Siracusa, Magna Grecia
Martedì 20 giugno, Siracusa –
È la prima volta in vita mia che mi sveglio in barca a Siracusa, ed è la prima volta che questa barca è anche la mia unica casa qui. Ho dormito, ho riposato, sono più sereno e i pensieri un po’ malinconici di ieri sera sono andati via. Il plaid giace attorcigliato al lenzuolo ai piedi del letto, non l’ho usato, faceva caldo. Siamo al 38° parallelo, quello della guerra di Corea per intenderci - che forse solo chi ha vissuto la guerra fredda può ricordare - in ogni caso molto vicini all’Africa e ai suoi climi caldi. Ho fatto un piccolo programma mattutino: colazione al bar con granita di mandorle e brioche, laundry, spesa di cibarie fresche, frutta e verdura principalmente. L’aereo di Lella è partito puntuale, lo sciopero previsto per la giornata di oggi ha risparmiato i voli del primo mattino, e se tutto va bene dovrebbe arrivare verso l’una. La lavanderia Speedy Queen è a cinque minuti di strada a piedi ed è super automatica, con lavatrici nuovissime che lavano con cicli veloci di appena mezz’ora, e con il detersivo già incorporato, senza la necessità di comprare quelle pessime bustine come toccava fare lo scorso anno in Grecia, che poi lavavano anche male e non lasciavano nemmeno un buon odore. Ho giusto il tempo di far colazione con la granita al bar Cristina che il bucato è pronto da ritirare e poi da stendere in barca ad asciugare.
Lella arriva puntuale, le vado incontro alla fermata del bus, alla fine di Corso Umberto. Lei è bianca, io mezzo arrostito, ma so già che le basteranno pochi giorni di mare per diventare più nera di me, come sempre.
La sera andiamo a cena fuori con due nostre amiche di Siracusa che non vedevamo da tanti anni. Locale tranquillo appena fuori dall’affollata isola di Ortigia, con tante buone birre artigianali e delle focacce niente male. E un fiume di chiacchiere, come si conviene quando non ci si vede da tanto tempo.
Mercoledì 21 giugno
Questa mattina andiamo al mare, ma non sugli scogli dell’Asparano, di Ognina o dell’Arenella, dove siamo soliti fare il bagno quando siamo a Siracusa, bensì in città, in Ortigia, e precisamente a Forte Vigliena, sul lungomare est, poco prima del Castello Maniace, una prua di pietra sveva protesa sul mare. C’è molta gente, sia sugli scogli che sul solarium, la piattaforma di legno e tubi di ferro che, fissata alle mura del forte, permette facilmente di raggiungere il mare. L’acqua è fredda, si apprezza meglio dopo una nuotata, è trasparente, piena di pesci, tutti i soliti pesci del mediterraneo che ci fanno sempre compagnia; ma la cosa più bella è il panorama, i palazzi storici, le facciate delle chiese barocche, le strade strette e le mura del Castello, da ammirare dall’insolita prospettiva dal basso, dalla superficie del mare. Per certi versi mi ricorda la scogliera sotto le mura di Monemvasia, in Peloponneso, unica altra città sotto le cui mura ho fatto il bagno.
Ieri pomeriggio siamo andati al Teatro Greco a comprare i biglietti per vedere la Medea di Euripide; sono gli ultimi giorni, dalla prossima settimana il programma degli spettacoli cambia e ci saranno altre opere. Non abbiamo trovato i posti che volevamo, ma non potevamo prenotarli da Bologna, non c’era la certezza di essere a Siracusa in questi giorni. Settore D, posti 203 e 204, centrali ma un po’ in alto, pazienza.
Giovedì 22 giugno
Il mercato di Ortigia è un’enorme delusione. Il vecchio mercato cittadino, quello dove potevi comprare verdura, frutta, pesce, formaggi a buoni prezzi, quello delle bancarelle con gli ombrelloni rossi per far “arrossire” il pomodoro, quello dei bicchierini di uova di ricci, dei capperi sotto sale e dello “stratto”, il concentrato di pomodoro fatto asciugare al sole di luglio e agosto, insomma un mercato con le sue specialità, come c’è in ogni città del mondo, ebbene questo mercato non c’è più. Al suo posto una specie di trattoria a cielo aperto per turisti, con tavoli e tavolini che sono diventati le extension delle bancarelle, ostriche e chardonnay come in Bretagna, carne arrosto cotta al momento da consumare sempre ai tavoli, camerieri che sfrecciano di qua e di là, e le ultime bancarelle che ancora vendono solo i loro prodotti hanno raddoppiato i prezzi, sempre con l’occhio al turista/pollo. C’è ancora qualcuno che fa il suo mestiere di sempre, ma sono due o tre in tutto. Anche il mitico banco del pesce di Cappuccio è tristemente vuoto, senza nessun cliente e con un gigantesco tonno tagliato a metà e pieno di mosche che gli ronzano attorno.
Sarà stata la giornata sbagliata, magari durante gli altri giorni non è così, però è stato proprio un colpo al cuore. E per finire la via che costeggia il tempio di Apollo, quella che termina in Piazza Pancali, è ormai esclusivamente dedicata alla vendita di oggettistica souvenir: ceramiche, portachiavi, magliette, cappelli, occhiali da sole, tutto rigorosamente di produzione orientale, leggasi Cina e dintorni, tutta orribile paccottiglia che scimmiotta l’artigianato siciliano di una volta, come le famose “Teste dei mori di Caltagirone”, ma dalla fattura tristemente scadente, o le piccole mattonelle da appendere dai disegni “italioti”, sempre made in PRC.
