Verso il Peloponneso
Domenica 26 giugno – Vathì- Itaca
Le previsioni del tempo sono molto importanti quando si va in giro in barca a vela e il mio telefonino, così come quello di molti di noi, è stracarico di app per consultarle, tutte rigorosamente gratuite. Ho la mia preferita, come si può immaginare, e la uso da diversi anni. Oggi mi segnala su Itaca vento dai 15 ai 20 nodi, (circa 35 km all’ora) da nord-ovest, il cosiddetto Maestrale, che in estate soffia su tutte le isole ioniche, più o meno intensamente. Di andar via dall’isola non se ne parla, oltretutto abbiamo anche voglia di fare un giro a piedi su uno dei sentieri che la percorrono, oppure passare una giornata in una spiaggia. Ma anche lasciare la barca incustodita e all’àncora in mezzo alla baia, con il vento diritto in faccia mentre noi siamo via tutto il giorno, non ci sembra una cosa saggia. Sul molo ci sono ancora molti posti vuoti e lì, legata a due cime sugli anelli di ferro e fermata davanti sulla nostra àncora con 30 metri di catena, ci sembra più al sicuro. Facciamo la manovra e ormeggiamo Eleftheria sulla banchina sud, con il vento che ci colpisce di lato ma “protetti” da un’altra decina di barche tutte ormeggiate in fila alla nostra sinistra.
Accanto a noi c’è una coppia di velisti romani, Claudio e Margherita, con il frigo in panne che da due giorni attende la visita di un “frigorista”, altra merce rara fra gli artigiani di barche, tant’è che un nostro vicino di pontile a Ravenna, non appena è riuscito a trovarne uno capace, ha iniziato a diffondere il numero di telefono a tutti gli amici colpiti dalla mala sorte del frigo “malato”.
Ci avviamo a piedi lungo la strada che porta alla piccola spiaggia di Dexa, poco oltre un promontorio che domina Vathì, con una breve ma intesa salita e susseguente discesa sotto il sole cocente. La spiaggia non è una vera spiaggia, almeno non nel senso che le ho sempre dato io; al posto della sabbia c’è la terra, pianeggiante, quasi liscia, tutta ricoperta di foglie cadute dagli alberi di ulivo e da qualche pino, con un muretto che separa questa “campagna sul mare” dal mare stesso e dai ciottoli che formano la vera minuscola spiaggia marina, dalla larghezza sufficiente appena per stare seduti con le gambe leggermente distese senza che l’acqua ti bagni i piedi.
![]() |
La baia di Dexa a Itaca |
Lungo questo muricciolo, alcune panche e sdrai di legno sono stati portati lì dai bagnanti delle poche case presenti, e altre sono disponibili per chi volesse utilizzarle in cambio di una semplice consumazione al bar. Regna un bel silenzio in questo posto, niente musica da altoparlanti, niente moto d’acqua, niente rumori molesti, solo persone intente a leggere un libro o distese a prendere il sole sulle sedie a sdraio o sul muretto. Ci troviamo subito a nostro agio e prendiamo posto sotto un magnifico pino, mettendoci anche noi a leggere. L’acqua è profonda già a riva e di un bel colore azzurro. Ci facciamo una lunghissima nuotata fino a raggiungere la punta della baia, dove alcuni gabbiani stanno lì in gruppo, forse è il loro nido, visto che c’è anche un piccolo. Nel pomeriggio però si alzano il vento e le onde, fare il bagno è poco gradevole, stiamo però volentieri a leggere all’ombra del nostro albero. Ci raggiungono anche i nostri vicini di barca, ai quali, come non bastasse il frigo in panne, oggi non parte neanche il motore, forse una questione elettrica, un interruttore che non fa passare corrente, chissà. La prendono con molta filosofia, un giorno in più o in meno poco importa.
