Corinto e il ritorno nello Ionio



Sabato 27 agosto.

Sono ad Atene da lunedì. Ho passato la settimana a risolvere tutte le faccende legate alla barca; dalla cinghia dell’alternatore - cosa ormai definitivamente risolta - all’ormeggio per Eleftheria, che dopo due giorni passati ad Alimos ho dovuto spostare a Zea Marin, al Pireo. Il posto che mi hanno dato è pessimo, ed è nella parte più interna del bacino. L’acqua attorno a me puzza, è di un colore indefinibile, e sulla sua superfice galleggia un campionario completo di rifiuti marini, capeggiati dalle immancabili plastiche, bottiglie o sacchetti che siano. Non oso nemmeno usare il bagno della barca per far pipì, per paura di sporcare i tubi di scarico con l’acqua di mare. I bagni sono a 200 metri circa, e se ci vado di giorno a fare una doccia è tempo sprecato perché torno in barca di nuovo sudato. Per due giorni sono riuscito a fare il turista: ho visitato il museo archeologico, ho girato per le vie del centro, ho provato ad andare all’Acropoli, ma pioveva sempre, ho passeggiato per il giardino botanico alle spalle di Piazza Sintagma, ho preso dei souvenir e ho girato a piedi anche per le strade del Pireo.

Museo Archeologico, mostra temporanea


Marinella dovrebbe arrivare verso le quattro del pomeriggio, ritardi compresi. Dall’aeroporto al Pireo il treno diretto ci mette poco più di un’ora, il metrò anche, facendo un cambio linea a Monastiraki, in piena zona turistica di Atene. Mi incammino lentamente passando per la via dello shopping, tutta pedonale; attraverso il grande viale del Politecnico, una delle arterie principali del quartiere, e raggiungo la stazione della metropolitana che termina di fronte al porto e all’imbarco dei traghetti. La zona è un po’ caotica, con un traffico reso ancor più ingolfato da imponenti lavori in corso che sbarrano la strada in più punti, costringendo anche i pedoni a zigzagare fra le auto ferme in fila. Marinella arriva alle cinque in punto proprio mentre sto entrando nell’atrio del terminal del metrò. È quasi senza bagaglio, d’altronde è già tutto in barca, lasciato lì da luglio in attesa di questo suo ritorno di fine agosto. Domattina lasceremo Atene e inizieremo un altro viaggio, verso Corinto e verso lo Ionio.


Domenica 28 agosto
 
Per lasciare Zea Marin dobbiamo letteralmente tagliare gli ormeggi. Sì, perché la trappa che mi avevano dato per tenere ferma la barca a prua era più corta, tant’è che ho dovuto aggiungere una mia cima per poterla portare fino in barca e fissarla alla bitta. Ora per uscire non ho altro mezzo che tagliarla, perché il nodo si trova sott’acqua, e che acqua!! Poco male, era una cima molto vecchia e sacrificarne un paio di metri non è una gran perdita.
Corinto è a trenta miglia da noi, verso ovest. Ci andiamo a motore perché il vento scarseggia. Poche barche a vela in mare, qualche yacht, qualche motoscafo e tante tante navi gigantesche ferme alla fonda di fronte al grande golfo che è il porto del Pireo. Lasciamo alla nostra dritta l’isola di Salamina, non senza aver letto prima sulla guida la storia dell’omonima battaglia e del suo eroe Temistocle. 
Il Canale ha riaperto a luglio di quest’anno, dopo due anni di chiusura per frana. Lo chiuderanno di nuovo a ottobre per continuare i lavori di messa in sicurezza, ma per fortuna questa estate funziona, altrimenti avremmo dovuto fare nuovamente il giro del Peloponneso per rientrare in Adriatico. La località da cui si accede, venendo da est, si chiama Isthmia. Non è molto visibile dal mare, anche perché non si vedono né case, né strade, né altre costruzioni che ne indichino la presenza. Sulla costa nord c’è un agglomerato industriale, una raffineria presumo, con un pontile al quale sono attraccate un paio di grandi navi. Ve ne sono altre ferme qua e là in quella che comincia a delinearsi come l’area del canale. Nel portolano c’è scritto di chiamare con la radio VHF di bordo almeno un’ora prima dell’arrivo, cosa che facciamo puntualmente, senza però ricevere risposta. Riprovo più volte prima di avere un contatto e finalmente, a dieci minuti dall’ingresso, una voce ci dà le istruzioni necessarie: “Stop along side on the left dock, and wait to call on channel 11” o più o meno una frase del genere, in un inglese probabilmente imparato a memoria e ripetuto decine o centinaia di volte tale e quale a tutte le barche che transitano.

