Corsica ventosa
Sabato 15 luglio, Livorno -
Alle 6,30 sono in marcia per Livorno. Devo arrivare presto perché il ragazzotto con cui ho parlato al telefono mi ha detto che lui dopo le cinque va via. Ieri l’altro, preoccupato di non trovar posto in porto, ho chiamato la Darsena Lusben per prenotare l’ormeggio, ma mi hanno risposto che non c’era problema. Nel dubbio è meglio arrivare prima possibile, vuoi mai che si riempia tutto il molo, che dalle foto aeree non sembra così grande, e poi non so dove fermarmi.
Vento non ce n’è, giusto un soffio. In mare ci sono solo un altro paio di barche a vela, dirette forse a Capraia o in Corsica. Quaranta miglia, nove ore circa, nel primo pomeriggio sono davanti a Livorno, all’ingresso sud del suo grande porto commerciale. Chiamo nuovamente la Darsena, al telefono, e mi risponde di nuovo il ragazzotto, dicendomi però che non c’è nessuno adesso, e che mi devo arrangiare da solo, mettendomi all’inglese dove c’è posto; acqua e luce sono free, i bagni sono aperti, troverò tutto facilmente. Non è semplice fermarsi in un luogo mai visto prima e mettersi in banchina da soli. Oltretutto avevo già preparato le cime per un ormeggio di poppa, per cui mi tocca toglierle e disporle tutte da un lato, così come i parabordi. Mi avvicino con cautela al fanale verde che delimita uno dei due ingressi al Porto Mediceo, e vado verso al banchina. C’è molto spazio fra due grandi yacht ormeggiati di poppa e provo a fare la mia manovra, disturbato però da un leggero vento che viene proprio dalla banchina e che quindi mi allontana, ora la poppa ora la prua, e non riesco ad avvicinarmi a sufficienza per mettere una cima sopra uno degli anelli d’acciaio cementati sul molo. Oltretutto anche se riuscissi a fermarmi a poppa mi troverei con la prua spinta dal vento verso il centro del porto, e viceversa.
Cambio strategia, metterò la mia cima a centro barca, così quando mi avvicinerò per andare ad afferrare l’anello la barca starà bene o male ferma in mezzo e poi con calma potrò fissare la poppa e la prua con le altre due cime. Mi preparo alla manovra, accosto bene piano piano per non sfregare contro il duro cemento, metto in folle, faccio un salto per afferrare l’anello e legarci sopra la mia cima di centro barca, ci riesco, la barca viene spinta in fuori ma resta ferma lì. Corro a mettere la prima cima, quella a poppa e poi mentre mi affanno per sistemare anche la terza cima, correndo a prua e sbattendo per l’ennesima volta con il dito piccolo del piede contro il bozzello della rotaia, trattenendo un urlo di dolore, ecco che arriva il ragazzotto della darsena, quello del telefono.
- Serve aiuto?
- Certo che serve aiuto!
- Mi passi la cima di prua, ma se vuole ci possiamo mettere di poppa.
- ...
- Più in là dopo il rimorchiatore giallo.
- Va bene, allora slego tutto e mi sposto, ti seguo.
- Le faccio segno con la mano.
Rimetto in barca le cime che faticosamente, e anche con un pizzico di soddisfazione, ero riuscito a sistemare da solo e mi avvio al nuovo posto, dieci metri più in là. Cime in banchina, trappe a mare, acqua e luce collegate. Finite tutte le operazione di ormeggio, e dopo aver dato una bella lavata con acqua dolce alla barca, vado a prendermi un bel gelato e una birra fresca al bar del Circolo Velico Orlando, che si trova proprio di fronte a me.
Sono stanco, assonnato, fa caldo - lo sanno tutti - e la birra concilia il sonno.
Riapro gli occhi di soprassalto, mi sono addormentato, chissà per quanto tempo, che figura! Nel tavolino accanto al mio ci sono altri due clienti, diversi da quelli di prima. Chissà cosa avranno pensato...
Pago, torno in barca e aspetto che arrivi Siria.
