Il Tirreno del sud
Giovedì 29 giugno, Stromboli –
Il vulcano fuma questa mattina. Un pennacchio paffuto di color grigiastro si stacca dall’orlo del cratere e sparisce nel cielo azzurro. Tutti dormono nelle barche attorno a noi mentre lasciamo l’isola scivolando sull’acqua immobile di questa giornata senza vento, diretti verso la terraferma, verso la Calabria. Cetraro dista una cinquantina di miglia da Stromboli, dieci ore circa di navigazione, che temo faremo tutte a motore. La prua della barca taglia la superfice del mare liscio come l’olio, creando due onde parallele e divergenti, che corrono a destra e a sinistra allontanandosi. Non c’è nessun altro in giro. Seduto in pozzetto guardo il cielo senza nuvole, ascoltando il cigolio ritmico del pilota automatico, quando un colpo cupo sotto la chiglia ci fa rallentare improvvisamente. Forse abbiamo beccato un tronco, penso, la barca accelera di nuovo ma la temperatura dell’acqua dello scambiatore comincia a salire; metto subito in folle, chissà magari abbiamo preso l’ennesimo pezzo di plastica che ci ha momentaneamente otturato le prese di acqua del sistema di raffreddamento del motore; provo a ripartire ma la temperatura dello scambiatore torna a salire. Non c’è nulla da fare, devo scendere sott’acqua e controllare. Vado sotto la barca ed è proprio come pensavamo: l’elica è completamente avvolta in uno straccio nero, forse plastica o forse stoffa, non saprei, grossa e lunga, che le impedisce di muoversi. Mi faccio passare un coltello da Lella e in un paio di tuffi in apnea riesco a tagliare il pezzo e a liberare l’elica. Pericolo scampato, per adesso, si riparte.
Il sole non è molto forte oggi, c’è una leggera velatura che trattiene i suoi raggi, anche se l’aria è ugualmente calda. Una pinna solitaria fa capolino alla nostra sinistra, sarà sicuramente un delfino. Poi ne spunta una seconda e poi altre tre o quattro; sono proprio delfini e stanno nuotando verso di noi. Sono tantissimi e quando arrivano davanti alla prua iniziano a correre e saltare, incrociando di continuo la rotta, immergendosi, tornando fuori, e poi girandosi lateralmente per guardarci in faccia, sì proprio per guardarci in faccia, con i loro occhioni grandi e tondi. Che magnifici che sono; Lella non sta nella pelle, gli parla come fossero gattini da coccolare “siete bellissimi, siete bellissimi” io non dico nulla, la prendo un po’ in giro, ma in cuor mio sono contento allo stesso modo. Gli incontri con i delfini riescono a suscitare sempre in tutti emozioni forti, una felicità incontrollabile, e non vorremmo mai che andassero via, mai. Dopo parecchi minuti trascorsi insieme, e tantissimi sguardi scambiati, anche l’ultimo delfino ci saluta, lasciando la scia della barca e riunendosi al gruppo.
Le ore passano, facciamo altri incontri con altri delfini e anche con una tartaruga, questa volta beatamente libera di nuotare in superfice. Nessuna nave all’orizzonte, la costa calabra ha da poco fatto la sua comparsa, e Cetraro è sempre più vicina. Verso le quattro del pomeriggio, esattamente dieci ore dopo la nostra partenza, entriamo in porto e ci fermiamo nella zona delle barche in transito. Porto grande, quello di Cetraro, semivuoto, con un lunghissimo pontile in cemento che conduce alle palazzine della direzione del porto. Prima ancora di andare a registrarci puliamo a fondo la barca, spazzolando per bene tutta la coperta, il pulpito, le draglie, i candelieri e tutte le parti metalliche intrise di sale; il pozzetto, le cime e perfino il nostro tender, IV, che ha ancora tracce di sabbia vulcanica sopra i candidi tubolari.
Il paese di Cetraro Marina non è vicinissimo, occorre fare un paio di chilometri almeno per raggiungere il suo centro, e pur non avendo la necessità di fare la spesa, ci incamminiamo lungo la strada statale che conduce al suo lungomare e poi al centro. Spiagge vuote, pochissimi bagnanti, qualche sdraio e tanti gabbiani, che approfittano di un corso d’acqua dolce che sfocia lì per bere e “farsi la doccia”.
