Scilla, Cariddi e... Stromboli




Domenica 25 giugno, Siracusa – 
 
Tutta la notte ha soffiato vento da nord, e anche stamattina alle 7,30, quando abbiamo lasciato Porto Piccolo, c’era ancora vento da nord e onda alta. Dovrebbe calare nel corso della giornata, ma di vento per veleggiare non dovrebbe essercene. Il cielo è velato, e come diceva la mia mamma la giornata è un po’ malata; sole e nuvole si danno il cambio di continuo, fa caldo ma non troppo. La costa scorre alla nostra sinistra mostrando le ultime case della città prima della baia di Santa Panagìa e del grande golfo di Augusta, purtroppo massacrati entrambi dall’enorme petrolchimico che sorge lì a due passi dai centri abitati di Priolo e Melilli, cittadine che soffrono ancora oggi “le puzze” delle lavorazioni che da bambini, nelle giornate di vento, sentivamo forte anche a Siracusa; puzze che tutti chiamavano “la puzza della Sincat”, nome della più famosa industria chimica della zona. Oggi la Sincat credo non esista più, e la più grande azienda presente a Priolo dovrebbe essere la russa Lukoil, ma in quasi settant’anni nel petrolchimico sono stati presenti decine e decine di nomi, da Rasiom a Gulf, da Isab a Eni, da Eternit a Celene, producendo tutto quello che si può produrre dal petrolio, e con danni ambientali enormi.
Lasciata Augusta e il suo grande porto ci appare all’orizzonte Catania, sormontata dalla sua magnifica montagna, l'Etna. È quasi interamente avvolta da nuvole, e si intravede a mala pena la sua cima col perenne pennacchio di fumo bianco che esce dal cratere centrale.
Adesso il vento è arrivato e abbiamo issato le vele, siamo di bolina, e corriamo a più di 6 nodi verso Taormina. Le berte perlustrano la superfice del mare, volando a pochi centimetri dalle onde con una maestria che mi affascina tutte le volte che le vedo all’opera. Di delfini neanche l’ombra, ma vediamo una grande tartaruga purtroppo completamente avvolta in un altrettanto grande sacco di plastica; ci passiamo a una decina di metri, sembra morta, forse è ancora viva, ma siamo molto veloci e non facciamo in tempo a mettere dentro le vele, accendere il motore, invertire la rotta e cercare di raggiungerla; nel giro di pochissimo la perdiamo di vista, forse era ancora viva, in cuor mio spero di no per sentirmi meno male, ma questo incontro ci ha molto intristiti, e maledico tutti quelli che non hanno ancora smesso di usare i sacchetti di plastica per le loro spese, per i loro acquisti, per le loro comodità!

Alla fonda nella baia di Taormina

La baia di Taormina e Giardini-Naxos non è perfettamente riparata dal mare ancora un po’ mosso che viene giù dallo stretto di Messina. Quanto basta però per dare àncora e fermarsi per la notte. Ci sono molte altre barche alla fonda, quasi tutte barche a vela. Sono poi le uniche che passano le notti in rada, tutte le altre piccole imbarcazioni rientrano in porto e sono lì solo per fare il bagno. E non potevano mancare le dannate moto d’acqua, che fanno addirittura le gare fra di loro, correndo e saltando sull’acqua, per giunta con la musica sparata da potentissimi altoparlanti. Passano vicinissime e veloci anche fra le barche all’ormeggio, causando come è evidente un continuo moto ondoso che rende l’equilibrio in barca più precario del solito. Cafonauti di tutto il mondo unitevi!!
 
Cala il sole, cala il vento e anche i “cafonauti della domenica” vanno via, lasciandoci un po’ di tranquillità. La rocca su cui sorge Taormina è a picco sul mare, e le luci della sera esaltano la sua splendida posizione, riflettendosi sull’acqua. Qualche raffica di vento che scende dalla montagna spazza ogni tanto la baia, portando anche un po’ di frescura e allontanando le zanzare.
Un modesto spettacolo di fuochi d’artificio ci saluta prima di andare a dormire nella nostra cabina a prua.
 