Carichiamo, nel vero senso della parola, tutte le borse, zaini, borsette, pacchi, scatole, buste, sporte e sportine che poteva contenere l’auto della sua amica che l’ha accompagnata. Per la verità la maggior parte del carico sono cibarie, e trovano subito posto nella pancia di Eleftheria. Poi un giro per Livorno, ma con l’intenzione di tornare per cenare in barca. Si sta bene in pozzetto quando cala il sole, e dopo almeno un paio di docce con acqua fredda.
Quando arrivano Marco e Barbara, due nostri amici livornesi, abbiamo appena apparecchiato la tavola e aperto la prima bottiglia di vino fresco.
Fa caldo a Livorno, e si sta bene all’aria aperta, in pozzetto, a chiacchierare.
Domenica 16 luglio, Livorno
Stamattina è passato anche Matteo a trovarci. Non lo vedevo da almeno venti anni, e questo viaggio in Toscana sta diventando una specie di “caramba, che sorpresa” della speleologia. Anche lui ha smesso da un po’ con le grotte; sposato, due figlie, un lavoro che gli piace, un altro piacevole incontro, insomma. Quasi quasi verrebbe voglia di trasferirsi a Livorno per vivere gli anni della pensione.
Con Marco siamo rimasti d’accordo che oggi ci avrebbe accompagnato in macchina a fare la spesa, dobbiamo fare scorta di acqua in bottiglia, e dai miei ricordi l’acqua in Corsica costa molto più che da noi. Fatta la spesa e sistemata in barca (sono sempre più incredulo per lo spazio di stivaggio che si riesce a trovare in Eleftheria), andiamo a casa di Marco e Barbara, che ci hanno invitato a pranzo. Vivono fuori Livorno, in una bella casa a due piani, con un po’ di verde attorno, energeticamente autosufficiente, con caldaia a legna e pannelli solari. Siria, interessatissima, si fa raccontare di come hanno fatto a “uscire dal fossile”, annotandosi mentalmente tutte le complicate operazione per convertire una caldaia a metano in una che si alimenta con la legna, che brucia in un normale caminetto, ma caricato come una carbonaia, fiamma bassissima e continua. Qualcosa ho capito anch’io, ma non sono sicuro più di tanto...
Spaghetti alla vongole, prosciutto e melone, formaggi e vino bianco, consumati al fresco assieme ai loro figli, Zeno e Andrea, ragazzi ventenni che non hanno visto l’ora di lasciare la tavola e andare dai loro coetanei, come è giusto che sia. Noi adulti torniamo in porto e ci salutiamo con la vaga promessa che forse a inizio agosto, potrebbe anche darsi, chissà è da vedere, che magari “ci piacerebbe fare un giro in barca”. Chissà, organizzarsi per imbarcare e sbarcare è sempre complicato, ma non si sa mai, la Sardegna non è poi così lontana.
Sono le otto di sera quando arriva il momento di prepararsi per l’ultimo appuntamento livornese: la cena da Melafumo! Siria l’ha prenotata solo qualche giorno fa, ed è riuscita a trovare un tavolo libero, cosa che mi dicono difficilissima se non con settimane e settimane di anticipo. Io sono ancora pieno degli ottimi spaghetti mangiati a pranzo e non so se riuscirò a mandar giù altro cibo.
Saremo in tre a cena, è venuta a trovarci Giulia, un’amica pisana di Siria, e anche se il sole non è ancora calato siamo già in cammino verso il ristorante, due chilometri dal porto, con passo lento e controllato, cercando di mantenere la temperatura leggermente sotto la soglia critica del sudore, dal quale poi non si sfugge più.
Melafumo, ristorante di pesce di sinistra, e che sinistra! Tutte le pareti sono tappezzate di bandiere del PCI, di foto di Che Guevara, manifesti rivoluzionari, bandiere di Cuba e dei sindacati di tutto il mondo; e poi una quantità industriale di sciarpe di club di calcio, di tutta Europa, selezionate però, perché non ho visto né la Juventus né il Milan, ma il Bologna sì!
Entriamo in una specie di forno, che tre ventilatori a pale sul soffitto tentano inutilmente di mantenere fresco. Ci apparecchiano una tavola con tanto di falce e martello sulla tovaglia e un gentilissimo ragazzo ci elenca il menu della casa, tutto pesce. Saltiamo il primo, non gli antipasti, le cozze, il baccalà fritto, l’insalata di aringhe e ceci, il polpo arrosto e i calamari fritti. Vino della casa e acqua della casa, frizzante e non frizzante.
