Nel cuore delle isole ionie



Mercoledì 22 giugno

Lascio Paxi e la sua piacevole ma troppo rumorosa Gaios per andare a Vatoumi, la splendida Emerald Bay di Antipaxi, una piccola isola che si trova poche miglia più a sud. Le altre barche vicine a me sono già andate via. Gli inglesi alla mia sinistra tornano a Corfù, fine vacanza, devono riconsegnare la barca che hanno a noleggio, i tedeschi alla mia destra non so dove andranno. Sciolgo le cime di poppa e recupero la catena andando avanti piano a motore, e quando l’àncora è a bordo mi avvio verso l’uscita del canale. Ci sono una decina di barche all’àncora quando arrivo a Vatoumi, ma in baia c’è ancora tanto posto e mi sistemo facilmente in un’insenatura con una bella spiaggia sul fondo, nel lato nord. Non mi accorgo però che quella è una zona riservata ai caicchi turistici e quindi devo andar via da lì, come mi ricorda un gentile signore che, con un riconoscibile gilet giallo da “addetto ai lavori”, gira con il suo barchino a motore fra le barche dei diportisti disattenti invitandoli a spostarsi. Poco male, c’è tanto posto. Rifaccio l’ancoraggio e mi preparo per il bagno. Il fondo è di circa 7-8 metri, ma l’acqua è talmente trasparente che sembra di poterlo toccare direttamente da bordo.

Antipaxos

Sto per tuffarmi quando vedo che, in mezzo ai soliti pesci che cercano l’ombra sotto la barca, ci sono anche tantissime meduse! E ce ne sono dappertutto. C’è perfino chi, da bordo, armato di retino, cerca di raccoglierle mettendole in un secchio per liberare un po’ di spazio balneabile. Sfiga, rimango in barca in attesa che cambi qualcosa. Un po’ alla volta le meduse si allontanano, anzi nuotano verso il fondo permettendomi di fare un rilassante anche se breve bagno.

Gli omini di pietra anche dentro le grotte marine

Sono le 10,30 circa e nella baia è appena iniziata la giornata turistica. Come in qualsiasi altro luogo turistico si ripete il rito del pullman da cui scendono orde di turisti - in questo caso non può essere altro che da una barca - che fotografano tutto quello che si muove e non si muove attorno, fanno il bagno (non tutti), si beccano qualche frustata di medusa, riconoscibile dai secchi “ahia” che si levano ogni tanto dall’acqua, risalgono a bordo dopo una mezz’oretta circa di svago, e ripartono strombazzanti per la prossima meta. Per 4 o 5 ore si ripete questo spettacolo, e la baia di Vatoumi è quasi più rumorosa della città di Gaios. Verso sera, però, tutto cambia, i barconi non arrivano più, molte altre barche vanno via e siamo in pochi a passare la notte lì, lasciati finalmente nel silenzio.
 
Verso Lefkas

Giovedì 23 giugno
 
Alle sette suona la mia sveglia, tiro fuori la testa dall’oblò della cabina di prua e guardo il mare liscio e calmo attorno a me. Esco per il tuffo in mare del mattino, poche bracciate prima di salpare l’ancora e partire per Lefkas. Non faccio colazione, voglio arrivare prima delle 14 per passare il ponte girevole che apre ogni ora e fermarmi al porto comunale di Lefkas, che costa molto meno del marina e sicuramente ha tanti posti liberi. Non c’è vento e quindi vado a motore. Arrivo poco dopo l’una. Accosto in banchina per la sosta e un signore gentile mi dà una mano con le cime, anche perché si è alzato un venticello da terra che renderebbe al manovra da solo più complicata.
Arrivano le due del pomeriggio e mi preparo a passare il canale. Metto in moto, mollo le cime con qualche difficoltà perché una di queste si è impigliata sotto l’anello fisso sul molo e non vuole saperne di sciogliersi, e poi entro nel canale. C’è un bel vento adesso e spingo il motore per contrastarlo. Non faccio 20 metri che suona il cicalino del motore. È la spia che qualcosa non va, ma non capisco. Guardo gli strumenti e vedo che la temperatura dell’acqua è a 100 gradi. Merda! Non posso continuare, devo spegnere il motore, ma sono il primo della fila e dietro di me ci sono un mucchio di barche che avanzano. Cerco di mettermi di lato per far passare tutti, ma il vento riporta la barca in mezzo al canale e non ho modo di governarla. Temo di finire sull’altra corsia, quella delle barche che risalgono per uscire da Lefkas. Alcune barche mi sorpassano non curanti o non capendo, una barca a vela mi vede in panne e mi dà una mano; gli lancio la cima che avevo ancora legata a prua e mi traina lentamente verso il marina. Il vento è aumentato e la situazione è ancora più complicata. Per fortuna c’è un pontile del marina completamente vuoto, riempio la fiancata di parabordi e con una accorta manovra della barca che mi traina, e con l’aiuto di altre due persone sul molo, accosto con il fianco destro della barca al pontile e mi fermo. Per adesso ho la barca in sicurezza, e già mi basta. 
In banchina in attesa che apra
il ponte mobile di Lefkas