 
Lunedì 26 giugno, Taormina – Scilla
 
Speravamo di fare il bagno mattutino, come si conviene quando si passa la notte in rada, ma l’acqua di questa baia è orribilmente sporca, piena di olio in superfice e altre schifezze galleggianti. Avevamo notato già ieri che l’acqua non era trasparente, ma così sporca non ce l’aspettavamo. Riguardiamo il meteo e nonostante sia previsto vento in faccia e raffiche a 20-25 nodi decidiamo ugualmente di lasciare la baia e passare lo Stretto. Nel portolano ci sono tutte le indicazione su quale sia la migliore strategia da tenere, e sul sito correntedellostretto ci sono le esatte previsioni di marea - calante, stanca, montante - con ora precisa del cambio di direzione. Se arriviamo tra Capo Peloro e Punta Pezzo verso le 14 dovremmo avere la corrente a favore di ben 2,5 kts, e anche se con il vento contrario si alza un po’ di onda ripida non sarebbe un problema raggiungere Scilla.

La Calabra vista dalla costa sotto Messina

Salpiamo l’àncora e ci dirigiamo verso lo stretto, mantenendoci sulla costa siciliana. Dopo un paio d’ore, ancora lontano dallo stretto vero e proprio, sentiamo già la corrente che ci trascina a oltre 6 nodi, pur con il vento forte in faccia. Arrivati all’altezza di Messina inizia il traffico dei traghetti, e non solo quelli. Una nave con le stive talmente piene che naviga a pelo d’acqua ci attraversa la rotta diretta a sud; una portacontainer va verso nord lungo la costa calabra; una gigantesca nave da crociera ci viene da dietro e ci costringe in qualche modo a spingerci verso Villa S. Giovanni; passa anche la Grimaldi Line, che somiglia tanto a quella che fa la rotta Ravenna - Catania e che parte ogni sabato da Ravenna; poi un velocissimo traghetto della Caronte – Tourist che manovra a poche decine di metri da noi, e per finire un paio di spadare, le barche da pesca al pesce spada dello stretto, con la loro lunga passerella che sporge dalla prua, quasi invisibile sull’acqua, e l’altissimo traliccio con la coffa da cui si scruta il mare per avvistare il pescespada e da dove si comanda anche la barca.

Una spadara nello stretto

Tutto ciò mentre la corrente, che in questo tratto è diventata contraria, ci fa avanzare a 3 nodi pur con 2000 giri al motore!
Meno male che sono solo poche miglia, e superata Villa San Giovanni e Punta Pezzo il mare si svuota e possiamo raggiungere comodamente Scilla. Entriamo nel piccolissimo porto e ci ripariamo dietro il molo dall’onda alta che arriva da ovest. Un ragazzino, 14 anni al massimo, un po’ cicciottello e molto gentile, ci viene incontro su un gommone e ci guida fino ad un gavitello dentro il porto. Ci dà le informazioni sui servizi che offrono, fra cui trasporto a terra h24, rifornimento di acqua e raccolta spazzatura, tutto compreso a 40€ a notte. Ringraziamo e ci rilassiamo in pozzetto, guardando il Castello che sormonta la rocca di Scilla. Più tardi andremo a visitarla.
 
Il porticciolo di Scilla

Ci ero passato in macchina dal paese di Scilla tanti anni fa, quando per un certo periodo l’autostrada Salerno - Reggio Calabria era stata interrotta per ennesimi lavori anche in questo tratto. Lasciata Villa San Giovanni non si entrava nemmeno in autostrada ma si percorreva tutta la strada costiera fino a qui e poi, superata appunto la Rocca di Scilla, si entrava in A3, in un continuo fuori dentro fuori dentro fin quasi a Salerno. E Scilla mi aveva colpito, per queste sue case arrampicate sulla scogliera che circondano il Castello, posto come di consueto sul punto più alto del promontorio. Mi ero sempre ripromesso di farci una sosta, ancor prima di avere la barca, e quando ho pianificato il viaggio in Tirreno di quest’anno l’ho subito inserita nell’itinerario. Negozi, bar e ristoranti abbastanza discreti, senza neon, senza ressa, senza musiche fastidiose e senza paccottiglia souvenir, o almeno non esposta in quantità da riempire ogni spazio sui muri delle case. Al contrario c’è anche qualche interessante bottega di artigiano/artista. Le stradine strette fra le case guardano direttamente il mare, e in ogni vicolo c’è una barca tirata a secco e trattenuta quasi in verticale dalle cime ben serrate. 

