La lunga rotta
Trani, martedì 13 giugno -
Per mia fortuna e del mio riposo, il campanile che per tutto il giorno ha suonato allo scoccar dell’ora, delle mezz'ore e perfino dei quarti d’ora, questa notte è stato zitto. Ho ringraziato molto il programmatore dell’orologio e del suo sistema di suoneria delle campane - ammesso che esista un simile lavoro - per questa scelta altruistica, e quando si è fatto giorno ho staccato le cime d’ormeggio, mollata in acqua la trappa e preso il largo.
Il cielo è magnificamente sereno, le nuvole sono quasi artisticamente disposte lungo tutta la costa, bianche, paffute e molto amichevoli, il mare è calmo. Leuca dista da me più o meno 24 ore di navigazione, non credo di avere il fisico per farle tutte di fila, anche se ora sono entrato nel ritmo della navigazione e recupero le energie in poco tempo. Il vento da terra, annunciato da tutti i bollettini, non è ancora arrivato, lo aspetto con ansia per poter spegnere il motore e fare una bella e lunga veleggiata.
La superficie del mare comincia leggermente ad incresparsi, segno inequivocabile che un leggero soffio di vento inizia a scorrergli sopra; precipitosamente apro le vele per raccoglierlo tutto fin da subito. Lascio anche il motore acceso per andare più veloce, Leuca è lontana.
Sul tablet dove tengo il programma di navigazione con le rotte da seguire il log dà una velocità di 7 nodi, in alcuni momenti anche 8. A questa velocità arriverei a Leuca alle 3 del mattino, un po’ troppo presto per entrare in porto. Un’idea malsana comincia a frullarmi nella testa: traccio una nuova rotta, inserendo Crotone come meta finale, in tutto sono 220 miglia, ma in termini di ore di navigazione sono giusto un paio in più di quelle che avevo fatto lo scorso anno quando dal Gargano ero arrivato a Leuca, dopo oltre 30 ore di navigazione no-stop. Controllo anche il meteo nel Golfo di Taranto e c’è un po’ di vento da sud, che rinforza solo nel pomeriggio. Magari posso anche farcela, sarebbe proprio un colpaccio, mi metterebbe al riparo dai venti forti e dal maltempo che è previsto in tutto il Salento per questo week end. Intanto vado avanti, poi valuterò.
Per pranzo mi preparo un’insalata di pomodori, tonno e maionese, che consumo in pozzetto, accompagnata da un bicchiere di vino rosso allungato con acqua frizzante, una bevanda alquanto discutibile, ma sicuramente idonea al mio scopo, dissetarmi senza ubriacarmi. Come al solito in mare non c’è nessuno, a parte qualche peschereccio. Faccio una “prova di sonno” mettendomi in dinette con la sveglia puntata dopo 20 minuti, per vedere se il sistema dei micro-sonni funziona anche di giorno. Non mi addormento, ma mi riposo.
La barca prosegue la sua marcia sempre fra i sette e gli otto nodi; il pilota automatico non ha nessuna difficoltà a tenere la rotta quando il mare ci colpisce lateralmente e con poca forza e io faccio e rifaccio il calcolo del tempo: Crotone è sempre più gettonabile.
Dal canale 16 del VHF ascolto le comunicazioni tra i pescherecci e la Guardia Costiera; tutti quelli che escono (o entrano) dai porti informano via radio del loro operato:
- Compamare Monopoli da motonave Elena, stiamo uscendo per pesca, 3 persone d’equipaggio
- Ricevuto è quasi sempre l’unica risposta che arriva dall’altro lato dell’etere.
Questa mattina un burlone ha anche detto, sempre sul canale 16, buona pesca, buona pesca, ed è stato accolto da un ringhioso e meritato vai a cagare! Mi vengono in mente tutte le fesserie che i velisti si dicono sui canali 72 e 73 dedicati alle regate del campionato invernale, quando si ciondola nelle lunghe attese che la bonaccia vada via e arrivino quei pochi nodi di vento che permettono di iniziare la gara.
