Si riparte
Bologna, 6 giugno
Domattina lascerò libero il posto barca n.17 del pontile F del circolo velico a Marina di Ravenna. Sono pronto? Sinceramente non lo so. Non so se sono più pronto o meno pronto dello scorso anno. Ho fatto tanti lavori alla barca, ma mi sembra di non finire mai. Eleftheria invecchia, purtroppo, e vengono fuori sempre nuovi problemi, sempre nuove rotture, sempre nuovi pezzi da cambiare, riparare, pulire dalla ruggine, limare, verniciare, avvitare, levigare, sigillare, modellare, lucidare. Ho passato più tempo in ferramenta che in libreria, e per quanto le ferramenta siano negozi splendidi, avrei preferito andarci meno. I prossimi tre mesi li passerò lontano dalle martoriate coste romagnole, sommerse dal fango che le terribili alluvioni di maggio hanno portato giù. Ci vorrà tempo affinché l'enorme quantità di argilla che ha ricoperto tutto, si depositi sul fondo o si diluisca in mare. Io nel frattempo sarò lontano, in un altro mare, in altri luoghi, in altre isole. Inizierò un altro diario di bordo, e racconterò a chi vuol leggere queste pagine quello che giorno dopo giorno accadrà a me, alla barca, alle persone che navigheranno con me. E spero di raccontare anche le bellezze dei posti, delle città, delle spiagge, delle coste, delle persone che si incontrano in ogni viaggio, delle loro storie e delle nostre piccole storie con loro.
Marina di Ravenna, 7 giugno
Sono le cinque e mezzo del mattino. Il sole sta sorgendo dietro le barche ormeggiate tutte in fila al pontile del circolo davanti al nostro; un disco dorato che riempie il cuore di gioia, dopo una notte passata ascoltando i tuoni e vedendo le grosse gocce d’acqua cadere fitte sopra l’oblò trasparente della cabina di prua, dove io e Lella tentiamo di dormire, sapendo che mancano poche ore alla partenza. Un caffè con un paio di biscotti da inzupparci dentro e poi via, verso Ancona. Lella mi saluta con la mano dal pontile, esattamente come un anno fa, più o meno alla stessa ora e allo stesso giorno.
Ci sono ancora molti nuvoloni attorno a me, e anche un fitto banco di nebbia che oscura la vista verso Rimini. Forse pioverà, forse no, penso, sarà quel che sarà, ormai sono in mare e un po’ d’acqua non è certo un problema. Verso mezzogiorno il cielo è completamente sereno, il sole inizia a scaldare, la nebbia si è dissolta e viene voglia di mettersi in costume. Il vento è quasi inesistente, ma ho la randa già issata, in attesa che la "brezzolina" si faccia avanti. Ho incrociato due pescherecci con il loro codazzo di gabbiani intenti a rubare un po’ di pesce dal sacco da pesca, decine e decine di gabbiani urlanti, sospesi a mezz’aria sopra le barche, quasi da sembrare dei palloncini riempiti di elio appesi ad una bancarella in fiera. Per il resto solo piattaforme, nessuna nave, e nessuna vela.
Questa mattina dallo scarico del motore usciva tanto fumo bianco oltre all’acqua di mare che passa dello scambiatore, e ho temuto che qualcosa non fosse a posto nel sistema di raffreddamento, fra l’altro appena revisionato prima di partire. Ho subito rotto le scatole a Fabio, il mio meccanico, che mi ha tranquillizzato: è solo gasolio poco pulito, vedrai che fra un po’ smette. E infatti così è stato, il fumo si è diradato fino a scomparire e con lui anche le mie ansie motoristiche. È proprio vero che quando nella vita si rimane vittima di qualcosa, di qualche guaio, non si può fare a meno di tremare al primo cenno di un qualsiasi evento che gli somigli, anche lontanamente, e di vedere una catastrofe imminente pronta a colpirci anche quando non ce n’è la benché minima ragione.
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Il Conero, l’inizio dell’Adriatico Centrale |
Adriatico settentrionale, cinque del pomeriggio, ho percorso quasi di 60 miglia e Ancona è lì di fronte a me, sovrastata dal Conero e fiancheggiata da orribile nuvole scure. Il mare è calmo. Per tutta la giornata c’è stato un leggero venticello da scirocco, che per fortuna non ha sollevato onda. Arrivo davanti al Marina Dorica poco prima delle otto di sera e metto giù l’ancora. Ci sono solo io alla fonda. Dei canoisti stanno rientrando in porto dopo un’uscita d’allenamento, seguiti da un gommone; più lontano vedo un tizio in acqua con maschera e muta, presumo un pescatore. Sui binari della ferrovia che corre lungo la costa passano continuamente dei treni, li vedo e li sento, potrei dire anche li conosco, visto che è la terza volta che mi fermo in questo posto a passare la notte. Mi preparo un bel piatto di pasta col "pesce in scatola" (sigh) e apro una bottiglia di Ribolla Gialla. Ceno in fretta, sono stanco e domattina voglio ripartire presto.