Devo capire però cosa è successo al motore, spero nulla di grave. La spia segnalava temperatura elevata, prendo il termometro a infrarossi, quello che si usa per vedere se il roastbeef è cotto, non ne ho altri, e leggo le varie temperature: motore 106 gradi, collettore di scarico 57 gradi, pompa dell’acqua 78, altre parti 49, scambiatore 102. I tubi dell’acqua di raffreddamento sono tutti vuoti, segno inequivocabile che c’è stato un problema di acqua nel circuito che non è arrivata. Mi metto la maschera e scendo in mare per veder se i buchi di aspirazione acqua del piede dell’elica sono liberi o otturati, ma è tutto ok. Torno dentro e svito il tappo di chiusura della pompa dell’acqua, quello che contiene la famosa “girante”, incubo di tutti i velisti, e la trovo con due alette rotte, su cinque che ne aveva. Trovata la causa, mi metto all’opera per sostituirla, nonostante l’ambiente sia ancora molto caldo. Richiudo tutto, metto in moto e finalmente il motore torna a sputare acqua, l’acqua gira di nuovo e la temperatura scende ai soliti 78 gradi. Tiro un gran respiro di sollievo.

La girante della pompa 
dell’acqua rovinata

Intanto devo capire come andar via da questo ormeggio d’emergenza, ma con il vento che mi spinge contro la banchina non è facile uscire. Arriva l’ormeggiatore del Marina Lefkas che mi dice che non posso stare lì al loro pontile se non vado in ufficio a registrare l’entrata, che si traduce in “amico, qui si paga, mica puoi stare a scrocco”. Non posso aspettare le otto di sera che il vento cali e non mi rimane che cedere alle richieste dell’ormeggiatore ed entrare nel Marina. Mi mettono al pontile E, posto 33, uno dei pontili centrali, ma molto in fondo, penultimo della fila, con una lurida trappa che a portala in barca mi sporca tutta la coperta di putrida fanghiglia.
Marina Lefkas fa parte di una catena di marina, i D-Marina, presenti in Croazia, Grecia e Turchia; tutti molti eleganti e costosi; pago 61 € a notte, l’acqua e l’elettricità non è nemmeno compresa, costa 5 € “a consumo”, così come la doccia, 1 € ogni 20 minuti. Non ho alternative, domani arriva Marinella da Bologna e ci siamo dati appuntamento qui.
Torno in barca con le mie chiavette elettroniche per attivare i servizi e faccio il mio primo bucato dopo 3 settimana di navigazione. Non ho sporcato molte cose, solo qualche maglietta, mutande costumi, asciugamani, mappine. Lavo tutto sul pontile con il meraviglioso sapone liquido super biologico non inquinante, tutti prodotti naturali al sapore d’arancia, 5 € al litro, che però non lava un cazzo, e solo strofinando con gran olio di gomito riesco a far diventare il mio bucato appena accettabile. Vabbè, si fa questo ed altro per l’ambiente. 

Il mio piccolo bucato

La tensione della giornata mi ha sfinito e non ho voglia di uscire. Mi preparo una bobbia sicula con patate, cipolla e peperoni, arricchita da una salsa harissa piccante e mangio in pozzetto. Il riposo della notte con la barca ferma e senza onda mi ritemprerà.


Venerdì 24 luglio – Marina Lefkas
 
Quando svito le due manopole che tengono ferma la scaletta per andare sottocoperta, che è anche il vano di accesso al motore, ho sempre un momento di ansia perché temo di trovare brutte sorprese. Non sono un meccanico e il motore è un oggetto che solo poco alla volta sto riuscendo a capire come funziona, e come intervenire per risolvere i piccoli inconvenienti. Attorno ai motori c’è una specie di mistero religioso, con tutti i suoi sacri riti e i suoi sacerdoti, che li conoscono e che li celebrano, e ancor di più sui motori marini, che aggiungono al già complicato mondo della meccanica terrestre la cosiddetta “marinizzazione”, ovvero tutte quelle modifiche ai normali motori da trattore - quali essi sono in origine - per permettere loro di vivere dentro una barca, e in un ambiente ostile come quello marino. Tolgo la scaletta, la sposto al centro della dinette e mi trovo davanti al motore con la sua sentina piena d’acqua. Non è una buona notizia, da dove sarà arrivata? E quando? La pompa dell’acqua e la scatola che contiene la girante non perde, quindi da lì no. I tubi del circuito di raffreddamento hanno acqua dentro, anche se non sono in totale pressione. Metto in moto per far girare l’acqua e vedere cosa succede e infatti da un tubo esce un fiotto consistente. Smonto la fascetta e estraggo un pezzo della vecchia girante, che si era fermata all’ingresso dello scambiatore. Rimonto il tutto, riavvio il motore e il tubo perde ancora.