Mercoledì 14 giugno, Ionio Settentrionale
Sono le 4 del mattino, manca meno di un’ora a Leuca. Da poco ho passato Otranto con il suo faro “sparti acque” tra Adriatico e Ionio. È ancora buio e il cielo è stellatissimo. Uno spicchio di luna sta sorgendo alle mie spalle, qualche nuvola staziona sopra il Salento e uno strato uniforme e molto più grande si intravede verso est, verso Corfù. Niente Grecia quest’anno, e mentre penso a questo, un leggero senso di tristezza mi sale da dentro, passa dal cuore e si infrange in gola.
Anche il faro di Leuca si allontana dalla mia vista, e finalmente entro nel Golfo di Taranto. Sono le 5,30 del mattino, è già giorno fatto, e un nuovo vento proveniente dal largo è arrivato, facendo iniziare quella che sarà la lunga giornata di bolina verso Crotone.
La costa calabra è a circa 70 miglia, per il momento non si vede. Ci vorranno dalle 10 alle 12 ore di navigazione, dipenderà tutto da quanto vento ci sarà. Ho preso dalla cabina di poppa la cintura di sicurezza e l’ho portata in pozzetto, per scrupolo. Ho la quasi certezza che dovrò ridurre la velatura, Eleftheria è già parecchio piegata e onde e vento continuano ad aumentare.
Con invidia vedo che dalla parte opposta arrivano diverse barche a vela, dirette presumo a Leuca, che viaggiano con tutte le vele aperte e il vento alle spalle. Ne conto quattro, una dietro l’altra, evidentemente partite tutte allo stesso momento. Beati loro, che navigazione tranquilla che si stanno facendo!
A me invece, con il vento in faccia sempre più forte, tocca ridurre la tela della randa prendendo due mani di terzarolo. Per chi non lo sapesse, le vele erano e sono costruite ancora oggi cucendo insieme pezzi di tela, grossomodo pari a un terzo della superficie totale. Prendere una mano (o due mani, o tre) di “terzaroli” non vuol dire altro che ridurre di un terzo (o due terzi) la parte di vela che rimane esposta al vento, e quindi avere meno pressione sulla vela e meno sbandamento laterale della barca, che si traduce poi anche in miglior vivibilità a bordo e molto spesso anche in un aumento della velocità stessa, perchè meno scafo è immerso nell’acqua, meno attrito si crea e la barca è più veloce. Il genoa per il momento non lo tocco, mi sembra tutto abbastanza in equilibrio con questa configurazione e si viaggia anche meglio, senza grossi strattoni.
Col passare delle ore il mare si gonfia. Le onde ora sono più alte e picchiano contro la prua, sollevando un ventaglio di spruzzi che inevitabilmente finisce per arrivare anche a me. Alcune, un po’ più audaci, salgono perfino sulla coperta, inondando tutto fino a metà barca e scivolando via via lungo la falchetta fino ad uscire dalla poppa. Le guardo con piacere e con timore, sperando che il sigillante sica che ho messo sul passa uomo della cabina di prua tenga botta, e non mi ritrovi con il letto bagnato di acqua di mare, sarebbe un bel guaio.
36 miglia per Crotone. Ormai non riesco più a tenere la prua verso Crotone, mare e vento sono sempre più forti e se non voglio far fermare la barca devo allargare la bolina. Sto andando sempre più a nord, e sono fuori rotta di almeno 30°, ma è l’unico modo per poter andare avanti, ed è impensabile chiudere le vele e accendere il motore per rimanere sulla rotta giusta, non ce la farei ad andare contro queste onde. Il pilota automatico invece ce la fa egregiamente a portare Eleftheria e mi risparmia un lavoro faticosissimo, lasciandomi libero di fare i miei mille calcoli sulla strategia da tenere. In realtà spero solo di navigare veloce e di raggiungere prima possibile un punto sotto costa dove ci sia meno onda per poter ammainare le vele, e puntare finalmente su Crotone. Strategia banale ma funzionale.