Le barche tirate a secco a Scilla

Saliamo fino al Castello e riscendiamo dalla parte opposta verso la spiaggia, nella speranza di trovare un market o un forno dove acquistare un po’ di pane. Chiediamo informazioni ad una signora ma la risposta è negativa, sia per l’ora che per il luogo, perché lungo la spiaggia non ci sono negozi alimentari aperti. Però, se vogliamo, lei un pezzetto di pane può darcelo, tanto domani lo compra fresco. Rientra in casa e torna fuori con un panino dentro un sacchetto da forno, e ce lo porge accompagnandolo con queste parole: è poco ma tanto per cominciare...
Ci è venuta in mente una situazione analoga a Porto Cayo, in Peloponneso, dove lo scorso anno una coppia di siracusani in vacanza con il loro camper ci regalò un pezzo di pane... tanto per cominciare! 
 
La spiaggia di Scilla con il Castello


Martedì 27 giugno, Scilla – Stromboli

Siamo andati a letto con un cielo pieno di nuvoloni minaccianti pioggia e ci siamo svegliati con la città ancora avvolta dalle nuvole ma asciutta, e con il cielo sereno a ovest, verso le Eolie. Guardando a destra e poi a sinistra sembra di vivere in due stagioni diverse pur nello stesso giorno! Non è lontana Stromboli, appena 40 miglia, e senza far colazione lasciamo il gavitello e il porticciolo di Scilla e puntiamo a nord-ovest, 320 gradi verso il mare aperto. 



Riusciamo anche a spegnere il motore e fare una lunga veleggiata fin quasi alle Eolie, con in vento sempre stretto in prua ma non forte e quindi barca non eccessivamente sbandata, tra i 15 e i 20 gradi e 6.5 kts di velocità. Niente male. C’è il sole ma non fa caldo, anzi all’ombra è proprio freddo ed è meglio rimanere vestiti, ci sarà tempo per il costume.
Quando appare Stromboli all’orizzonte è uno spettacolo magnifico, un perfetto triangolo di roccia nera, con in testa “un sombrero di nuvole” che forse sono un po’ nuvole e un po’ fumo del vulcano, non saprei. Siamo diretti a Punta Lena, nella zona settentrionale dell’isola, una delle poche, se non l’unica, dove il pendio sottomarino degrada lentamente permettendo di dare àncora in 5-6 metri su sabbia e sassi. 

Stromboli

C’è anche un grande campo boe, chiamato pomposamente Marina dei Gabbiani, dove chiedono 75€ a notte, decisamente troppo caro e non necessario, visto che il tempo è bello e c’è poco vento e poca onda. Ci avviciniamo alla costa aspettando che il profondimetro cominci a registrare i metri, cosa che può fare solo dai 120 metri in giù, ma ormai a poche decine di metri dalla spiaggia non vediamo ancora nessun dato apparire sul display. Non si sarà rotto proprio adesso? Siamo ormai quasi vicini alle barche alla fonda e ancora non segna nulla, poi finalmente inizia: 115, 90, 45, 22, 9, 6!! Accidenti che scarpata pazzesca! Superiamo una prima fila di barche ferme, poi un’altra e infine troviamo un punto dove dare àncora, 20 metri più 10, direttamente sulla nera sabbia vulcanica. Barca ferma, motore spento, relax. L’acqua è trasparentissima, si vedono dei sassi tondi bianchi spuntare qua e là nella sabbia. I pesci che già “brucano” attorno alla catena che si sposta lentamente sul fondo. Niente a che vedere con la pessima acqua di Taormina, e finalmente un bel tuffo direttamente dalla barca. Maschera, boccaglio e pinne, come al solito; e per fortuna che ho preso le pinne perché c’è una corrente molto forte che mi porta via. Lella è senza pinne e la vedo nuotare a grandi bracciate senza avanzare di un centimetro e poi faticare non poco a risalire sulla spiaggetta di Eleftheria.