La doccia noi la facciamo al ritorno dalla passeggiata, nei bei bagni del marina, puliti ma nello stesso tempo un po’ trascurati, con le chiusure delle porte non tutte funzionanti, due manopole delle docce su tre che restano in mano e altre piccole manutenzioni ordinarie che richiederebbero veramente poco impegno ma migliorerebbero la vita del diportista.
Venerdì 30 giugno, Cetraro – San Nicola Arcella
Facciamo gasolio chiacchierando con il benzinaio. Sull’acqua galleggia una lattina vuota, una bottiglia di plastica, qualche altro oggetto. Ci racconta che è colpa dei pescatori che vengono sul molo la notte a pescare con canne e mulinello - che fra l’altro è anche vietato in porto - e poi buttano i loro rifiuti in mare. Lui ci tiene al mare pulito, e ogni tanto passa di notte a controllare che i suoi concittadini siano più “ecologici”, ma è una gara dura.
Anche oggi pochissimo vento, aspettiamo che arrivi un po’ di brezza procedendo a motore. La prossima meta è l’Isola del Dino, nei pressi di Praia Mare. È indicata come un’isola piena di grotte e con acqua cristallina, dove speriamo di fare un po’ di snorkeling.
Arrivati nella grande baia fra l’Isola e la spiaggia di Praia, veniamo incuriositi da un'altra scogliera mezzo miglio più a sud; è ben protetta da un isolotto, c’è un bellissimo arco di roccia che porta ad una spiaggetta semi nascosta dalle pareti a picco e c’è un fondo di sabbia chiara, ideale per mettere l’ancora.
Il mare è di un bel colore, si vede il fondo a 6-7 metri, anche se non c’è paragone con la trasparenza di quello di Stromboli. Non ci sono molti bagnanti, ma qualche barchino a motore e gli immancabili barconi turistici che fanno la spola dal paesino qui accanto, San Nicola Arcella, a quello che apprendiamo essere “l’Arcomagno, al fianco del quale si aprono grotte con acqua freddissima, dove i pescatori portavano il pesce per tenerlo al fresco prima di portarlo a terra. Tutte queste rocce sono dolomie, come le Dolomiti, e questa di fronte a noi è l’Isola dei Gabbiani, che qui chiamavano l’isola degli scussoni, in calabrese i serpenti. Se volete fare il bagno vi portiamo alla spiaggia e torniamo a riprendervi fra mezz’ora”.
Questa la spiegazione, sempre uguale, che esce dagli altoparlanti presenti in ogni barcone turistico, con le varianti al racconto personalizzate dai singoli barcaioli, tipo “una volta io lavoravo al nord, poi la Calabria mi mancava...”
Tra il via vai di barche e barchine, mentre il mare attorno a noi comincia a mostrare i primi segni di moto ondoso artificiale in aumento, sentiamo in lontananza il “popi - popi” di una trombetta da circo, e subito dopo scorgiamo su un pedalò bianco e azzurro un signore, molto grasso, che avanza tra le barche all’ancora gridando “cocco, cocco bello...” Che flash, mi sono sentito in spiaggia a Siracusa a 15 anni! E ad ogni barca una sua rima, e quando arriva da noi attacca con “all’uomo della vela piace il cocco e non la mela!” Siamo tentatissimi di comprarne un pezzo, ma ad entrambi non piace il cocco e alla fine scambiamo solo due chiacchiere con il gentilissimo venditore, che ci credeva belgi per via della bandiera che batte Eleftheria, e poi, capito che siamo italici, inizia anche lui a fare il cicerone, illustrando con una certa grazia le bellezze del luogo.
Nel pomeriggio, approfittando di una pausa del traffico marittimo, prendiamo maschera e pinne e iniziamo a fare snorkeling lungo la costa che porta all’Arcomagno. L’acqua non è limpidissima, c’è troppa sospensione, e poco pesce; e per giunta è attraversata da lingue di acqua gelata che proviene dalle grotte, come ben sappiamo. Così dura poco il nostro girovagare per fondali, e dopo appena venti minuti torniamo in barca.
Finita la giornata balneare la baia si svuota, rimaniamo solo noi e un’altra barca a vela con una coppia e un cagnolino a bordo. Il moto ondoso cala, ma non del tutto. Prima di andare a letto diamo una controllatina ai siti meteorologici, e vediamo che per domani è prevista una nuova giornata di maltempo, con forti piogge e temporali fra Palinuro e Praia a Mare. Dovremo studiare un piano per sfuggirli, ma temo che sia troppo tardi per ripararsi in un porto. Pazienza la aspetteremo all’ormeggio aggiungendo metri di catena, come ci disse un signore - genovese - a Nauplio, “dai sempre molta catena all’àncora, che tanto è gratis!”