Siamo ancora all’antipasto quando parte una musica a volume stellare, “Bella ciao” dei Modena. Da quel momento è stato come in una festa dell’Unità, ma al chiuso, con musiche anni settanta e con una qualità del cibo che alle feste dell’Unità però non hanno mai visto, almeno non in quelle dove sono stato io.
Che dire, io a Livorno ci vorrei vivere, davvero.
17 luglio, lunedì – Capraia
Il benzinaio apre alle 9. È lui che ci dà gli orari della nostra partenza per Capraia. Vado a pagare la Darsena, 30 € al giorno, poi andiamo a fare il pieno e lasciamo il porto, schivando una gigantesca nave che sta entrando guidata da due rimorchiatori e una pilotina.
Le previsioni danno poco o pochissimo vento. Tutto confermato, si va avanti principalmente a motore, con le vele aperte. Mare piatto. Le uniche onde, serie, ce le fa una portacontainer, che per un pelo non mi inonda la cabina di prua, lasciata sbadatamente aperta e chiusa in tutta fretta un attimo prima dell’arrivo del treno di onde.
Alle cinque del pomeriggio siamo ormeggiati nella Cala della Mortola, insieme ad altre sei o sette barche. Acqua cristallina a Capraia, e bagno immediato. Pochi pesci, anzi per la verità non mi ricordo di averne visto nemmeno uno.
18 luglio, martedì, Corsica
Sveglia tardi stamattina, Siria mi contagia. Mi sono girato più volte nel letto, prendendo sonno tutte le volte che chiudevo gli occhi. Forse ne ho bisogno anch’io, pur se non mi sento stanco. Alla fine, fra fare colazione e mettere via tutto siamo partiti alla 11. Vabbè, la Corsica è qui dietro... In realtà ho fatto male i conti, la Corsica è sì qui dietro, ma la Giraglia, ovvero la punta del dito, per così dire, che è solo a 18 miglia; poi però per raggiungere la Plage du Lotu, la spiaggiona tutta sabbia dove abbiamo intenzione di fermarci ci vogliono altre 22 miglia, per cui alla fine è una bella navigata.
Per le prime ore si va un po’ a motore e un po’ a vela poi, passata la Giraglia, il mitico isolotto utilizzato come giro di boa di alcune regate veliche, solo motore per cinque lunghissime, interminabili, noiosissime ore.
L’àncora scende lentamente in un mare cristallino e la vedo adagiarsi sulla sabbia, seguita dalle maglie della catena; dieci metri, venti metri, trenta metri, mentre la barca arretra spinta dal filo di gas che tiene acceso il motore. Quando sento la resistenza a prua e la catena si tende per bene fermo il motore e lascio che il pochissimo vento che è arrivato faccia il resto. Vento che per tutto il giorno non ci ha degnato di uno sguardo, e che invece adesso comincia a crescere e a farsi sentire. Le previsioni meteo, che ormai tutti guardiamo compulsivamente, almeno io lo faccio, ci dicono che da oggi e fino a domenica questa parte della Corsica sarà battuta da venti forti, fino a 30 nodi. Dovrebbe iniziare tutto domani sera, mercoledì, e per quell’ora è meglio essere ben ridossati in una buona baia, dietro un bel promontorio.
19 luglio, mercoledì - Corsica – Puntalle
Il mare calmo tutta notte ci ha fatto dormire bene. Ci dispiace lasciare questa spiaggia e quest’acqua azzurra, ma dobbiamo entrare più in fondo al Golfo di Saint Florent, dove i venti forti non dovrebbero arrivare. Percorriamo lentamente tutta la costa alla ricerca del miglior ancoraggio possibile. Passiamo da una punta all’altra, tagliando i piccolo golfi, belli, ma pieni di rocce basse e inospitali per le barche a vela, con le loro derive molto profonde. Qui ci si possono fermare solo barche con fondo piatto, e facendo anche molta attenzione. Da una baietta all’altra arriviamo fino in fondo, di fronte all’ingresso del porto della cittadina, ma non intendiamo passare due o forse tre giorni in un posto così poco bello. Torniamo sui nostri passi proprio mentre il vento, da nord, si infila prepotente dentro la baia, creando lo scompiglio in una piccola flotta di catamarani sportivi, a bordo dei quali dei piccoli marinai “in fasce”, di appena 6 o 7 anni, stanno imparando a navigare. Le raffiche fanno schizzare di qua e di là i catamarani, che accelerano e si disperdono in tutte le direzione, rendendo quasi impossibile al gommone d’appoggio dell’istruttore il recupero della “mandria”. Poi il vento cala, sono solo raffiche, avvertimenti...
