Meganisi, Paxos, Lefkas: il piccolo mare interno
Doveva crescere tutta notte il vento fino ad arrivare al mattino a 20-25 nodi, e invece si è mantenuto uguale fra i 10 e i 15 nodi. Meglio così, sono le sette e mezzo e lasciamo Itaca diretti a Meganisi, sempre verso nord. Manovra perfetta per uscire e prua che già balla con il vento contro. Non siamo i soli a lasciare il porto; altre barche a vela hanno fatto la nostra stessa scelta e tutte a motore e con il solo genoa mezzo aperto avanziamo fra le onde sollevate dal maestrale, Non saranno 25 nodi, ma neanche tanti di meno. Superato il tratto di mare aperto fra Itaca a Lefkas il vento e il mare calano, arriviamo dentro l’Ormos Kato Elia, e ci fermiamo con le cime a terra. Dopo una settimana di navigazione questa è la prima vera baia nella quale stare fermi a fare bagni, a far snorkeling e a non far niente, riposo totale. Il mare è trasparente, e sotto la chiglia si radunano subito decine di occhiate alla ricerca di un po’ d’ombra. Ci sono anche molte aguglie, che per la prima volta vedo in banco e non isolate o a coppia, e le onnipresenti piccole castagnole, nere e rossastre, che accorrono ancora più numerose quando Lella decide di dar da mangiare alla fauna della baia sbriciolando in mare alcune fette di pane, ormai duro, comprato addirittura da Atene. Siamo solo in tre per adesso, noi, un’altra barca di italiani e una barca di argentini, ma so già che prima di sera la baia si sarà riempita.
Quando cala il sole e siamo in pozzetto per un aperitivo prima di cena, ecco che da terra arriva una musicaccia da discoteca che rovina completamente l’atmosfera. È sempre più difficile trovare dei posti dove poter stare bene e in silenzio.
Domenica 4 settembre
Lasciamo Meganisi per andare ad Antipaxos. Lella fa il bagno mattutino per staccare le cime che ci tengono legati e fermi alla scogliera. Poi motore fino al canale che separa l’isola di Lefkas dalla terra ferma. È questa una zona di acque molto bassa, anche meno di un metro, e per navigarci ed andare oltre bisogna tenersi all’interno di un canale scavato e segnalato da boe rosse e verdi. Alla fine del canale, prima di passare di là dal ponte mobile, c’è la città di Lefkada, con il porto cittadino pieno di moli attrezzati per ospitare le barche da diporto, ma purtroppo sembra che il fondale di questo porto sia pieno di catene e altri materiali d’ancoraggio abbandonati e quindi pare che sia facile rimanere incastrati con l’àncora se ci si ferma lì. Passiamo il ponte mobile e apriamo le vele per sfruttare il maestrale che sta arrivando. È molto leggero ma ci fa andare a 5 nodi e ci bastano, l’importante e spegnere il motore e navigare in silenzio.
Nel pomeriggio il vento aumenta e non siamo più in grado di tenere le vele aperte, se non facendo una rotta completamente diversa e così rimettiamo il motore mantenendo la prua sempre su Antipaxos. Adesso anche il mare è diventato più aggressivo, e l’onda contro ci rallenta molto. Il cielo si è riempito di “pecorelle” e come recita il detto... Mi viene il dubbio e vado a controllare su internet le previsioni: pioggia tutta notte anche consistente, fino al mattino! Non ci sembra una buona idea quella di passare la notte in una baia sotto la pioggia, e per di più ritrovarsi al mattino con l’acqua che magari non è cristallina come dovrebbe, a causa proprio del maltempo. Cambiamo piano e puntiamo su Gaios, la città principale di Paxos, ad appena cinque miglia più a nord. Siamo a meno di dieci minuti dall’ingresso in porto quando sentiamo sotto la barca un rumore sordo, un colpo secco, e subito dopo i giri del motore che calano vistosamente; provo ad accelerare ma non va, e anzi si spegne. Cerco di capire cosa è stato. Uno scoglio a pelo d’acqua non può essere, siamo in acque profonde oltre 30 metri, e poi il rumore sarebbe stato ben più forte; rimettiamo in moto, temperatura a 95 gradi, ma solo per qualche istante, il tempo di far girare l’acqua nel circuito e torna a 78 gradi. Ingrano la marcia e l’elica non gira, non avanziamo. Penso subito alle cose peggiori, tipo abbiamo perso l’elica, si è rotta una delle tre pale, si è logorato il mozzo su cui gira, tutte cose irrealistiche ma non mi viene in mente niente. Poi l’elica torna a girare e la barca ad avanzare; con il motore a 1000 giri entriamo in porto alla ricerca di un ormeggio, che troviamo a stento accanto ad un barcone di russi. È un Benèteau, forse un 18 metri, di tanti anni fa, scafo blu ormai scolorito, con pozzetto centrale e falchetta in legno alta 15 centimetri. Ho contato ben dodici persone a bordo, sparse tra il pozzetto e la poppa, che ridono e chiacchierano bevendo allegramente. Noi invece siamo molto preoccupati; questa storia dell’elica non mi convince, poi Lella mi dice di aver visto una grosso telo di plastica galleggiare a poppa di Eleftheria quando ci siamo fermati e quindi ricollego tutto: ma è chiaro, abbiamo semplicemente preso dentro l’elica questo telo che si è avvoltolato fermandoci momentaneamente, poi si è staccato e siamo ripartiti.