Strombolicchio visto
da Punta Lena

Quando mettiamo “Iv” in acqua, il nostro amato tender, le onde attorno alla barca sono parecchio “pizzute” non per il vento o la corrente, ma a causa del continuo andirivieni dei tender che fanno la spola fra le barche, una quarantina circa, e la spiaggia. Il paese di Scari è bello, pulito, silenzioso e VERTICALE! Salendo dal lato di Fico Grande, le strade hanno una tale pendenza che sembra di scalare una parete. Per arrivare in cima, nella piazza principale dove c’è anche la chiesa passiamo per stradine larghe non più di due metri, appena sufficienti a far salire le “motoape” comunemente chiamate in Sicilia “a lapa”. Qui ci sono anche quelle elettriche, squadrate, tutte aperte, credo siano le stesse auto che si vedono nei campi da golf. Sono i taxi dell’isola, decisamente ecologica. Superate le ultime case imbocchiamo la salita verso il vulcano, ma giusto per capire se c’è un sentiero che porta in cima e dove comincia. Camminiamo in un silenzio totale, non si sente alcun rumore, nessun motore acceso, solo il cinguettio degli uccelli. È un paradiso per le orecchie, quasi non riesco a crederci. Poi la strada asfaltata finisce e inizia il sentiero del CAI. Da qui si inizia a salire al cratere. Bene, vedremo domani il da farsi.


Punta Lena vista dalle pendici del vulcano

 
Mercoledì 28 giugno, Stromboli
 
Il mare questa mattina è calmissimo, non c’è più vento, sono le 6,30, sono già sveglio. Lella dorme. Mi bevo un caffè freddo con un biscotto e mi metto a leggere il portolano per farmi un’idea della costa fra Cetraro e Camerota, nostra meta dei prossimi giorni. La gran parte delle barche che hanno passato la notte qui sono andate via o lo stanno per fare. È una cosa abbastanza comune in crociera, si arriva, si fa il bagno, si dorme la notte e si riparte per un'altra spiaggia, un’altra baia. Noi invece oggi andiamo sul vulcano, ma ce la prendiamo con calma, con talmente tanta calma che a mezzogiorno siamo ancora a bordo, senza neanche aver preparato Iv per lo sbarco. Ieri sera, indecisi se rimanere o partire, avevamo messo tutto via, compreso il tender e il motore, e adesso ci tocca rimetterlo in acqua. È solo verso l’una che arriviamo in spiaggia e ci prepariamo alla salita, nel più classico degli orari sbagliati, ovvero sotto il sole cocente, come già altre volte ci è capitato di fare visitando rovine greche o città medievali. Con un litro e mezzo di acqua ghiacciata e un pacchetto di grissini comprati al market ci prepariamo ad affrontare i 926 metri di salita al vulcano. Rifacciamo la strada di ieri fino al sentiero, poi iniziamo a salire lungo questo ripido pendio assolato. Per nostra fortuna ogni tanto c’è un alberello sotto cui sostare all’ombra, ma il caldo che sento venire dal suolo, nero e polveroso, mi avvolge come in un forno. Lella ha i sandali ai piedi, io ho le scarpe chiuse, non so se questo influisce con la mia percezione della temperatura, ma sento che non ce la farò a raggiungere la cima. 

Sul sentiero per il cratere

Dopo i primi 300 metri di dislivello il sentiero comincia a perdere pendenza, anzi si sposta decisamente verso nord andando diretto verso la sciara. È un continuo su e giù che non giova al raggiungimento del traguardo, anzi allunga parecchio la strada da percorrere e fa diventare certezza l’interruzione dell’impresa. Quando siamo all’altezza del canalone che vien giù dalla cima, ovvero la sciara, decretiamo che la nostra gita allo Stromboli può terminare qui. Giriamo i tacchi e torniamo a valle. Sono le tre e mezza del pomeriggio e l’unica cosa desiderabile è riuscire a togliersi di dosso la sabbia nera sottilissima e pestifera che si è infilata in ogni parte, nelle scarpe, sotto le unghie, nel naso, nelle orecchie, per non parlare della maglietta, già sudata e adesso anche nera.
Giunti in spiaggia ci spogliamo e in mutande risaliamo su Iv diretti alla barca. Bagno immediato appena arrivati, per evitare di portare altra sabbia nera a bordo. Acqua sempre più bella e cristallina, barca sempre più sporca.
Domattina si riparte, sarà l’occasione per dare una bella lavata con acqua di mare al ponte e al pozzetto di Eleftheria, neri del vulcano.

 

 

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