traghetto, come sempre a gran velocità, e facciamo appena in tempo a uscir fuori prima di venir travolti dalla sua onda. Lo lasciamo ormeggiare e rientriamo per metterci in quell’unico posto libero; stiamo per avvicinarci al moletto, con tutti i parabordi su un solo lato della barca, che ecco che il traghetto riparte. Porcaccia, non ci voleva, da qui non si scappa; abbozzo una marcia indietro ma sono molto storto, i massi sono vicinissimi, spero solo che il traghetto parta con i motori al minimo e ci grazi! Così è per fortuna, e passato il momento scappiamo via a tutta birra da questa trappola per topi. Giriamo per almeno venti minuti alla ricerca di un fondale che sia meno di 15-20 metri, e finalmente diamo àncora in circa 11 metri, sulla sabbia, e ad una discreta distanza dalle pareti rocciose, sperando che il vento, che per il momento soffia da terra, non cambi di direzione.
La sera rimaniamo da soli, il vento è calato, il mare è calmo, quando all’improvviso una serie di onde alte ci fa sobbalzare, noi e la barca! Mi precipito fuori in pozzetto per capire cos’è successo e mi accorgo che siamo tragicamente esposti alle onde che crea il traffico di navi che partono e entrano nel porto di Salerno  e che vanno a infrangersi sotto le nostre pareti. Non ci avevamo fatto caso nel pomeriggio, nel caos del moto ondoso generale, ma ora, nella calma assoluta sì!
Per nostra fortuna dopo mezzanotte non passa nessun traghetto, nessuna nave, e riusciamo a dormire in pace, ma che fatica!

Lungo la costiera, con le pareti a picco sul mare

Mercoledì 5 luglio, Costiera Amalfitana
 
Se a Cetara non c’era un posto disponibile, non oso pensare ad Amalfi, e allora la nostra crociera odierna sarà esclusivamente all’insegna del voyerismo: navigheremo piano piano lungo la costa ammirando le magnifiche pareti a picco, le baie, le grotte, le case e le chiese delle varie cittadine, tutto alla minor distanza possibile, fino a Punta Campanella, doppiata la quale andremo a Sorrento per dormire lì, in 6-7 metri d’acqua, sul fondo di sabbia.
Sulla carta sembra sempre un programma fattibile, poi in mare cambia tutto. Davanti ad Amalfi ci sono molte barche alla fonda, e anche diversi megayacht, che non possono mai trovare posto nei piccoli porti. Certo che Amalfi, la più vecchia delle prime quattro repubbliche marinare, non aveva un porto particolarmente grande, o almeno se lo aveva oggi non lo ha più. Quando ci siamo di fronte facciamo anche fatica ad individuare i moli e i fanali d’accesso, appena distinguibili dalla passeggiata lungomare sullo sfondo, con i negozi e le case colorate. 

Amalfi

Solo il flusso di barche che entra ed esce ce lo fa riconoscere. Barche tutte a motore, ovviamente, come conviene all’italica stirpe! Siamo la patria delle barche a motore, primi produttori al mondo, e credo anche primi utilizzatori. O almeno lo sono i campani, perché per quasi quattro ore, tanto ci abbiamo messo a percorrere queste terribili 24 miglia di costa fino a Sorrento, siamo stati letteralmente sommersi dalle onde delle decine e decine di barche, yacht, motoscafi, traghetti, e barconi turistici che navigando a tutta birra ci sono passati vicini, anche a meno di 10 metri, ignorandoci e facendoci ballare come un turacciolo. E senza mai rallentare neanche di mezzo nodo! Quando finalmente ci fermiamo, sotto le falesia di Sorrento, la situazione non è cambiata affatto, anche qui barche che corrono andando in gran fretta non si sa dove!
Svanisce anche la possibilità di scendere a terra per vedere la città. Il nostro piccolo tender non sopravviverebbe a questi mostri, e se mai ce la facesse arriveremmo come minimo bagnati fradici!
Avviliti e anche un tantino incazzati, speriamo solo che il moto ondoso finisca con la sera. Domani per Lella è l’ultimo giorno di barca, e non vorremmo passarlo in questa bolgia. Speriamo di dormire almeno un po’ stanotte e poi domattina andiamo via a gambe levate!
 