Va bene, tutto ok, domani è un altro giorno.
Lunedì 5 settembre
Gran rumore di catena, saranno i russi che vanno via, penso. Esco in coperta e non è così, è la nostra catena, anzi la nostra àncora che vedo appesa penzoloni sulla catena di un motoscafo che sta salpando a dieci metri da noi. Sempre così nei porticcioli piccoli, non sai mai dove sono le altre catene, che non sempre sono dritte davanti alle prue e quindi impossibili da valutare. Sfiga, ci toccherà staccarci dalla banchina e rifare l’ormeggio. Stiamo per metterci in un altro posto quando il motore improvvisamente si ferma. Cazzo! Che succede? Rimetto in moto ma non dà segni di vita. Preoccupato leggo sul display il simbolo di pericolo, quello con il triangolo e il punto esclamativo dentro, e subito dopo la scritta “Oil”. Sarà a secco d’olio, si è spento per questo motivo, e in gran fretta apro il vano motore per controllare. In effetti olio ce n‘è poco, giusto il minimo, devo rabboccare; torno in coperta e inizio a cercare la tanica dell’olio nel gavone di poppa, nell’enorme e pienissimo gavone di poppa. Intanto Lella ha messo giù l’àncora per evitare di andare alla deriva e finire sugli scogli di fronte a noi. L’olio è in fondo a tutto, dietro alle taniche di gasolio, al fianco del boiler elettrico. Con il mano la tanica e l’imbuto torno giù in fretta, troppo in fretta, dimenticando di aver tolto la scaletta, per cui rischio di cadere pesantemente in basso; mi salvo grazie alla presa dell’altra mano, sbatto forte contro il tavolo da carteggio, ma non sono caduto e questo è già un bene, visti i miei trascorsi su questa scaletta. Messo l’olio, richiuso tutto, mettiamo in moto ma non parte; metto in parallelo anche la batteria servizi e adesso il motore parte; forse ho trovato il guasto, altro che olio...
Il nostro nuovo ormeggio è vicino al bar Manesko, come due mesi fa. Ci riposiamo un po’, poi andiamo a far colazione al bar anche per aggiornare il blog. Fra i tanti che ci sono sul lungomare scegliamo il bar “Cafè Italiano”, non per il nome ovviamente, ma solo perché è il più all’ombra. E manco a dirlo è pieno di turisti italiani, immagino attirati dal nome del locale. La colazione che ci portano però non è buona, anzi, forse è lo yogurt peggiore che abbia mangiato da quando sono in Grecia. Pazienza, per oggi abbiamo in programma di passare la giornata al mare, a fare snorkeling lungo la scogliera, e non sarà certo una cattiva colazione a guastarci la giornata.
Anche stasera ceniamo in barca, non abbiamo voglia di ristoranti. Prima però voglio controllare la batteria e vedo che è a 13 volts. Ottimo, la corrente della colonnina carica anche la batteria motore, cosa della quale non ero del tutto sicuro.
La musica dei bar è al loro apice quando all’improvviso si spegne tutto: black-out su tutta la città! Gaios piomba nel silenzio più totale; poi si accende qualche luce d’emergenza nei locali e il lungomare rimane illuminato solo dalle luce delle barche. Stasera si va a letto presto.
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