Ritorniamo a Vathì che il vento è già parecchio più forte, e diverse barche stanno entrando nella baia per cercare riparo. Vediamo che tutte le barche lungo il molo “ballano” parecchio, spinte dall’onda trasversale e dal vento. Uno spettacolo raccapricciante mi si para davanti agli occhi quando sono davanti ad Eleftheria: la poppa della barca, la mia magnifica spiaggetta è tutta maciullata, il parabordo non l’ha protetta a sufficienza e deve avere sbattuto violentemente contro il molo. Qualcuno ha posizionato altri due parabordi, quelli che tengo sulle murate della barca, per aumentare la protezione; c’è anche una cima supplementare e laterale che io non avevo messo e sull’argano del salpa àncora c’è posizionata la leva che blocca la catena a mano.
Non capisco cosa sia successo, chiedo ad un vicino di barca che mi dice “l’àncora non ha tenuto e la barca ha sbattuto contro il molo, ho messo io le cime e ho tirato la catena per fermarla”. Sono distrutto, quasi più della poppa di vetroresina che miseramente mostra i suoi brandelli penzoloni. Claudio mi consola, dicendomi che si può riparare, che lui ha la resina a bordo e che mi può dare una mano. Domattina andremo a cercare un negozio dove comprare anche i fogli di stoffa di vetroresina da stendere sopra le parti rotte e ricostruire alla meglio il tutto, basta che non entri acqua nello spoiler. Per fortuna la poppa della barca è sana, è solo lo spoiler con spiaggetta che è rotto, appendice aggiunta successivamente alla barca non so da quale precedente proprietario, e quindi quello che si dice “un danno non strutturale”.
Lella è triste e sconsolata, ma anche incazzata. Ha guardato la murata di destra della barca e c’è un segno di color nero e un “graffio” lungo una ventina di centimetri che prima non c’era. Secondo lei, ma anche per Margherita, qualcuno ha cercato di ormeggiare nello spazio accanto a noi, non c’è riuscito per via del vento e delle onde, ci ha urtato, fatto allentare la catena, poi è andato via e la barca non più ferma a prua è andata a sbattere sulla banchina. Forse è andata così, non lo sapremo mai. Per il momento i programmi di cena al ristorante sono saltati, ho lo stomaco chiuso, nonostante non abbia mangiato nulla tutto il giorno. Che rabbia, sempre una rogna, sempre un problema da risolvere.
Lunedì 27 giugno – Vathì – Itaca
Le prime luci del nuovo giorno entrano dall’oblò nella cabina di prua, ma mi trovano già sveglio. Non ho dormito molto, e non ho fatto altro che pensare al modo in cui riparare lo spoiler, che materiale usare, dove comprare quello che serve e che non ho in barca, come organizzare “il cantiere”. È presto, non so nemmeno se esiste un negozio di nautica a Itaca; ieri sera siamo andati a cercare questo negozio di accessori nautici che veniva indicato su Google Maps, ma era chiuso e guardando le vetrine da fuori si vedevano solo mobili, elettrodomestici e una grande insegna con scritto EURONICS. Aiuto! Speriamo che esista davvero perché altrimenti l’alternativa è quella di andare a Cefalonia, a Sami, dove c’è un porto commerciale e sicuramente anche dei negozi specializzati. Prima però bisogna che la poppa sia asciutta, altrimenti la resina non prende bene. Nel bagno di Eleftheria c’è da anni un asciugacapelli che non è mai stato usato, e che per la prima volta trova la sua ragion d’essere a bordo, diventando strumento indispensabile per l’opera di riparazione.
Grazie ad una prolunga di 20 metri riusciamo a collegarlo alla colonnina elettrica, utilizzando l’attacco della barca di Claudio, e inizio l’opera di asciugatura. In poco più di mezz’ora il lavoro è finito, non era entrata molta acqua per fortuna, e dopo aver coperto la poppa con un foglio di pluriball per evitare che si ribagni, facciamo con calma colazione e poi, insieme a Claudio, ci incamminiamo verso il negozio di EURONICS, con tanti dubbi e un po’ di speranza. Con nostra grande sorpresa troviamo, al piano di sotto, un negozio fornitissimo con tutto l’occorrente per fare la nostra riparazione; non ha la resina epossidica ma la poliestere, so che non è la stessa cosa, ma quello che faremo è un lavoro provvisorio, che serve a ripristinare l’agibilità della spiaggetta, a non far marcire legno e vetroresina, poi andrà tolto tutto con calma e rifatto per bene. Ci penserò a ottobre, quando sarò di nuovo a Ravenna.