Sabato 1° luglio, San Nicola Arcella – Sapri
Stanotte non ha piovuto, non c’è vento, il cielo è tutto grigio e si sentono i tuoni dei temporali in lontananza davanti a noi. Non ci saranno turisti oggi, sono sicuro, né bagnanti sulle spiagge. Non sappiamo se andar via o restare all’ancora. Facciamo colazione in pozzetto e ricontrolliamo il meteo. L’altra barca a vela che ha passato qui la notte sta andando via, verso nord. Forse andrà a Maratea, il porto più vicino che c’è, o forse altrove in qualche baia fuori dalla zona di maltempo. Noi restiamo per il momento, aspetteremo che passi il grosso delle piogge e poi ci muoveremo. La prima acqua arriva verso mezzogiorno, ma sono poche gocce. Poi arriva il temporale vero, tuoni, fulmini e pioggia seria, quindici minuti in tutto però, altro che due o tre ore come da previsione! Alle due del pomeriggio è proprio tutto finito e sta per uscire il sole. Solo sulla montagna il cielo è nero e tumultuoso. Leviamo l’àncora e puntiamo a nord, verso Sapri. Il vento che segue sempre i temporali si è fatto “vivace” e ha iniziato a sollevare molta onda. Navighiamo lungo costa, da un capo all’altro, da un’insenatura all’altra, guardando ora i monti ora le cittadine arroccate sulle loro pareti. Giungiamo a Maratea, fulminati dalla visione del Cristo, bianco, enorme ed esteticamente impattante. Che brutta cosa, piazzato lì sul cocuzzolo di una montagna che proprio non si meritava questo scempio. Era più che sufficiente la bellezza della montagna stessa a segnalare ai naviganti che siete arrivati a Maratea, senza questi ciclopici manufatti, ma tant’è...
Vento e mare sono sempre da maestrale, non c’è modo di utilizzare le vele, non starebbero gonfie ma sbatterebbero inutilmente a destra e a manca, usurando l’attrezzatura. Entriamo dentro il golfo di Policastro e successivamente nel golfo di Sapri, più a nord est, più riparato dal vento, un po’ meno dall’onda da ovest. Diamo àncora su lato nord, poi cambiamo idea e ci spostiamo verso i pontili galleggianti, più vicini all’ingresso del porto e un po’ più riparati. Il fondo è di sabbia e fango, tiene bene ma non è proprio il massimo per un bagno.
Domenica 2 luglio, Sapri – Camerota
Abbiamo appuntamento a mezzogiorno con Paola, Federica e Mauro, i nostri amici di Bologna che sono in vacanza a Palinuro. Passeremo la giornata con loro e vogliamo andare a vedere la Certosa di Padula. Il marina di Camerota è piccolo, ha solo tre pontili, fitti fitti di barche a vela, e di grandissime barche a motore. Si manovra con una certa difficoltà e infatti uno di questi bisonti uscendo dall’ormeggio aggancia una trappa con la poppa e dopo un continuo “marcia indietro marcia avanti” viene soccorso dal gommone di servizio del porto che lo accompagna fuori dall’angusto corridoio fra il pontile 1 e il pontile 2. È non è nemmeno a buon mercato, anzi, per la nostra barca spenderemo 100€ a notte, e per giunta i servizi sono a pagamento: 1 € per il wc e 2 € per la doccia! Alla reception mi chiedono in quanti siamo in barca e mi danno due buoni per il bagno. Bontà loro il primo ingresso è “compreso nel prezzo”. Faccio finta di non capire, anzi comincio a chiedere, con una faccia tra lo sgomento e l’incredulo, se i bagni sono a pagamento o no, pronto ad attaccare l’addetta con una filippica contro lo sfruttamento dei diportisti poveri. La tipa, vista la mia aria bellicosa, farfuglia qualcosa, poi mi dice che no, non si pagano ma ci vuole il biglietto, poi dice “tanto state solo una notte, no?” ma si accorge che forse si sta infilando in un tunnel di discussione pesante e mi allunga altri due buoni di ingresso ai servizi, sorridendo.
Torno in barca, rimandando eventuali scontri verbali a dopo, per adesso piscio in barca, poi si vedrà.