Eleftheria al dock di Isthmia

Fermiamo Eleftheria, con tutti i parabordi sul lato sinistro e vado a pagare il ticket. Come avevo già letto questo è il canale più costoso al mondo; il sistema di calcolo è un po’ complicato, tant’è che sul loro sito ufficiale c’è anche un calcolatore che inserendo i tuoi dati ti dice quanto verrà a costare il transito, peccato che non sempre funzioni. Comunque il conto lo fanno loro, e per una barca come la nostra, lunga 10,50 metri e con bandiera non greca, il costo di sola andata è di 162 €, ben 50 € al miglio!

Il ponte mobile in entrata da est nel canale


Pagato il biglietto dobbiamo attendere che ci diano il via libera, sempre via radio al canale 11. Dopo un’ora circa, quando il sole è ormai tramontato, si chiude il ponte per il passaggio delle automobili e si accende il semaforo verde per le imbarcazioni. Il ponte si è abbassato sott’acqua, ma non lo abbiamo visto sparire, impegnati a togliere cime e parabordi in fretta per seguire le altre barche, una sola in realtà ma velocissima, e non riusciamo a stargli nemmeno dietro.


Ho messo il motore a 2.200 giri, ma facciamo a stento quattro nodi a causa della forte corrente di marea. Mi metto al centro del canale e misuro con lo sguardo le pareti da una parte all’altra. Sono vicinissime, secondo me ci passerebbe a stento una barca nell’altro senso di marcia, eppure le misure ufficiali dicono 24 metri di larghezza per 6.100 km di lunghezza! Che strano. A prua Lella, fotografa ufficiale dell’attraversamento, scatta decine di foto con il cellulare. Le pareti scavate sembrano fatte di sabbia e danno un senso di precarietà che non lascia proprio tranquilli. In più punti si vedono piccole frane e buchi enormi, come fossero delle mega “scucchiaiate” in un budino gigantesco. In altri punti le reti di contenimento non sono state del tutto sistemate e i rotoli pendono nella parte terminale come carte da parati in una stanza non finita.

La vegetazione alla base della pareti

Ma su tutto trionfano gli odori fortissimi della macchia mediterranea. La poca vegetazione che cresce lungo i bordi del canale è sufficiente a riempire l’aria, e dopo un giornata intera in mezzo al mare, lontano dagli odori della terra, i nostri sensi sono più attenti e ricettivi.
Usciamo dalle ripide e strette pareti e ci troviamo dentro il golfo Corinto. Dobbiamo trovare un posto dove passare la notte, e non ci sono molte baie disponibili nei dintorni. Puntiamo alla cittadina di Loutraki, sul lato destro del golfo e mettiamo l’àncora di fronte alla spiaggia, mentre alcuni bagnanti che nuotano placidamente in acqua ci guardano incuriositi. Non ci sono altre barche, non è un luogo indicato nei portolani come ancoraggi possibili, e infatti siamo un po’ troppo vicini alla costa, ma è già buio e non abbiamo altre alternative.
 