Stendiamo tutto il nostro materiale sul molo e cominciamo a lavorare; forbici, metro, pennello, resina, indurente, pezze, scottex, guanti, le persone che passano ci guardano incuriosite, alcune si fermano qualche secondo, altre passano oltre bisbigliando qualcosa in greco; foglio dopo foglio, pennellata dopo pennellata il buco e lo strappo si riempiono di nuovo materiale, prendono forma, cominciano ad arrotondarsi, mi sembra di star facendo una ingessatura allo spoiler, un po’ grossolana forse, e anche poco elegante, ma non abbiamo altra scelta, non si possono fare lavori di fino quando lo scopo principale è quello di impedire all’acqua di entrare. Facciamo fuori quasi mezzo chilo di resina e tanta stoffa di vetroresina, ma alla fine il buco è perfettamente tappato. Per facilitare la catalizzazione ricopriamo la parte ricostruita con dei sacchetti di plastica e lì li lasciamo fino al pomeriggio inoltrato.
La poppa di Eleftheria ricoperta di resina fresca |
Finito il lavoro ci concediamo una pausa con birra e taralli a bordo di Eleftheria insieme a Claudio e Margherita. Un po’ di relax dopo tante angustie. Anche nella lora barca qualcosa è cambiato; nel pomeriggio arriva l’elettricista che risolve il problema dell’avviamento del motore, un banale problema di contatto elettrico. Banale quando sia cos’è, non prima.
Intanto il molo di Itaca si anima; la nostra addetta alle riscossioni del pedaggio, una signorina che avrebbe bisogno di occhiali ma che non porta, e che ogni sera in divisa e berretto d’ordinanza passa accanto a ogni barca digitando con forza sul suo tablet, che tiene vicinissimo al naso, i dati di ogni imbarcazione per rilasciare la ricevuta di pagamento, si è trasformata in addetta agli ormeggi, e ha riservato con nastro bianco e rosso, un tratto di molo per qualcuno che probabilmente ha prenotato il posto. Arrivano infatti, una dietro l’altra, due enormi yachts, uno dei quali si posiziona proprio accanto a noi. Batte bandiera slovena, è un brutto barcone a motore moderno, un Azimut Magellano 66, costruito dai cantieri Benetti. I proprietari non si vedono, solo l’equipaggio che fa manovra, ormeggia e poi si mette a pulire una barca già pulitissima, ma così è nel mondo delle barche dei ricchi.
Quando si fa sera accendono anche le luci sotto lo scafo e sembra di essere in una vasca di pesci rossi illuminata; tutto si tinge di azzurro fluorescente, una di quelle cose kitsch che piacciono tanto. Noi siamo a bordo di Forclò, lo Show 34 di Claudio e Margherita, e stiamo facendo un secondo aperitivo/apericena vista l’ora, con birre, avocado, acciughe e formaggio pecorino greco, una piacevole sorpresa quest’ultima per me che pensavo che in Grecia si producesse solo la feta.
Martedì 28 giugno. Da Itaca a Zakintos
Zakintos (Zante) è a poco più di 40 miglia da Itaca, e per raggiungerla in giornata la sveglia l’abbiamo messa alle 6,30. Ieri sera abbiamo fatto il pieno di gasolio alla barca con le autobotti che girano lungo le banchine dei porti comunali sprovvisti di distributore; che poi a dire il vero a Itaca un distributore di benzina sul molo c’è, ma è dall’altro lato della baia e dovendo lasciare gli ormeggi molto presto non sarebbe stato comodo. Peccato perché oltre al gasolio il distributore ha anche l’acqua e conviene sempre riempire il serbatoio quando se ne ha l’occasione.