Alle 12 puntuali arrivano i nostri amici, montiamo in macchina con loro e via verso la Certosa. Ci vuole più di un’ora di strada per arrivare a Padula, ma il paesaggio del Parco del Cilento è molto bello e le montagne di calcare, qui boscose, rimangono sempre le mie preferite.
Io non sapevo nemmeno che ci fosse una certosa a Padula, e men che meno che fosse fra le più grandi d’Europa, seconda solo a quella di Grenoble. Per puro colpo di fortuna oggi non si paga il biglietto perché è la prima domenica del mese e i musei sono gratuiti. Sarebbe costato 9€, scontato per chi ha fra i 18 e i 25 anni, e come al solito niente per gli anziani. Deve proprio essere un’usanza del sud.
La Certosa di San Lorenzo di Padula, questo il suo nome esatto, è veramente grande. Fondata nel 1306 e ampliata e rimaneggiata nel corso dei secoli, è composta da tantissime costruzioni, alternate a giardini e parchi. Il chiostro, la spezieria, le cantine, le chiese, le celle dei certosini, le cucine e il refettorio, la biblioteca, le cappelle, il cimitero, le sagrestie, si susseguono una dopo l’altra, intervallate da piccoli e grandi spazi verdi: parco, giardini e orti, anche “personali” per ogni singola cella. Era anche un centro economico importantissimo nella zona, e credo avesse poco da invidiare ai castelli dei signori locali.
Prima di tornare a Camerota la guida alla biglietteria ci suggerisce di visitare anche il Battistero, qualche chilometro più giù, seguendo le mura. Montiamo in macchina, costeggiamo le mura e dopo una breve strada sterrata raggiungiamo una piccola costruzione in pietra quasi ottagonale eretta su una polla di acqua limpidissima e fredda, che corre verso valle formando un paio di ruscelletti. Tutto attorno silenzio, solo il tubare di una coppia di colombi e il volo giocoso di rondini, o simili, fra le mura del battistero. Gran bel posto, e bella atmosfera!
Rientriamo a Camerota osservando le lunghe file di macchine, quasi ferme, che dalle spiagge del Cilento fanno ritorno verso i paesi dell’entroterra; è domenica e il rito della gita domenicale si consuma anche così.
La prima cena “campana” non la facciamo al ristorante, ma in barca, prendendo al Forno Cosentino - un’istituzione del luogo, nonché credo monopolista assoluto di tutta la produzione di rosticceria del Cilento - paccheri al polpo, frittura mista, melanzane in vari modi e zucchine a scapece. Il tutto annaffiato con il vino fresco del nostro frigo, Falanghina e Greco, per essere enologicamente in sintonia.
Lunedì 3 luglio, Camerata - Golfo dell'Ogliastro
Quando ieri sera dopo cena ho cercato di usare i bagni del marina, ho avuto l’incredibile sorpresa di trovarli chiusi! Non è possibile, non posso crederci. Guardo attraverso le vetrate chiuse degli uffici se per caso ci sia qualcuno dentro che possa aprirmeli ma niente da fare, busso ma nessuno risponde; poi dal lungomare appare un addetto alla vigilanza e chiedo a lui per i bagni, sentendomi rispondere che i bagni chiudono alle 8 di sera e riaprono domattina. Lo sapevo che questo marina era una ciofeca! Comincio a lamentarmi con il guardiano che dopo aver esordito con “io sono un dipendente, non faccio le regole” si impietosisce e mi apre la porta dei bagni. Due wc, con la porta che nemmeno si chiude e due lavabi; poi un paio di docce, che non guardo nemmeno visto che non la voglio fare. Tutto qua il marina da 100 € a notte! Meglio non pensarci, tanto domattina si va via, dopo aver fatto un po’ di “spesa fresca”, qualche verdura, un po’ di mozzarelle e soprattuto il pane!
Oggi si va in baia, dritti verso l’ultima baia protetta da nord prima di entrare nel Golfo di Salerno.
Alle 10,30 lasciamo Camerota e dopo quasi 6 ore di navigazione, un po’ di bolina e un po’ a motore, raggiungiamo la Punta dell’Ogliastro, ultima baia che fa ancora parte del Parco del Cilento. Ancoriamo in 6 metri d’acqua su roccette ricoperte di alghe e posidonia.
L’acqua è bella, invitante per un bagno serale. Ci sono altre due barche alla fonda e passeranno anche loro la notte qui.
La luna piena si riflette sul mare ormai quasi calmo dopo un’altra giornata di maestrale.
Commenti
Posta un commento