Ritorno ad Atene
Venerdì 19 agosto, Andros
Alle 6,00 suona la sveglia. La guardo con un occhio solo, mentre studio la miglior posizione per alzarmi dal letto riducendo al minimo le fitte alla schiena. Sempre così la mattina, ma passerà, devo essere fiducioso. Niente colazione, solo un po’ di caffè freddo. Tolgo le cime, metto via tutti i miei parabordi per facilitare l’uscita e non farli saltare nella spinta, motore avanti e sono fuori. Non so bene se andare a Eubea, a 35 miglia da qui, oppur fino ad Andros, a 60 miglia. Vedremo, se c’è vento proverò ad andare più a sud possibile e fare strada verso Atene.
Vento zero, sono a 1.800 giri, la cinghia non fischia, punto la prua su Andros. Il navigatore mi dice che a questa velocità, cinque nodi e mezzo, arriverò verso le cinque del pomeriggio.
Lontano davanti a me vedo una barca con le vele su. Io ho solo la randa issata, per il momento. Dopo circa un paio d’ore li raggiungo e li sorpasso. Andranno a tre o quattro nodi al massimo. È la barca dei due francesi che erano a Skiros, e sono diretti a Karistos, dentro il canale di Eubea. Non so se abbia molto senso andare così, visto che devono fare tanta strada, anche più di me; però ognuno naviga come vuole, avranno fatto i loro calcoli. Per circa 40 miglia vado a motore, con appena un po’ di aria che mi dà una spinta in più; poi, quando mi avvicino allo Steno Kafirea, lo stretto fra Eubea e Andros, il vento si fa serio; spengo il motore e le vele tutte aperte mi spingono verso sud a oltre 7 nodi.
Con il vento arriva anche l’onda, e il pilota automatico non tiene più bene la rotta. Mi metto al timone, ci sono stato molto poco in tutto questo viaggio, giusto quando non potevo farne a meno. Costeggio il lato ovest di Andros e poi entro nella grande baia dove c’è il porticciolo di Batsi. Devo accostare di parecchi gradi e adesso sono praticamente di bolina, ma con tutte le vele aperte e il vento forte non riesco a tenere bene la barca che si piega tantissimo verso l’acqua; devo poggiare, mettermi a lasco e chiudere il genoa prima possibile, ma mentre mi preparo a farlo ecco che arriva il traghetto a tutta velocità, dritto sulla mia rotta. Per di più di fronte a me una barca a motore sta andando a tutta birra per uscire anche lei dalla rotta del traghetto. Sono incasinato; scendo sottocoperta ad attaccare la batteria, poi su di corsa ad accender il motore, ho mollato quasi completamente la randa per raddrizzare la barca, e con la cinghia che adesso cigola tantissimo spingo il motore al massimo per togliermi dal mezzo. Le vele sbattono, la barca balla sulle onde provocate dall’altra barca ma riesco a passare davanti alla prua del traghetto e mettermi al sicuro. Non sono mai passato davanti ad un traghetto, è sempre pericoloso, perché sono velocissimi e poi non ti vedono, sei in un cono d’ombra, ma non avevo scelta, non potevo tornare indietro, sarei probabilmente andato a scogli!
Fossi arrivato cinque minuti dopo tutto ciò non sarebbe successo, il traghetto sarebbe uscito tranquillamente, lo avrei visto sfilare lontano davanti a me e avrei avuto tutto il tempo di fare le cose a modo, ma è andata bene lo stesso, solo un po’ di ansia.
Con le vele chiuse e a motore, ma con il vento forte in faccia, vado dentro la piccola baia di Batsi, riparata dal mare, ma non dal vento, che resta forte tutta la sera e solo attorno a mezzanotte cala un po’, scendendo forse sotto i dieci nodi.
Sabato 20 agosto, Kea
Vado a Kea, sono 25 miglia. Esco a motore e isso subito le vele. In vento ce l’ho alle spalle quindi posso sfruttarlo fin da subito. Ci saranno otto o dieci nodi, sufficienti per navigare. Poi rinforza, alla faccia delle previsioni che davano quasi calma piatta, e Eleftheria comincia a correre oltre i 7,5 nodi. Per più di venti miglia navigo con questo vento alle spalle, che ogni tanto viene un po’ di traverso alla barca e poi torna dietro. Una bella navigazione, un po’ inattesa, ma piacevole e “gradita”.
La baia principale di Kea, quella dove c’è la cittadina di Korissia, è molto grande, ed essendo molto riparata è anche piena di barche alla fonda. Mi metto davanti alla spiaggia, accanto ad una barca di inglesi e ad un catamarano con bandiera americana con il tetto ricoperto di pannelli solari. Ne ho contati una decina circa, fra grandi e piccoli, chissà a cosa gli serve tutta quella energia. L’acqua a Kea non è bella, il fondo è di fango e quindi non è trasparente come da altre parti. Ma non importa, non ho voglia di fare il bagno, ho un altro obiettivo in testa.
Domenica 21 agosto, Capo Sounion
Notte passata benissimo, in totale assenza di vento e barca immobile. Solo una zanzara canaglia mi sveglia alle sette circa, altrimenti avrei dormito chissà fino a quando. Facco tutto con calma stamattina, Sounion è a sole 15 miglia, ci metterò tre ore al massimo. Lascio Kea a metà mattina, quando vedo arrivare un po’ di vento. Non ce n’è tanto ma cinque nodi riesco a farli, a motore non ne farei di più; oltretutto ho guardato il fondo della barca e cominciano ad esserci attaccati dei minuscoli denti di cane un po’ dappertutto, dal timone alla linea di galleggiamento, nel piede del motore e perfino nell’elica, e questo crea un freno alla velocità. Appeno posso andrò in apnea a fare un po’ di pulizia, non sarà come fare carena in cantiere, ma qualcosa conta.