Vathì si sta appena svegliando quando usciamo in mare aperto puntando ancora verso sud. Nelle piccole insenature lungo la costa di Itaca si vedono spuntare gli alberi delle barche che lì si sono riparate in questi due giorni di vento; passiamo anche dalla baia di Pera Pigadi, la bella spiaggia della fonte Aretusa e di Eumeo, il guardiano dei porci di Odisseo, dove nel 2017 siamo stati per un paio di giorni all’ancora.
La baia di Pera Pigadi a Itaca |
Vorremmo fermarci di nuovo per una “sosta bagno” ma la presenza di meduse e di tante altre barche ancorate ci fa cambiare idea e riprendiamo la marcia verso Zakintos. Fa già caldo, nonostante siano appena le otto del mattino. Vento non ce n’è e per diverse ore avanziamo a motore. Solo quando oltrepassiamo Cefalonia riusciamo a navigare a vela, con il rumore del vento sulle vele, dell’acqua che scorre lungo le murate della barca, della prua che affonda nel mare e solleva un baffo d’acqua, delle leggere creste che si formano sopra le onde che ci inseguono e ci spingono, rompendosi in tante bolle di schiuma bianca ed effimera. Tutto questo i velisti lo chiamano silenzio.
La città ci appare solo dopo aver superato un ultimo promontorio, con i primi campanili, le facciate dei palazzi, la passeggiata lungomare. Nel porto non c’è un marina attrezzato per barche da diporto ma solo la banchina comunale. Àncora e cime a terra, come ormai abbiamo imparato a fare. Memori dell’ultima brutta esperienza caliamo 40 metri di catena su un fondo di appena 4 metri! Dicono i manuali che si dovrebbe dare catena da 5 a 7 volte la profondità del mare in cui si àncora, quindi nel nostro caso dai 20 ai 28 metri, ma preferisco così!
![]() |
Piazza San Marco a Zakinthos |
L’addetto agli ormeggi che ci ha dato una mano con le cime è anche incaricato del controllo dei documenti e a riscuotere, e le tariffe a Zakinthos sono per la nostra barca di 25€ per la prima notte e 15€ per la seconda. Elettricità nelle colonnine non ce n’è, ma se vogliamo per 5€ possiamo usare l’acqua, non potabile però. Decliniamo, con cortesia, e finiamo di sistemare la barca, prima di darci una rapida sciacquata con la nostra “doccia da campeggio” appesa all’albero a scaldarsi, e scendere a terra per vedere da vicino la città che diede i natali a Foscolo.
Siamo sul lungomare, con le macchine che passano a pochi metri da noi; i negozi, i bar, i ristoranti gli hotel direttamente affacciati sul porto. La via principale, quella del passeggio e dello shopping però è più dentro, qualche parallela più in là. È ancora troppo presto, ci sono 35° e la maggior parte dei negozi è chiusa. Qui la ricostruzione post terremoto del ’53 è avvenuta senza snaturare molto la città, e le case vecchie o “rifatte con lo stile vecchio” sono tante e il centro cittadino è molto gradevole. Verso sera si animano anche le vie, con tante gente in giro, bimbi che sfrecciano in bicicletta rischiando di travolgerti, tavolini dei bar pieni di clienti, camerieri che cercano di farti entrare nel loro ristorante abbozzando inviti in tutte le lingue. Ceniamo ancora una in barca, ma è come essere in mezzo alla strada con il rumore delle macchine, le gente che ti passa a un metro dal pozzetto, le luci della città. C’è anche a chi piace.
Mercoledì 29 giugno - Katakolo
Stare fermi in città quando hai una barca a vela come alloggio potrà anche sembrare una cosa divertente, ma non con il caldo estivo delle isole greche, e con i rumori del traffico cittadino. Meglio il mare aperto, meglio proseguire verso il Peloponneso. È da parecchi anni che aspetto questo momento, fin da quando nel 2011 comprai a Londra la guida nautica di Rod Heikell sulle isole ioniche, che comprendeva anche uno spicchio di terraferma, del Peloponneso appunto. Il paese di Katakolo pare sia l’unico in tutta zona nel quale si può fare acqua, ci si può attaccare alla corrente elettrica in banchina, ci sono i bagni e le docce e l’ormeggio dovrebbe costare solo 10 €.