Lunedì 29 settembre
 
Questa notte si è alzato vento da ovest, e la barca saltella un po’ sull’onda che in quest’acqua bassa si è subito formata. Sono le 6,30 circa, non ho sonno, e mi preparo a partire. Lella dorme, ma non importa, posso fare le manovre da solo e lasciarla un po’ riposare. È ancora buio, ma fra poco dovrebbe arrivare la luce. Guardo di nuovo l’orologio e leggo 4,38! Ho scazzato completamente l’ora! Non mi va di tornare a letto, ma neanche di partire così al buio. Mi stendo sul divano della dinette aspettando almeno un po’ di luce. I primi chiarori dell’alba arrivano verso le 6; accendo il motore e salpo l’àncora. Vogliamo andare a Galaxidi, sulla costa nord dell’Attica. Pare che sia una bella e tranquilla cittadina, e anche un buon punto di partenza per andare a visitare i resti archeologici di Delfi. Navighiamo un po’ a motore, poi apriamo le vele e avanziamo così per qualche ora; poi di nuovo a motore.

Galaxidi

Galaxidi è a 35 miglia, e alle due per pomeriggio siamo in porto. La banchina di città è comoda, con le bitte grandi e facili da prendere, con un buona profondità fino al molo, cosa che ci permette di avvicinarci senza problemi di toccare con il timone, e con le colonnine acqua/luce gratuite e funzionanti senza nessuna carta prepagata e senza nessun codice da inserire. Si paga solo la tassa portuale, per 11 metri sono 6,00 € al giorno! Se penso che ad Atene abbiamo speso 60 € al giorno per avere meno servizi di quelli che ci sono qui mi viene male. Un gentile signore francese ci prende le cime d’ormeggio. Siamo molto stanchi e fa molto caldo. Rimaniamo in barca a riposare fino a pomeriggio inoltrato, e poi facciamo il primo giro in città. Sul lungomare ci sono molti ristoranti e taverne, pare molto buoni tutti, e anche un negozio di nautica ben fornito; al momento non ci serve nulla, ma non si sa mai. Nella piazza centrale c’è anche la “bus station” da dove parte il bus per Delfi.
Giriamo senza meta fra le case del paese, passiamo davanti alla grande chiesa principale, nel punto più in alto del borgo, vediamo l’ingresso del piccolo museo navale, che magari domani potremmo visitare, poi scendiamo al mare, fino agli scogli più a ovest, dove alcune famigliole di greci fanno il bagno all’ombra degli alberi di pino. Cena in barca stasera, sarà domani la serata da ristorante, al ritorno da Delfi.
 
Martedì 30 agosto
 
Come ci si prepara ad un viaggio verso l’oracolo di Delfi? Non l’avevo inserito fra i possibili luoghi da visitare, ma quando ti trovi a meno di un’ora di autobus da quello che viene definito dalle guide come il sito archeologico meglio conservato di tutta le Grecia, non puoi non andarci. Il bus parte alle 10,30, i biglietti li vende George, un simpatico e anziano signore che ha il suo “ufficio” su un tavolino tondo dentro il bar della piazza centrale. Deve aver fatto il marinaio da giovane, perché ci dice di essere stato in Sicilia, ma anche a Taranto, a Brindisi, Ancona, tutte città di mare...

Il tempio di Apollo a Delfi


Il bus è pieno, e non soltanto di turisti. Prima di arrivare a Delfi ci si ferma a Itea, altra cittadina sulla costa, poi ad Amfissa, capoluogo della zona, e poi si va su per i tornanti che portano all’oracolo.
Delfi è in collina, anzi è alle pendici di belle e irte montagne di calcare, sotto una parete dalle stratificazioni quasi verticali. Siamo a 600 metri di altezza e questo rende l’aria meno afosa. Di fronte a noi un profondo vallone termina nella grande pianura, tutta coltivata ad ulivi, che giunge fino al mare, ed è così netto il passaggio dal monte al piano che sembra quasi di essere sopra un polie.
Prima di entrare nell’area archeologica facciamo un giro fra le sale del museo, nel quale sono conservati oltre alle statue e ai bassorilievi più belli, anche molti dei doni votivi che chi interpellava l’oracolo portava con sé e lasciava nel tempio: vasellame, oggetti preziosi, elmi, armi, cinture, monete. C’è anche “l’ombelico del mondo” in questo museo, un blocco marmoreo di forma conica, che era collocato su una colonna posta nel punto che anticamente era considerato il centro della Terra. E nell’ultima sala la magnifica statua in bronzo di un auriga ad altezza umana, perfettamente conservata, una delle poche nel suo genere che non siano state fuse nei secoli successivi per usarne altrimenti il bronzo.