Troviamo un buon punto dove fermarci a Puntalle, una piccola insenatura all’uscita del Fiume Santu. Ci sono altre barche ferme, segno che il fondo è adatto allo sosta, magari anche per la notte. L’acqua è meno azzurra che al Lotu, ma in compenso è piena di pesci che nuotano fra le roccette. Il piccolo estuario è un laghetto di acqua bassa e calda, forse supera i 30 gradi. La sabbia è finissima, caraibica, ma con molta sospensione, sono troppi i piedi che la calpestano e la sollevano.
Cominciano ad arrivare le prime raffiche di vento, ma non vengono da ovest, la maggior parte sono da nord e così siamo meno riparati dal mare, che infatti batte un po’ troppo sulla prua. Aspetteremo, tanto girerà stanotte. Facciamo un paio di tuffi, e durante il mio giro verso il laghetto ho la fortuna di vedere un’aquila di mare. Bellissima, nera, con una coda lunghissima. Nuota sul fondo con l’eleganza di questi pesci, con leggeri colpi delle ali, sfiorando la sabbia e le roccette. È appena a due metri da me, e mi rendo conto che forse non è prudente starle così vicino. Quando si gira su sé stessa e inverte la rotta, mi allontano velocemente per evitare che possa essere colpito anche accidentalmente dal velenoso pungiglione in fondo alla coda. Magnifica creatura.
Cala la sera sulla nostra baia, alcune barche che stavano lì solo “per fare il bagno” vanno via, altre arrivano e prendono posto per la notte. Termina anche il frastuono delle odiose moto d’acqua e rientrano in porto anche i gommoni che portano i turisti alla Saleccia, la spiaggia più famosa e gettonata della costa nord della Corsica. In cima agli alberi delle barche a vela si accendono le luci di fonda, ci si prepara per la notte. Ceniamo in pozzetto, alla luce della nostra lampada a lucciola e poi rientriamo in cabina. Abbiamo messo sessanta metri di catena in mare. Siamo pronti a ricevere i preannuniciati 30 nodi da sud ovest.
20 luglio, giovedì – Ile Rousse
Ma che succede? Perché non siamo sballottati a destra e a manca da questi venti potenti? Perché non c’è quasi più nessuno in baia a ripararsi e quasi tutti sono andati via? Forse le previsioni hanno previsto male, ma attorno a noi il mare è calmo e il vento è appena percepibile. Riapro l’app e ricontrollo. Strano, continua a segnalare venti forti da nord ovest, mentre qui è tutto calmo. Prendiamo una decisione, si va a Ile Rousse, sono una ventina di miglia scarse, e se sale il vento e le onde possiamo sempre rifugiarci in una della baiette che si vedono sulla carta nautica. Partiamo, le prime due ore procedono bene, poi arriva il vento e con lui il mare comincia a montare. Le onde si fanno più ravvicinante e più alte, o forse sarebbe meglio dire profonde, perché fra l’una a l’altra si scavano dei veri fossi. Vento in faccia e un fazzoletto di genoa è il massimo che posiamo permetterci, andando anche un po’ fuori rotta. Alcune barche a vela sono in mare con noi, ma vanno dalla parte opposta, vento a favore, mica scemi! Ci alterniamo al timone, che tanto il pilota farebbe fatica per nulla, e un po’ alla volta ci avviciniamo all'Ile Rousse.