Cinque ore di navigazione ed entriamo nella sua grande baia, accolti da una gigantesca nave da crociera della Disney. Sì proprio la Disney, quella di Topolino, che non sapevo avesse anche questa fra le sue attività.
In banchina ci sono 5 o 6 barche a vela ormeggiate e noi ci mettiamo lì in mezzo alle altre. Come previsto l’acqua c’è, la luce pure ma per il resto non c’è nulla. Il paese è deserto, nel vero senso della parola. Da quello che ci dice una vicina di barca pare che i negozi aprano solo quando arrivano le navi da crociera, che fanno sosta qui per l’escursione a Olimpia e ripartono il pomeriggio dello stesso giorno. Vita di corsa, quella dei crocieristi.
Sono le cinque del pomeriggio e l’asfalto della grande piazza su cui si apre il molo d’ormeggio è rovente. Coraggiosamente raggiungiamo le poche case costruite sul lungomare, ci inoltriamo su quella che sembra la via principale, pochi negozi, un minimarket, un paio di bar. Alla fine del corso una piccola spiaggia è attrezzata con sdraio e ombrelloni, e anche con uno scivolo per disabili che porta fino al mare, una specie di rotaia, lunga una decina di metri e con cartelli segnaletici in greco e in italiano! Che strana cosa, vorremmo saperne di più ma preferiamo non addentrarci in una sicuramente difficile spiegazione con qualcuno dei bagnanti.
![]() |
Le verdure di Joannis |
Un gentilissimo signore, Joannis, un agricoltore/ortolano, è passato dal molo a chiedere se avevamo bisogno di alimenti: un po’ di ortaggi, uova, olive, tutte cose di sua produzione. Non ha formaggio, purtroppo, e nemmeno frutta “non è ancora matura” ci dice. Compriamo subito tutto quello che ha disponibile e assaporiamo le olive Kalamata più buone che abbia mai mangiato.
Giovedì 30 giugno – Isole Strofadi
La risacca mattutina mi ha svegliato presto e non sono più riuscito a riaddormentarmi. Anche Lella e già sveglia. Prepara il caffè mentre io comincio a togliere il tendalino anti umidità notturna e a preparami per la partenza. Al posto della Disney è arrivata la Costa Deliziosa, altro gigante che sbarcherà qualche centinaio di gitanti per andare a Olimpia. Noi invece lasciamo l’ormeggio diretti alle Isole Strofadi. Niente vento, meglio così altrimenti alle isole delle Arpie è impossibile ancorare, visto che sono letteralmente in mezzo al mare, mare profondo per giunta. Le vediamo comparire sull’orizzonte solo quando siamo a poche miglia da loro. Sono molto basse, una di fronte all’altra, unite da una catena di scogli e isolotti, che forma un frangiflutti naturale. Nel tratto di mare racchiuso fra le due isole il fondo è di pochi metri e fra sabbia, sassi e rocce varie c’è modo di ancorare, anche se con attenzione. Subito fuori da questo specchio d’acqua il mare precipita per centinaia di metri. Siamo proprio sul cocuzzolo di una montagna marina.
![]() |
Il monastero delle Strofadi |
C’è un leggero venticello che disturba il bagno, ma non per questo rinunciamo. Visibilità incredibile, forse una trentina di metri in orizzontale, ma pochi pesci e una vegetazione inesistente. Peccato.