Non si vive di turismo, di turismo si muore, e soprattutto di turismo muore lo spirito, la cultura, la diversità dei luoghi, l’unicità del luoghi, sacrificati in nome del denaro, poco o tanto che sia, purché ci sia.
Venerdì 23 giugno
Anche le colazioni al bar mi sembrano diventate care; granita e brioche al bar della Fonte Aretusa costa 5,00 €; al bar Cristina 4,00 €, e al bar Viola non lo so nemmeno perché la cameriera era talmente lenta, e i tavoli da servire erano talmente tanti, una decina, che dopo una lunga attesa siamo andati via.
Non siamo andati al mare come avevamo pensato, abbiamo girato per negozi, supermercati, fornai, alla ricerca di quelle cose buone che sono ancora nei miei ricordi ma che fatico a ritrovare nella città di oggi. Per fortuna ho negli occhi e nelle orecchie la meraviglia dello spettacolo di ieri sera, Medea di Euripide, che abbiamo già visto altre due volte in questi anni, con altri registi e altri attori, e per questo sempre diversa e che voglio raccontare.
Medea entra in scena quando la luce del giorno è ancora alta e illumina l’orchestra. È stata annunciata dalle serve di palazzo, il coro che come sempre nelle tragedie greche è il narratore della storia, informando lo spettatore su quello che era accaduto prima e anticipando quello che sta per succedere. Medea, sposa straniera portata a Corinto, è stata ripudiata dal marito Giasone; il furfante ha pensato bene di sposare una giovane donna, per di più ricca e potente, la figlia del re Creonte, senza farsi tanti scrupoli, e senza dirlo alla moglie, che lo apprende per altre vie. Però non ha fatto bene i conti, o non sa con chi ha a che fare. Medea infatti, fingendo di cedere e accettare il suo destino di futura esiliata, prepara un bel regalo di nozze per la novella sposa: una preziosa corona d’oro e un peplo riccamente decorato, che fa consegnare dai figli a palazzo reale. Il regalo però è intriso di un terribile veleno, che strazia ed uccide la promessa sposa e anche suo padre che cerca di aiutarla. Ma non finisce qui: per i due figli, che vediamo nelle prime scene della tragedia mentre giocano vestiti da bianchi conigli, Medea teme una fine violenta per mano dei fedeli di Creonte, così decide di ucciderli lei stessa. La tragedia sta per compiersi, la scena lentamente si svuota ed io cerco di immaginare come sarà quella successiva, come ucciderà, con quali armi, in quale maniera darà la morte ai suoi amati figli. Le luci si spengono, un rosso fuoco illumina la scena, il proscenio e l’orchestra, mentre da lontano la musica si mescola a urla strazianti; non si vede nulla, è tutto buio, ci sono solo lame di luce rossa che tagliano il teatro da una parte all’altra: mi viene la pelle d’oca, sento una stretta allo stomaco, che forse sto condividendo con tutto il pubblico, rimasto in totale silenzio.
La tragedia per me finisce qui, anche se c’è ancora un lungo dialogo fra Giasone e Medea, nel quale Giasone si dispera e Medea, quasi trionfante, freddamente espone il suo “punto di vista” sugli eventi che tutti abbiamo appena vissuto.
Sabato 24 giugno
È un giorno molto triste per me, un lutto improvviso mi è stato comunicato ieri sera e oggi sono in una specie di tempo sospeso, in attesa di sapere qualcosa di più dai miei parenti. Doveva accadere prima o poi, come tutti sappiamo è nell’ordine delle cose, però è anche una incredibile coincidenza che accada proprio nei giorni in cui io mi trovo a Siracusa, e dopo cinque anni di assenza dalla città. Chissà, magari mi ha voluto salutare anche così.
E oggi doveva essere il giorno della partenza per Taormina, ma il vento contrario ce lo ha impedito. Aspettiamo che anche lui passi oltre e ci permetta di tornare a navigare. Completiamo gli acquisti di pane e verdure; poi torniamo al Forte Vigliena per un ultimo bagno. Il cielo è coperto di nuvole basse che corrono verso sud, coprendo ogni tanto il sole; all’orizzonte una foschia densa sul mare impedisce alla vista di allontanarsi dalla costa. L’acqua è più calda dei giorni scorsi. Passiamo il pomeriggio a sistemare la barca per la partenza, le solite cose di sempre, con in più la sistemazione del tender sopra la coperta; ora che i lunghi trasferimenti sono finiti può stare comodamente lì.
La prossima destinazione sarà Taormina, circa 50 miglia a nord. Non dovremmo avere vento contro domani, ma molto probabilmente una fastidiosa onda lunga, dovuta a un giorno e una notte di vento da nord. Intanto per la notte ho cazzato le due trappe a prua, per scostarmi maggiormente dal pontile e evitare il rischio di batterci contro con la poppa. Sarà una notte movimentata, ma almeno non dovremo difenderci dalle zanzare, che in tutte queste notti siracusane hanno funestato il nostro riposo notturno.
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