L’auriga di bronzo

Lungo la via sacra che porta al tempio di Apollo, sui blocchi che formano il muro di cinta, si possono ancora leggere, in greco antico per chi lo conosce, le iscrizioni di coloro che si recavano presso l’oracolo a chiederne il parere. Per una strana coincidenza ho letto proprio di recente, su consiglio di Lella, un delizioso e umoristico libricino di Durrenmatt sulla storia della Pizia, e quindi trovarmi davanti al tempio di Apollo, sapendo che per secoli la Pizia di turno faceva le sue profezie quasi cadendo in trance, e farneticando in versi, ma che tutto il mondo antico fino agli imperatori romani prendevano molto sul serio le profezie dell’oracolo, mi sentivo come avvolto in un fluido di magia, come se attorno a me ci fosse ancora la presenza di coloro che si recavano lì prima di dar principio ad ogni grande impresa.
C’è anche un teatro nell’area, e anche uno stadio, più piccolo di quello di Olimpia ma nel quale si disputavano importanti giochi.
Lo stadio di Delfi

Seduti su una delle poche panchine libere accanto alla stadio ci riposiamo un po’, mentre in cielo si accumulano grosse e preoccupanti nubi nere. Lo abbiamo viste anche ieri far così, forse non è nulla. Lentamente però scendiamo verso valle, e quando il monte comincia a tuonare cominciamo a camminare forte; alle prime gocce siamo sotto la tettoia del gabbiotto d’ingresso, insieme ad altri turisti che cercano riparo. La pioggia diventa subito forte, e si tramuta in grandine neanche un minuto dopo. Da ogni angolo sbucano fuori turisti bagnati fradici che cercano riparo sotto la tettoia, che non è molto grande e tutti non può accoglierci. Noi siamo giusto al centro, asciutti e riparati, mentre ai bordi altri turisti inzuppati e infreddoliti si arrangiano come possono. Un ragazza ha i capelli pieni di chicchi di grandine, un altro è talmente bagnato che rimane fuori dal tetto a chiacchierare con il figlio, che invece un po’ si ripara. Rimaniamo così per un’ora, poi lentamente la pioggia diminuisce, qualcuno lascia la tettoia, fa una corsa, si infila in macchina o corre verso un altro riparo. Quando smette del tutto usciamo anche noi, diretti al bus di ritorno. 
Il cielo è ancora nero ma non piove più. Incautamente abbiamo lasciato la barca con gli oblò aperti, e temiamo che la pioggia sia arrivata anche al mare, bagnando inevitabilmente il letto in cabina di prua. La strada però è asciutta e questo ci fa ben sperare. Così è, per fortuna, e a Galaxidi troviamo anche il caldo forte del giorno prima.
Come nei programmi questa sera cena al ristorante, e non potevamo fare scelta migliore con ceci in salsa d’aglio, calamari e polpo cucinati in modo superbo. Per una volta abbiamo abdicato al nostro proposito di essere vegetariani.