28 miglia per Crotone. Vedo in lontananza una barca, forse un peschereccio; prendo il binocolo per capire in che direzione va e uno degli oculari mi resta in mano, staccandosi di netto dal resto del corpo. Non ci voleva, non posso fare a meno del binocolo e domani mi toccherà comprarne uno.
Scendo sottocoperta per metterlo via e mi trovo davanti al caos; cuscini e materassi della dinette sono volati via; in cabina di poppa il sacco col tender è scivolato dalla parte opposta trascinandosi la borsa del computer, il copriranda e la chiusura in plexiglass del tambucio; in bagno tutti gli oggetti delle due mensole sono finiti nel lavello: sapone, spugnetta, borotalco, rasoio, shampoo, fazzoletti e rotolo di carta igienica, sacchettini wc, forbicine, deodorante e tappo del lavandino. In cabina di prua c’è acqua; il sica non ha tenuto e il materasso si è bagnato, poco per mia fortuna, ma è bagnato. Lo asciugo come meglio posso, con scottex e spugnetta, e ci metto un asciugamani sopra, poi torno fuori per controllare che non ci siano barche vicine.
18 miglia per Crotone. Vado avanti così a navigare per altre due ore, e quando sono ormai sulla perpendicolare di Crotone chiudo le vele e accendo il motore. Il fuori rotta mi ha portato 8 miglia più a nord, ma adesso posso finalmente puntare sulla mia meta, anche se con il motore al massimo non faccio più di 2 nodi. Per giunta ha iniziato a piovere, e anche tanto. La giacca a vento estiva che avevo prima non basta più, vado a mettermi la salopette e la giacca della cerata. Mentre sto per vestirmi mi accorgo che l’unghia dell’alluce del piede destro è tutta nera! Non capisco cosa sia successo, mi siedo sul divano, premo leggermente il dito e dalla punta dell’unghia viene fuori tanto sangue. Mi viene lo sconforto. Corro in bagno a prendere la cassetta del pronto soccorso per fare una medicazione veloce. Intanto la barca balla tremendamente, salendo e scendendo dalla cresta delle onde, che ora arrivano a gruppi di tre esattamente dritte a prua, e con l’ultima sempre più alta delle prime due; sento i colpi dello scafo che si schianta al suolo, mentre a fatica apro la valigetta, caccio tutto sul tavolo della dinette e cerco un disinfettante, una garza, un cerotto. Pulisco, premo l’unghia contro il dito fino a far uscire tutto il sangue insieme al pus, poi innaffio tutto di amuchina spray scaduta da due anni e metto un cerottone in punta. Ricopro con altra garza, un po’ di sparatrap, un calzino, lo stivale in neoprene e vado fuori.
Piove a dirotto, la barca avanza lentamente, ci vorranno altre 3 ore, comincio a vacillare.
Mi metto al timone e cerco di non pensare al mio piede; Crotone è lì da qualche parte, dietro la cortina di pioggia che sta momentaneamente cancellando il paesaggio. Poi, quasi all’improvviso, smette di piovere, cala il vento e il mare nel giro di pochi minuti si sgonfia, diventa di nuovo una distesa di acqua amica, come se non fosse successo nulla; mi sembra quasi di essere sbucato in un “mare parallelo”. Eleftheria accelera e Crotone è a meno di un'ora.
Entro in porto dopo aver chiamato la Lega Navale e un ormeggiatore mi attende al pontile galleggiate dedicato al transito. Mi fermo al fianco di un Oceanis 55, una barca da 15 metri che batte bandiera svizzera.
Sono le sei e mezza del pomeriggio, ed ho navigato esattamente 36 ore per 216 miglia, il tragitto in solitario più lungo della mia vita da marinaio.
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