Le onde salgono sulla coperta ormai costantemente, e spesso arrivano in pozzetto, lavandoci da testa a piedi. Mi si bagna anche il telefono, che provo a tenere più riparato possibile. Per prudenza siamo un po’ distanti dalla costa rocciosa, e questo alla fine ci fa decidere di non fermarci in una delle baie intermedie, ma di proseguire fino all'Ile. Dopo l’ultimo capo doppiato vediamo la città in lontananza. Verrebbe voglia di accelerare, ma il motore è già al massimo, e facciamo solo 2 o 3 nodi! Ci vorranno altre tre ore almeno per arrivare, e sarà sempre peggio, perché il pomeriggio avanza e il vento rinforza. Un grande traghetto, blu e bianco è fermo all’àncora di fronte a Ile Rousse. Non entra in porto, non è il suo turno evidentemente. Lo si vede girare in tondo, spinto dal vento e dalle onde. Non si vedono barche alla fonda nella spiaggia davanti al paese, ma è solo perché siamo troppo distanti e ancora in mezzo alle onde. A poche centinaia di metri dalla costa cominciano ad apparire gli alberi delle barche a vela, gli spruzzi sulle onde non ci sono più, il vento ha asciugato il sale sulla nostra pelle, siamo pronti a calare catena e àncora e fermarci su questa nuova spiaggia. Aveva ragione il meteo, vento e mare contro, raffiche a 30 nodi e onde di due metri. Meglio che stare fermi, direbbe qualcuno.
Dipende.
21 luglio, venerdì - Calvi
Ormai che abbiamo sperimentato come si naviga con 30 nodi e con le onde alte in faccia possiamo anche tentare di avanzare un altro pochino. Come ormai succede da giorni la sera il vento crolla, il mare si stende e fino alle prime ore del mattino non c’è vento. Il meteo dice che oggi è la giornata peggiore, vento fino a 35 nodi. Ma sarà vero? È mattina presto, mi sveglio ancora intontito dalla sambuca che ho bevuto ieri sera in pozzetto. Abbiamo cenato bene, spaghetti alle melanzane precedute da un antipasto di acciughe, limone e peperoncino. Siria dorme, accendo motore e salpa àncora e comincio a tirare su la catena. Mi volto a guardare verso poppa e vedo Siria in piedi al timone. Perfetto, vuol partire anche lei subito, faremo colazione dopo. Non è lontana Calvi, una decina di miglia in tutto; se non aumenta il vento subito subito, in un paio d’ore siamo lì. C’è una baia grande e se vediamo che “si balla” troppo, entriamo in porto. Stiamo navigando da un’ora, tutto fila liscio, ed ecco che il vento decide di arrivare, tutto d’un colpo. Di nuovo nella stessa situazione di ieri mattina; onde alte, spruzzi dappertutto, onde che frangono contro il mascone e si fiondano dritte in pozzetto. Inizia il solito balletto attorno alle onde più alte, o a quelle più ravvicinate, per cercare di prenderle meglio possibile e non farsi sballottare a destra e manca. Siria resta al timone per tutto il tempo, io invece provo a chiudere ed aprire il genoa cercando il compromesso migliore per farlo “lavorare” e aiutarci nella navigazione. Più di quattro ore dura questa seconda navigata “contro libeccio”, e poi la spiaggia di Calvi ci accoglie, grande, spaziosa, con la sua sabbia bianca mangiatrice di ancore. È sempre rassicurante fermarsi in spiaggia, ed è facile. Il vento soffia, viene giù dalle montagne, solleva il mare. Non siamo molto riparati qui, ma non potevamo metterci più vicini alla città; hanno messo un grande campo boe a pagamento, e questo è l’unico spazio a disposizione per chi vuole il “campeggio libero”.
Ci sarà un’altra giornata da passare senza scendere dalla barca e sarà lunga.
Per passare il tempo leggiamo, facciamo parole crociate, chiacchieriamo; ieri, in un momento di calma, siamo anche riusciti a fare una partita a scacchi. E poi facciamo pronostici, previsioni, guardiamo il meteo, programmiamo.
Verso metà giornata decidiamo di mettere il tender in mare; operazione non semplicissima con questo vento e queste onde, ma ci riusciamo. Anche posizionare il motore sul tender non è banale. Tiro tre o quattro volte la cordicella d’accensione fino a che non si mette in moto. Ingrano la marcia, l’elica inizia a girare e comincio a muovermi tra le onde andando verso la bellissima spiaggia, con alle spalle piccole costruzioni in legno immerse in una pineta.