 
Mercoledì 31 agosto
 
La mia schiena comincia a migliorare. La cura a base di cortisone che mi ha consigliato Cristina dà i primi risultati e quando mi sveglio al mattino non sono più costretto a muovermi come un bradipo per raggiungere la posizione eretta. Prima di lasciare Galaxidi per Lepanto, andiamo a visitare il museo navale. È piccolo, lo sappiamo, ma è fatto bene, piacevole da girare, con la storia della marineria di Galaxidi, tanti strumenti di misurazione, bussole, orologi, eliche a immersione per la velocità, con le cimette piene di nodi distanziati – da cui il modo di indicare la velocità delle navi, per l’appunto in nodi – polene di velieri, quadri, armi della guerra d’indipendenza greca. Poche sale ma ben curate.

Monumento al marinaio
 di Galaxidi

Lepanto è a 45 miglia circa, e dieci miglia prima c’è l’isoletta di Trizonia, nella quale potremmo fermarci per fare un bagno o per la notte se ci piace il posto.
La baia di Trizonia per la verità non è un granchè bella, con il fondo di fango che rende l’acqua scura e non tiene neanche bene l’àncora; c’è posto per fermarsi anche nel porticciolo, ma non ne abbiamo voglia. Giriamo la prua e facciamo rotta per Lepanto. Solo il nome “Lepanto” fa già storia, e quando ci si arriva di fronte, con i moli del porto rotondi come delle mura di un castello medievale, mi viene un sorriso sulle labbra come a un bambino di fronte ad un gioco o a un dolce. 

Lepanto

Non entriamo in porto però, è piccolo, ci sono già tante barche, preferiamo stare fuori alla fonda. Vogliamo fare il bagno, l’acqua è bella ma senza trasparenza, un po’ come in Gargano, bel colore ma non vedi a un metro dai tuoi occhi. Va bene lo stesso, un tuffo lo facciamo comunque e come ogni pomeriggio anche qui arriva il temporale; non come a Delfi e senza grandine, ma sufficiente a pulire la barca dalle incrostazioni di sale che si formano in navigazione.
Quando arriva la sere vediamo a ovest il ponte di Patrasso, il Rion-Bridge, illuminato. Domattina lo passeremo e saremo nello Ionio.
 
Giovedì 1° settembre
 
Anche per passare sotto il ponte di Patrasso occorre annunciarsi un’ora prima dell’arrivo. L’addetto al traffico che ci risponde via radio ci dà le istruzioni necessarie per non incrociarsi con le altre navi che vengono da lato opposto. “Lasciarsi a dritta il secondo pilone, passare dal canale centrale”. Conto i piloni del ponte, che sono quattro, e le arcate che sono tre. Quindi dirigo verso il centro. Traffico non ce n’è per nulla a quest’ora del mattino; una grande nave che viene da Taranto, così abbiamo sentito alla radio, e che passa prima di noi, poi passiamo noi, in solitaria, e poi dietro altre due barche a vela. 

Il Rion Bridge di Patrasso


L’unico vero traffico da schivare e quello dei traghetti che vanno da una parte all’altra della costa, come se il ponte non esistesse. Chissà come mai, forse fanno trasporto passeggeri, ma è ben strano con un ponte non mettere dei banali autobus per questo scopo piuttosto che continuare ad andare da una parte all’altra via mare; ci fa pensare un po’ a cosa succederebbe, o succederà, semmai il ponte di Messina verrà realizzato...
Il mare è piatto, liscio come l’olio; si va a motore, e visto che si procede bene abbiamo deciso che la nostra meta è Itaca. Ci vogliono più di dieci ore per arrivarci, se arriva il vento un po’ meno perché a vela si va più veloci, ma al momento Eolo tace.