Punta Campanella, oltre la quale si apre il Golfo di Napoli

Giovedì 6 luglio, Procida
 
Abbiamo chiamato tutti i marina esistenti a Napoli, e non c’è stato verso di trovare un posto per una notte. Alcuni addirittura non rispondono nemmeno, un altro mi ha detto che è tutto prenotato fino a ottobre! Non so se credergli, ma sta di fatto che Napoli è off-limits per noi oggi. Che si fa? Andiamo fuori dal Golfo, andiamo in un posto dove possiamo dare àncora e che non sia troppo lontano da Napoli, andiamo a Procida. Eh sì, Procida, dista da Napoli qualche ora di navigazione, è bella, ha una baia che dovrebbe essere ben protetta e fuori dal caos, e poi c’è anche il traghetto che porta a Napoli in mezz’ora, meglio di così?
Il Vesuvio

Alle cinque e mezza mi sveglia il rumore di una barca da pesca che si sta preparando ad uscire proprio vicino a noi. Ottima sveglia. Esco dal letto, vado a mettere in moto, e recupero i 40 metri di catena che abbiamo sul fondo. Poi via, diretti a Procida. Il Golfo in questo momento è calmissimo, non c’è nessuno, solo noi e un paio di barche da pesca in lontananza. Nessun vacanziero, nessun traghetto, nessun motoscafo. Diciotto miglia per conquistare un po’ di pace, sperando questa volta di aver fatto la cosa giusta.
La baia di Corricella è avvolta nella calma e nel silenzio, rotto solo dal campanile che segna le ore e i quarti d’ora; ci sono poche barche, un catamarano, una bellissima barca a vela a due alberi battente bandiera inglese, e poi ci siamo noi, che ci fermiamo in 3 metri di acqua di fronte ad uno dei tre frangiflutti che delimitano il porticciolo, alle spalle del quale si elevano le case colorate di Procida. 
Spengo il motore e siamo fermi. Non dondoliamo, non balliamo, non saltiamo. Non ci sembra vero, dopo due giorni di tormento. La prossima volta che voglio andare a Napoli ci vado in treno, giuro!

La baia di Corricella a Procida

L’acqua della baia non è bellissima, colpa del fondo di tufo scuro, ma un bagno si può fare. Tocca a Lella questa volta andare a controllare se è tutto ok con l’àncora. E anche Iv ora può essere messo in acqua in serenità, e con il fido tender sbarchiamo nell’isola di Arturo. Bar, gelaterie e ristoranti, come si addice ad un lungomare così famoso, quello del film di Troisi “il Postino”. Risaliamo le vie e le scale che portano in cima al paese e poi riscendiamo dal lato opposto, verso il porto, passando fra i negozi dello shopping turistico, qui meno brutti che altrove.
È bella Procida, ha un’aria tranquilla e serena. Ricordavo le sue architetture bizzarre, quasi a imitare Escher, con cortili, scale, finestre e portoni che si rincorrono in facciate semplici e per questo ancora più affascinanti. Lo scorso anno è stata anche capitale della cultura, e si vedono in più punti cartelli e striscioni che lo ricordano. 