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L'alba sul porto di Ancona |
Ancona, 8 giugno
Mi sveglio prima della sveglia, mi succede spesso sia a casa che in barca. La notte di riposo è stata un’utopia, visto che ho combattuto con una stronzissima zanzara che mi ha devastato un braccio. Faccio colazione e alle 5,40 sono già in marcia. Tiro su l’ancora, che ieri mi ha dato qualche problema con la catena tutta aggrovigliata che non voleva saperne di passare dal verricello, e lascio Ancona diretto a Giulianova. Sono 60 miglia nautiche (nm) e penso di essere lì nel pomeriggio, dieci o dodici ore di cammino. Fa caldo, al sole ci si brucia, ma all’ombra ci si mette la maglietta, non è ancora estate e si sente. Guardo la costa scorrere e non ho la stessa curiosità che avevo l’anno scorso, mi sembra tutto semplicemente brutto, case brutte, cose brutte, capannoni, lampioni, strade, massicciate davanti alle spiagge, cavalcavia e autostrade, tutto senza alcun interesse, neanche quello antropologico, con ogni singolo metro di costa blasfemamente edificato. Siamo un popolo di muratori, altro che navigatori!
Anche il mare non è particolarmente attraente, con quel colorino più simile al fango che non all’acqua; è colpa delle alluvioni, lo so, di tutta quella massa di terra, e alberi e detriti che i fiumi ci hanno riversato dentro in queste settimane. Si incontrano continuamente rami e tronchi che, come formichine in fila indiana, escono dalle foci dei fiumi e invadono silenziosamente il mare, subdolamente celati appena sotto la superfice dell’acqua, pronti a colpire quando sono sdraiato a prua prendendo il sole, lasciato al pilota automatico il governo della barca, e facendo un rumore sordo e cupo che mi fa sobbalzare ogni volta che uno di questi legni urta la prua di Eleftheria, fortunatamente senza alcun danno.
Vongolari al lavoro sulla costa marchigiana |
Ho controllato ripetutamente il meteo saltando da un sito all’altro fra quelli presenti sul mio cellulare, e non ci sono previsioni buone per i prossimi giorni. In Puglia si prevedono venti forti e molta onda, oltre a piogge sparse qua e là, e ho la netta sensazione che mi toccherà fermarmi in qualche porto ad aspettare che passi la buriana. Devo mettere in campo una precisa strategia per non rimanere intrappolato per giorni e giorni, e per non rischiare inutilmente di avventurarmi in navigazioni pericolose. Faccio mille ipotesi, poi la stanchezza ha la meglio e mi stendo in pozzetto a sonnecchiare. Leggo, ma a fatica; mi si chiudono gli occhi dopo poche pagine e devo fermarmi. Caldo e freddo assieme, ho riposato troppo poco stanotte e le energie mi mancano. Il cielo si è coperto di nuvole e sulla costa sta già piovendo. Porto San Giorgio, sotto l’acqua, è alle mie spalle; San Benedetto del Tronto, ricoperto di nuvole nere, è al traverso. Mi metto addosso la giacca a vento e chiamo Giulianova per informare del mio arrivo, mentre le prime gocce arrivano anche in mare. Le ultime miglia le faccio sotto una pioggia non forte ma continua, pioggia calda, che smette esattamente all’entrata del porto. Il marinaio che mi attende mi dà le indicazioni per raggiungere il pontile; non ci sono le briccole, e nemmeno le trappe, mi sistema all’inglese ovvero parallelamente alla banchina, con una cima a poppa e una a prua, e con tutti i parabordi schierati su un solo lato, fra la barca e la banchina. Con rammarico scopro che a Giulianova non esiste un distributore in porto e quindi non posso fare il pieno. Mi tocca usare le taniche che ho a bordo per tornare a riempire il serbatoio, già consumato per metà, sperando che il gentile marinaio dell’Ente Porto mantenga la promessa che mi ha fatto per telefono “in qualche modo faremo per farle fare gasolio”. Sto per collegarmi alla colonnina della corrente elettrica quando mi accorgo che tutte le prese sono con l’attacco grande, quello a 32 A, e non ce ne sono di piccole, come quelle che tutti noi abbiamo in barca. La stessa cosa mi era accaduta anche in Grecia, e mi ero ripromesso di comprarmi un riduttore, cosa che alla fine non ho fatto ed ecco che ora sono nei pasticci. Un vicino di barca mi viene in aiuto e mi presta il suo, ma mi consiglia di andare in ferramenta a comprarne uno, che qui li vendono. Mi precipito in paese alla ricerca della ferramenta; la trovo ma ne è sprovvista al momento e mi indicano un altro rivenditore dove cercare il riduttore; troppo lontano, torno indietro verso il porto, mi trovo davanti un negozio di ricambi marini, entro dentro e ce l’hanno, uno solo, l’ultimo, è il mio, costi quel che costi! Con il trofeo in mano mi dirigo al pontile, sostituisco il riduttore prestato con quello appena comprato, ne stacco l’etichetta con il prezzo, 22€ per inciso, e leggo il nome del distributore: TREM, Ozzano Emilia, cioè potevo tranquillamente prenderlo a Bologna senza impazzire all’ultimo minuto!
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Il marinaio è di parola e viene a prendermi con la sua macchina per portarmi dal benzinaio; risigillo la tanica nuovamente piena e la rimetto nel gavone. Poi vado a farmi una doccia, scarpinando per 300 metri e infilandomi in un bagno più simile a quello di un cantiere che non ad un marina; d’altronde siamo ai pontili dell’Ente Porto e non a quelli sicuramente più fighetti del Circolo Nautico. Niente luce, niente posti dove poggiare le cose ma acqua bollente e abbondante, e tanto basta.
Ceno in barca e crollo addormentato tutto vestito sul divano della dinette fino a mezzanotte. Mi sveglio un po’ intontito per buttarmi in cabina con due coperte addosso. Non sono ancora notti d’estate.
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