Oltrepassata l’isola di Oxeia, la rotta per Itaca passa da ovest a nord ovest. Il leggero vento che c’è ci permette di aprire le vele e pur non andando oltre i 5 nodi per lo meno abbiamo il silenzio nelle orecchie. Itaca è sempre più vicina, siamo tornati nella bonaccia, ma ormai è questione di poche miglia. Entriamo nella baia che porta a Vathì, la città capoluogo dell’isola, e veniamo investiti da un forte vento di maestrale che si è alzato all’improvviso. Ha scelto proprio il momento migliore, quando devi ormeggiare. Ci avviciniamo alla banchina, pronti per fermarci lì, ma soffia troppo per arrivarci senza rischiare di andare a toccare le altre barche già ormeggiate. Vabbè, non importa, ci mettiamo all’àncora nel mezzo del porto, dove già altri hanno fatto la stessa scelta. Ci andremo domattina in banchina, per stasera si dorme qui; che poi quando c’è vento così forte e con raffiche io preferisco cento volte dondolare sulla catena che subire gli strattoni del molo sulle cime fissate in barca.
 
Venerdì 2 settembre
 
Le previsioni meteo danno calma piatta al mattino, vento a 15-20 nodi da maestrale dalle sei di sera in poi e per tutta notte. Il porto di Vathì è aperto a maestrale, quindi ce lo beccheremo in pieno; come due mesi fa, quando la poppa di Eleftheria andò a rompersi su questo molo. Questa volta però abbiamo dato più catena, abbiamo messo una cima in più dalla prua alla banchina, e soprattutto pensiamo di tornare il barca prima che si alzi il vento forte.

Itaca con la baia di Vathì


A Itaca, come in tutte le isole greche, ci sono diversi noleggiatori di motorini e bici elettriche. Prendiamo un “cinquantino”, l’unico disponibile, perché gli altri, i 125 cc, sono già tutti affittati, e messi i nostri caschi in testa partiamo per fare il giro dell’isola. Velocità massima 45 km, ma per noi è sufficiente che ce la faccia a superare la salite, visto che a Itaca le strade salgono e scendono suora le montagne, e per quanto piccole, la più alta è 800 mt, le salite sono abbastanza ripide. La moto “urla” ma avanza, e anche abbastanza gagliardamente. Il cielo è cosparso di nuvole bianche e tonde, nuvole di bel tempo; su Cefalonia ci sono anche nuvoloni neri, ma radi, e non minacciano ancora pioggia. Il panorama che si vede da queste strade a mezza costa è bellissimo. Arriviamo al paese di Stavros, dove ci sono i resti di quello che si ipotizza fosse il palazzo di Ulisse. C’è anche un plastico con una possibile ricostruzione della reggia, fatta da un italiano, e con le didascalie in italiano. Lasciamo Stavros e andiamo a Kioni, sul mare. C’eravamo già stati nel 2017, e ci ha fatto piacere ritornarci quest’anno. Poi cerchiamo una spiaggia dove fermarci a fare un bagno, e la troviamo vicino a Frikes. Piccola spiaggia di sassi, con acqua cristallina, come direbbero i dépliant turistici; e c’è anche una tettoia per avere un po’ d’ombra, e un muricciolo dove stendersi se non si ha la schiena adatta al sopportare il “massaggio dei sassi”. Rimontiamo sul nostro “cinquantino” e via lungo la costa ovest, quella di fronte a Cefalonia. La strada passa sempre molto alta sopra il livello del mare e per raggiungere le spiagge bisogna lasciarla e scendere pe alcuni chilometri fino al livello del mare. Anche da questo lato c’è un’altra bella spiaggia sassosa, questa anche segnalata dalla guida. Peccato che il vento di maestrale abbia alzato un po’ di onda e quindi fare il bagno è meno bello, ma è la trasparenza dell’acqua è tale che non possiamo resistere. Secondo bagno e poi stesi sui sassi ad asciugare.

Itaca - Agios Georgios, vicino Frikes


Finito il giro per Itaca torniamo a Vathì. Questa volta tutto a posto in barca, nessun problema di tenuta della catena e barca fermissima, nonostante il vento già consistente. A conferma che la volta scorsa è stata proprio l’imperizia di qualcuno ad averci spedato l’àncora e non la nostra incapacità a metterla in acqua, che ha fatto sbattere la poppa contro il molo.

Commenti