Vicolo fatto “a scale”
nel centro di Procida

Facciamo un bel giro fino a Palazzo D’Avalos, ex reggia ed ex carcere, ora in ristrutturazione. Poi torniamo nella nostra barchina. La baia di Corricella si è riempita di tante altre barche, molte solo per fare il bagno di fronte alla spiaggia, sul lato sud. È aumentato quindi anche il moto ondoso, e salire e scendere dal tender diventa più difficoltoso, con la poppa di Eleftheria che batte forte sull’acqua. Lella scende per prima, un po’ a fatica ma conquista la spiaggetta della barca; io mi avvicino tirandomi con la cima, ma un onda allontana il tender, sono un po’ sbilanciato in avanti ma non a sufficienza per salire, e purtroppo ormai fuori equilibrio per ritornare su Iv: risultato, un bel tuffo tutto vestito in mare! E per fortuna non avevo nulla in tasca, altrimenti facevo un bel numero. Non mi rimane che strizzare maglietta, mutande e pantaloncini e sciacquarli in acqua dolce per togliere il sale.

Il lungomare di Corricella

Cena in barca anche stasera, nonostante un pensierino per una impepata di cozze nella Locanda del Postino, ce l’avevamo fatto. Ma va bene così, e poi ci godiamo la luna che sorge sul mare, il panorama delle case tutte illuminate e anche un delizioso live di un cantante e la sua band che rifà tutti i pezzi più famosi dei Queen, e devo dire anche molto bene.
 
7 luglio, venerdì – Procida - Ventotene
 
È un mese esatto che ho lasciato Ravenna, e stamattina Lella sbarca da Eleftheria e ritorna a Bologna. Ci siamo svegliati con la sgradevole sensazione della fine di qualcosa. Stiamo in silenzio mentre ci vestiamo, non diciamo nulla, ma sappiamo che ciò è dovuto al fatto che fra poco più di un’ora ci separeremo, almeno per un altro mese. Faccio il caffè e mi dimentico di metterci dentro l’acqua, per poco non faccio un danno serio! Anche da qui si vede che sono un po’ turbato.
Dal benzinaio, dentro il porto di Procida, Lella scende a terra, ci salutiamo con gli occhi lucidi e io riparto per Ventotene, mentre lei va al suo aliscafo per Napoli.
Venticinque miglia dista l’isola dei deportati, e li percorro un po’ a motore a un po’ a vela, come sempre in questi giorni. Alle due del pomeriggio sono davanti al Porto romano, e mi fermo vicino ad altre barche già alla fonda. L’acqua è trasparente, vedo addirittura la mia ancora che si trova a ben 10 metri dalla superficie!
Nel pomeriggio metto in acqua Iv ed entro nel meraviglioso porto romano di Ventotene, tutto scavato nella roccia e con i mattoni di tufo del molo esterno ben conservati, lì da più di duemila anni! Cerco un posto dove lasciare Iv e lo trovo sulla grande banchina interna, stranamente vuota. Ventotene l’avevo già vista, proprio andandoci in barca, ma non avevo conservato il ricordo delle sue strade e delle piazze, me ne ero dimenticato. 


Un po’ ovunque in città sono presenti targhe e cartelli che ci ricordano che questa è stata l’isola dei confinati per eccellenza. Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Sandro Pertini, giusto per citare i più famosi, ma erano decine e decine i deportati qui, in larga parte politici e intellettuali antifascisti. Al loro interno divisi fra comunisti, socialisti, anarchici, liberali, etc...


Giro per le strade, scatto qualche foto, poi sbuco vicino ad un piazzale rivolto a mare dove un gruppo nutrito di persone canta, suona e balla al ritmo della capoeira. Prima non capisco che musica sia, con questo suono ripetuto sempre uguale, poi vedo il modo di ballare, e soprattutto leggo nelle magliette che tutti portano la scritta “Capoeira”, il che mi toglie ogni dubbio.

Un gruppo di Capoeira a Ventotene

Tornato al porto romano ho la sorpresa di trovarlo pieno di grandi barche da pesca d’altura, che hanno preso tutto il posto che prima era libero – svelato l’arcano – e soprattutto non vedo più Iv. Sono qui riuniti per una gara di pesca e sono tutti esaltati e festanti, con musica e lattine di birra in mano. Temo che Iv lo abbiano schiacciato con le loro poppe gigantesche, non accorgendosi nemmeno della sua esistenza. Chiedo a qualcuno di loro ma nessuno sa nulla; poi ad un ormeggiatore che mi dice di averlo spostato verso la spiaggia; irraggiungibile se non con un gommone. Aspetto che finiscano le manovre di ormeggio, ancora in corso, e poi uno di loro mi porta finalmente al mio adorato Iv.
Dopo cena, per inciso due uova al tegamino con pane e formaggio, ricontrollo il meteo. È previsto vento da sud-est stanotte, e ci sarà un po’ da ballare, spero non eccessivamente.
 