Cala la sera e le stelle appaiono una dopo l’altra nel cielo appena illuminato da una luna nascente al suo sesto giorno di vita. Dall’isola arriva con forza il belato di capre e pecore, e di colpo ci si ritrova come nella Grecia antica. All’improvviso uno stranissimo verso acuto e stridulo, indecifrabile, lungo, modulato ci blocca. Lella mi guarda atterrita e con gli occhi spalancati. Sembra il pianto di un bambino, assieme a un miagolio, ricoperto da un verso di uccello. Restiamo muti in attesa che si ripeta. Eccolo di nuovo e un po’ di pelle d’oca mi sale sulle braccia. Siamo nell’isola delle Arpie, mi dice Lella, con gli occhi sempre più aperti e fissi. Calma, ragioniamo, sono solo uccelli, cosa vuoi che siano, di giorno non li abbiamo visti e adesso fanno i loro versi, strani davvero, ma versi d’uccello. Nessuna Arpia in vista, nemmeno nella sua isola.
Venerdì 1° luglio – Methoni
Il vento ha girato e adesso viene da maestrale. È quello giusto, salpiamo l’àncora senza nessun problema e apriamo le vele. È la prima vera veleggiata e Eleftheria avanza a 6 nodi e mezzo al lasco. Dobbiamo ancora decidere se fermarci nella baia di Navarino, e precisamene a Pylos, oppure andare dritto a Methoni, una decina di miglia più a sud. Per il momento la rotta è quasi uguale, quindi decideremo dopo dove dirigerci in funzione della velocità che riusciamo a tenere. Col vento aumentano anche le onde, e quando il vento termina rimangono solo loro a spingere la barca ma a farla anche rollare fastidiosamente. Abbiamo scelto non fermarci a Pylos e ora siamo di fronte alle lunghe e magnifiche mura del Castello di Methoni, che circondano e proteggono la baia. Una decina di barche è già alla fonda di fronte al paesino, ma lo spazio è tanto e ci si può fermare ovunque.
![]() |
La grande baia di Methoni |
Stiamo per ormeggiare quando sento un gran rumore provenire dalla prua della barca e Lella mi urla qualcosa che non capisco bene. Si è incastrato il pulsante che fa scendere la catena dal verricello e non si ferma più, con il risultato che la velocità di discesa ha fatto aggrovigliare la catena e adesso è tutto bloccato. Vado di corsa a spegnere l’interruttore generale per evitare che possa bruciarsi il motorino, e anche perché catene e verricelli sono dei pericolosissimi “mangia dita”. Poi con calma svolgiamo tutta la catena e rifacciamo la manovra, usando i comandi del pozzetto.
Sono sicuro che è solo un problema meccanico e armato di cacciavite e svitol pulisco il pulsante dal sale e da altra sporcizia che ne impediva il movimento, ci metto anche un bel pezzo di camera d’aria protettiva in sostituzione delle gomme originali oramai sbriciolate, e tutto torna a posto. Il marinaio/meccanico non si ferma mai!
A Methoni abbiamo incontrato il primo greco poco simpatico, il gestore del minimarket sulla via principale. Nulla di che, per carità, ma un modo di fare un po’ sgarbato che per adesso non ho mai incontrato in Grecia, né qui né nelle isole. Non so poi perché siamo andati a fare la spesa, in barca abbiamo già tutto e per di più avevamo pensato di andare a mangiare al ristorante stasera. La stanchezza gioca brutti scherzi.
Sabato 2 luglio – Methoni
Il mare di Methoni è una piscina: azzurro, trasparente e senza pesci! Niente snorkeling, ma riposanti nuotate. Ci fermeremo qui anche oggi, con l’unico programma turistico di andare a visitare il castello. È meglio andarci di mattina, quando il sole non è troppo alto, ci siamo detti, e immancabilmente siamo arrivati alla biglietteria alle 4 e mezza del pomeriggio, già boccheggiando prima di entrare e senza un goccio d’acqua nello zainetto. Dovevamo comprarla al bar, ma il mio sguardo è caduto sul gelato, fra l’altro poco buono e pagato ben quattro euro per due misere palline, e dell’acqua mi son scordato. Entriamo lo stesso, resisteremo.