Continuo così fino all’isola di Makronisi, ma appena la passo ed entro nel tratto di mare fra la terraferma e l’isola stessa, ecco che il vento incanalato per bene fra le due terre comincia a soffiare forte. Barca sbandata e velocità fra 7 e 8 nodi.
Con le vele tutte aperte verso Capo Sounion |
Mi diverto a veleggiare così, e non voglio ridurre le vele perché sento che la barca risponde bene alla pressione dell’aria, e va dritta sulla sua rotta anche quando lascio un po’ il timone da solo. Per un’altra mezz’ora vado avanti così, poi il canale termina, arrivo a Capo Sounion, e ora sì che devo ridurre, anzi devo proprio chiuderle le vele, per entrare in baia e andare a fermarmi nella stessa spiaggia dove sono già stato con Max un mese fa, in attesa che il meltemi ci facesse passare oltre. Con tanto vento e su un fondo di sabbia mettere giù l’ancora è un gioco da ragazzi; basta posizionarsi bene con la prua controvento, mollare molta catena più in fretta possibile e lasciare fare al vento il lavoro di far prendere l’àncora. I primi venti metri per far fare presa sul fondo, poi giù altri venti metri di catena mentre il vento ti allontana dal punto in cui si trova l’àncora, e infine gli ultimi dieci, diciamo “di sicurezza”. Nel gavone di prua ne restano appena due metri, e sono quelli che non hanno mai toccato l’acqua salata da quando sono lì.
Passo il pomeriggio a non far nulla; prendo il sole, mi faccio un bagno, leggo qualcosa. Poi arriva la mail dal Marina di Atene, che mi conferma l’ormeggio ma solo per due giorni. Non è quello che speravo, ma devo accontentarmi.
Lunedì 22 agosto, Atene
Parto prestissimo per Atene, voglio arrivare in mattinata perché voglio subito cercare la cinghia e poi voglio anche capire se possono tenermi lì per tutta la settimana o devo trovare altre strade. Ho visto il meteo e fra mercoledì e giovedì sono previsti temporali anche forti ad Atene, e in generale mal tempo su tutta la Grecia. Questo non mi fa ben sperare perché con mal tempo in vista sicuramente molti anticiperanno il rientro in porto, e sarà difficile che mi prolunghino la sosta.
Sono le 11,30 quando entro al Marina Alimos; c’ero già stato qui tanti anni fa, con Marinella, Matt e Marilena, e due loro amiche greche. Avevamo preso in barca a noleggio per una settimana e siamo andati anche a Kea, come prima tappa di un giro nelle Cicladi settentrionali. Mi sistemo al mio molo e poi vado alla reception per pagare e capire se posso stare qualche giorno in più.
Purtroppo la risposta è quella che temevo, per il fine settimana rientrano tutte le barche charter, e forse qualcuna anche prima a causa del “bad weather”. Devo lasciare il marina mercoledì alle 15. A nulla è valso segnalare che ho un problema al motore, che forse non posso uscire, che il mal tempo vale anche per me, che aspetto un pezzo di ricambio sabato dall’Italia... unica chance scrivere una mail per chiedere un giorno in più e se c’è posto me lo concedono.
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Atene, il traffico accanto al Marina Alimos |
Devo pensare ad un piano B, ma ancora non ce l’ho in mente. Lo Zea Marina del Pireo è l’alternativa, ma costa il doppio e si paga anticipato. E se poi qui almeno un giorno me lo danno in più? Domani risolverò la faccenda, per adesso devo trovare la cinghia. La ricerca appare subito difficoltosa, dentro il marina non c’è nessun negozio di nautica, ma subito fuori è pieno. Chiedo al cantiere navale e mi indicano un rivenditore che ce l’ha di sicuro. Mi faccio dare indicazioni da un benzinaio che lo individua su Maps; è li vicino, a 500 metri, ma appena ci arrivo ha le serrande abbassate e tutta l’aria di essere chiuso “per fallimento”. Entro in un altro negozio facendo vedere la mia cinghia logora e mi indicano un altro posto ancora. Qui una signora gentile e molto avanti negli anni cerca fra gli scaffali, misura per bene la cinghia e mi dice che non ce l’ha ma la ordina e domani alle 12 posso tornare a prenderla. È un incubo questa cosa dell’ordine e del tornare a prenderla, ma non ci posso fare nulla, va così anche ad Atene. Esco per strada ma non ho il cuore in pace, non mi fido, cerco ancora su Maps, trovo un altro autoaccessori, vicino, 750 metri, ci vado. La schiena ha ripreso a farmi male, ho dovuto tirare con forza sulla trappa dell’ormeggio e questo non ha giovato al mio leggero miglioramento. La categoria autoaccessori non va bene, provo con “cars part”, trovo alcuni indirizzi ma sono posti molto lontani da dove sono io, dovrei prendere un taxi e girare da uno all’altro per vedere se in uno di questi c’è la cinghia giusta. Mi sembra un terno al lotto e ci rinuncio. Tanto l’ho ordinata e mal che vada Lella ne porterà un paio da Bologna, posso anche farne meno per il momento.
Torno in barca, vado a farmi una doccia e provo a rilassarmi al bar del marina. Il centro di Atene è distante da qui, ci andrò domani, per oggi va bene così.
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Da Alònissos ad Atene |
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