Il porto romano di Ventotene invaso
dalle barche da pesca d’altura per una gara

Sabato 8 luglio, Ventotene – Ponza
 
Alle 3 di notte comincio a sentire che la prua batte sull’acqua ritmicamente. Ho tanti metri di catena che mi tengono fermo sul fondo e non mi preoccupo, pero non si dorme bene. Resisto più che posso, ma alle 7 devo tirarmi su. Non c’è più nessuno in baia, sono tutti corsi via a ripararsi dietro l’isola. Giustamente. In pochissimi minuti sono anch’io libero e in navigazione verso il lato nord di Ventotene, che è poi anche la via per Ponza. C’è un po’ meno onda, vento appena sufficiente per aprire almeno una vela, e con il genoa issato e un po’ di motore acceso mi dirigo verso Ponza.
Genoa e motore, randa e genoa senza motore, randa e motore; le provo tutte, poi resto così fino a Ponza, anche se nelle ultime miglia vento e mare si sono fatti particolarmente vivaci, per non dire altro. Giro sul lato sottovento di Ponza e mi ritrovo magicamente... sulla Costiera Amalfitana! Decine di barche a motore che corrono velocissime cercando di arrivare a prendere un posto nelle varie baie o nei posti sottocosta riparati da mare e vento. Onde su onde che mi fanno andare a zig-zag per riuscire a prenderle almeno di prua e non sulla murata; e anche molto vento in questa giornata, che mi complica le cose, visto che non ho ancora ammainato la randa.

Ponza, Cala di chiaia di luna, dopo il tramonto

Provo ad avvicinarmi ad una delle varie baie alla ricerca di un posto dove dare àncora ma sono piene zeppe; continuo ancora a costeggiare tutta l’isola fino alla grande Cala di Chiaia di Luna, baia molto profonda che dovrebbe avere posto a sufficienza per tutti. E infatti riesco a fermarmi, insieme ad almeno altre cento barche, forse anche duecento, non riesco a contarle tutte. C’è perfino una motovedetta della Guardia di Finanza, e non mancano le barche che vendono gelati, quelle che fanno “materassino surf” ovvero trascinano a gran velocità un gonfiabile dove sono seduti dei “clienti” che vengono sballottati sopra le onde e a quanto pare si divertono, urlando e schiamazzando; quelle che fanno karaoke, quelle che cantano a squarciagola le canzoni di un tempo, quelli che la loro musica è così bella che la deve sentire tutta la baia, quelli che amano le moto d’acqua, e infine quelli che vorrebbero solo fare un bagno in un bel posto e nient’altro.
Ad un certo punto vedo anche arrivare un barchino a motore guidato da una persona agè che indossa una muta da sub integrale, e in testa una cuffia da pallanuoto! È un manicomio, che riesce perfino a peggiorare nel momento della ritirata, subito prima del tramonto, quando cioè tutti assieme lasciano la baia per andare chissà dove a passare il sabato sera! Già, questo è il primo week end di luglio, magari non è così negli altri giorni, ma non ne sono sicuro. Ponza è l’isola più vicina alla capitale, e dal punto di vista naturalistico è un vero spettacolo, immagino che sia la meta più gettonata dai romani.
Il giorno è alla fine e siamo rimasti in “pochi”, una cinquantina di barche, a passare la notte qui, purtroppo ancora funestata da un rollio tremendo, frutto temo anche del meteo avverso, e non solo degli indomabili cafonauti.




 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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