![]() |
Il Castello di Methoni |
Il Castello è molto grande e non è - per così dire - un singolo castello ma una cittadella fortificata, con le lunghe e poderose mura che contengono alcune case, una chiesa ancora utilizzata, dei bagni turchi, la piazza d’armi con l’insegna in marmo del leone di Venezia, labirinti e sotterranei parzialmente percorribili, lunghe vie che l’attraversano e sulla punta che porta al mare una torre di forma ottagonale, molto bella e ben tenuta, costruire successivamente dai turchi. La fortezza fu edificata dai veneziani, che per tre secoli controllarono questi territori, prima di essere sconfitti militarmente dall’impero ottomano agli inizi del 1700.
Per un paio d’ore siamo i soli turisti presenti, poi qualcun’altro arriva quando è meno caldo, mentre noi, quasi sull’orlo del collasso, usciamo dal castello per tornare in barca. Niente acqua però, non ci fermiamo a comprarla, la berremo quando saremo rientrati.
A volte facciamo delle cose proprio stupide.
Domenica 3 luglio – Koroni
Methoni e Koroni erano “gli occhi di Venezia” del Peloponneso. Le due città erano al centro dei commerci veneziani e la nostra prossima tappa sarà Koroni. Partiamo di buon mattino anche se ci sono poche miglia da fare. Apriamo anche la randa sperando di prendere qualche refolo di vento e in effetti arriva una leggera brezzolina da terra. Ottimo! Apro anche il genoa e spengo il motore. Si va a vela. Ma il venticello nel giro di qualche minuto diventa vento vero, fin troppo vero. Mi tocca chiudere il genoa perché la barca si corica sotto le raffiche; apro completamente la randa per far diminuire la pressione del vento laterale e nonostante ciò facciamo più di 7 nodi. Dovevano esserci 5-6 nodi, ce ne saranno almeno 20! Lella è un po’ preoccupata, io pure, perché a Capo Akritas sicuramente aumenteranno e con il vento al traverso chiudere la randa non sarà facile.
![]() |
La rocca del Castello di Koroni vista da sud |
Fortunatamente le raffiche diminuiscono e poi il vento cala. Doppiamo il capo e come prevedevo il vento torna, ma è proprio sulla prua della barca e questo ci permette di ridurre la randa prendendo una mano di terzaroli e continuare con più tranquillità. Koroni è davanti a noi, si vede già la rocca con sopra le mura della fortezza e alcune case del paese moderno. Ci portiamo proprio sotto le pareti per proteggerci dal vento. Il mare trasparente del Peloponneso non tradisce neanche a Koroni. Qui ci sono anche gli scogli, che si spera siano rifugio di pesci da vedere con maschera e pinne. Ci sono i pesci, e ci sono anche due magnifiche ricciole, molto grandi e per niente intimorite dalla nostra presenza, anzi ci girano intorno, ci guardano e poi vanno via; poi tornano, una seconda sbirciatina e poi giù, in fondo al mare. Lella prova a inseguirle, poi si ferma di fronte a tre pesci che sembrano cerniotti, che però scappano subito sotto una roccia. Bel posto, merita un secondo giro nel pomeriggio.
Il giro però lo fa prima il vento, che si mette a soffiare da sud, facendo svanire la nostra protezione. Le previsioni dicono che sono solo 4-5 nodi e che verso sera calano tornando di nuovo da nord, quindi non mi preoccupo. La realtà però non è questa. Le raffiche da sud aumentano, le onde si fanno più alte. La prua della barca fa su e giù trattenuta dalla catena, mentre il vento non smette di soffiare. Che strazio! Scendere a terra con Iv e visitare la città non è più un’opzione praticabile, quindi tristemente dovremo rinunciare a vedere il “secondo occhio” di Venezia!
![]() |
Dopo 4 ore la situazione è anche peggiore, ma confido nel fatto che deve rigirare da nord e che quindi si calmerà, non conviene spostarsi ora dall’altra parte del promontorio, perché avremmo di nuovo vento e mare contro.
Il vento cala solo dopo le nove di sera, ma ha soffiato tanto e l’onda che ha formato ci fa passare una di quelle notti che è meglio dimenticare!
Commenti
Posta un commento