Sono in mezzo agli spruzzi, è impossibile usare il tender per andare in città, è come andarci a nuoto, sono tutto bagnato. Quando arrivo in spiaggia tiro il tender sulla battigia, al riparo dalla risacca e all’asciutto. Poi faccio una lunga passeggiata sul bagnasciuga, osservando le casette, i bar, i lettini dei lidi e i ristoranti sulla sabbia; i wind surf, i kite-surf, alcuni plongeè, scesi da un gommone e tutti con mute, maschere e pinne nere, un po’ lugubri e militareschi per la verità.
Torno in barca con il mare sempre più agitato, ma ci arrivo bene. C’è un lungo pomeriggio da passare, ma sappiamo che quando arriverà la sera sarà tutto più calmo.
Le raffiche sono in costante aumento e quasi continue. Non so quanto siano forti, ma se fino ad oggi ho considerato 30 nodi il valore massimo raggiunto, qui lo stiamo superando. La barca balla moltissimo. La sua prua si muove attorno all’asse della catena; ne ho messi in acqua 70 metri, siamo fermi e gli spruzzi ci bagnano. Cerchiamo su internet il numero di telefono del porto di Calvi e li chiamiamo. Non sanno se c’è posto, ci dicono di provare domattina sul VHF.
Alle sette di sera il vento è sempre costantemente forte. Alle otto si sera non si è ancora calmato. Alle nove di sera decidiamo di mangiare in dinette, impossibile stare fuori. Preparo un pesce d’uovo che consumiamo con gli avanzi delle verdure piccanti cotte un paio di giorni fa; formaggio, maionese e vino bianco, poco questa sera, giusto per finire la seconda bottiglia che era stata aperta ieri sera. Anche il pane, una bella pagnotta di pane apuano comprato a Livorno è terminato. È giunto il momento di entrare in porto. Domattina chiamiamo Calvi per cercare un posto, e speriamo che ci sia perché tre giorni di “danze” continue sono fin troppi.
22 luglio, sabato – Calvi
Ho letto tanto in questi giorni, ho quasi finito il mio secondo libro di questa navigazione, FURORE, di J. Steinbeck. Lo leggo anche questa mattina, a letto in cabina, mentre aspetto che si faccia un'ora più adatta a chiamare la capitaneria.
VHF 9, port de Calvi...Eleftheria…bla bla bla... C’è posto, ci dicono di andare all’ingresso e richiamare da lì. Un gommone di servizio ci accompagna al nostro ormeggio. Fermi, con il sale che ormai copre ogni centimetro della barca, prendiamo spazzole e tubo dell’acqua e puliamo tutta la coperta. Dalla parte esterna del molo è possibile fare il bagno, scavalcando i frangiflutti. Facendo attenzione a non scivolar sui sassi mi tuffo in questa acqua splendida e mi rilasso qualche minuto. Mi ricorda il Mandraki di Corfù, ormeggio da un lato e bagno in mare dall’altro, senza neanche mettersi le scarpe per andare di qua e di là.
La piccola capitaneria di Calvi è il gestore del porto a cui si paga l’ormeggio. 57 € per una notte, servizi compresi. La “poubelle” differenziata è protetta da una porta con codice d’accesso, che viene comunicato ai diportisti; idem per il bagno e le docce, grandi e pulite. Facciamo una bella camminata per la città, che mi sembra di non aver mai visto pur essendo sicuro di essere passato per Calvi negli anni in cui sono stato in Corsica. Rientriamo in barca, giusto per sistemarsi un po’ fare una doccia e poi uscire per la cena. E sì, siamo in Corsica e voglio farmi una bella mangiata di cozze alla panna, come usa da queste parti, e in tutta la Francia.
Troviamo un bel ristorantino lungo il porto, dove ci fanno avere la solita pentola da 1 kg di cozze a testa. Buonissime, sono alla Cap Corse, con una crema densa di qualche buon formaggio locale, prezzemolo, scalogno e vino bianco. E ci portano anche una zuppiera di patate fritte, buone per 4 persone! Pieni e satolli facciamo due passi prima di fermarci da Eden Port, la discoteca più figa di Calvi. In effetti devo dire che la musica, pur da discoteca e quindi fondamentalmente un po’ dozzinale, è molto ma molto accattivante, con un giovanissimo dj occhialuto che ci dà da matti! E faccio non poca fatica a trattenere Siria che vorrebbe lanciarsi in danze scatenate.
A toute a l’heure!
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