Il pezzo di girante rimasto nei
tubi di scarico dell'acqu
a

È bucato, proprio nel contatto con lo scambiatore, il caldo lo ha bruciacchiato. Taglio il pezzo “cotto”, rimonto e adesso va tutto bene. L’acqua in sentina la tolgo via tramite la pompa elettrica e poi asciugo per bene con spugne e pezze. Finito di fare il meccanico, vengo invitato a pranzo dai vicini di barca, italiani in pensione che hanno la barca a Preveza e che saranno a navigare nelle isole ioniche fino e fine agosto. Marinella è già in volo, anzi è già arrivata in Grecia ed è in attesa di prendere un bus che la porti a Lefkas. Bus che tarda così tanto che dopo due ore di inutile attesa decide di prendere un taxi “collettivo” insieme ad altri turisti italiani che devono venire qui.
Alle quattro e mezza del pomeriggio Lella è già sul pontile che viene verso la barca, con la sua borsa a tracolla e la pelle bianca di chi non è ancora andato in ferie. Vado ad abbracciarla, non sono più solo, non lo sarò per un bel po’, per tutto il giro del Peloponneso. Che poi a dire il vero solo non lo sono mai stato, qualcuno con cui scambiare delle chiacchiere nei marina l’ho sempre incontrato, ma è tutta un’altra cosa.
La sera andiamo in città a cena e, incredibile ma vero, torniamo casualmente nello stesso ristorante di cinque anni fa. Non abbiamo molta fame e la cena la facciamo solo con orektikà, gli antipasti greci sfiziosi e abbondanti, più che sufficienti per una normale cena.
Al ritorno in barca siamo invitati dai nostri vicini a “bere un goccetto”, invito che si trasforma in una lunga serata di piacevole conversazione e abbondante alcool, al punto che alle due di notte siamo ancora lì e giustamente da una barca vicina veniamo richiamati all’ordine.
Non fa molto caldo e si riesce a dormire bene, ma offriamo ancora una volta in sacrificio la nostra pelle alle ingorde zanzare.


Tipico campanile
a traliccio di Lefkas


Sabato 25 giugno.
 
Cosa diceva il meteo? Poco vento, solo nel pomeriggio e da nord ovest? Bene, ci svegliamo già alle 7 con un vento da sud a 10-15 nodi. Noi dobbiamo andare a sud, quindi lo avremo dritto in faccia. Per Meganisi ci sono poche miglia e anche se le facciamo a motore non è un gran problema. Usciamo dall’ormeggio e ci infiliamo nel canale che porta nel cosiddetto mare interno delle isole ioniche. Lasciamo tutte le boe verdi e rosse dietro di noi e puntiamo verso una delle baie a nord di Meganisi per fermarci a fare il bagno. Eleftheria la ancoriamo in una zona con 10 metri di acqua, ma con tanta catena e una lunga cima cha da poppa arriva fino agli scogli dietro di noi. È il classico sistema “cime a terra”, molto diffuso nelle baie non troppo grandi o troppo profonde per impedire alle barche di girare in tondo seguendo lo spostamento del vento, con il rischio di cozzare le une contro le altre. 

Le vecchie bellissime barche a motore

Ripartiamo per Itaca, sperando che il vento giri da ovest, come da previsioni; così è ma è un po’ troppo, specialmente quando siamo nel tratto di mare aperto fra Meganisi e Itaca, e dobbiamo chiudere un po’ di genoa per non navigare con la barca sbandata ; di aprire la randa non se ne parla nemmeno. A Vathì ci arriviamo poco dopo le sette di sera, il vento ha sollevato un po’ di onda che entra nella baia aperta a ovest. Speravo che essendo molto profonda fosse mediamente protetta, e invece non è così. Comunque l’acqua è bassa, si riesce a mettere molta catena e permettere alla barca di stare ferma.
Non andiamo in banchina; nonostante ci sia posto preferiamo stare in mezzo alla baia e usare Iv per andare in città. Iv anche in due si dimostra eccellente, e con un minimo di gas avanza come un leprotto verso la banchina. Lo fissiamo, facciamo la nostra passeggiata riconoscendo i posti delle precedenti visite, compreso il negozio di souvenir e cartoline che diede a Marinella, con grande orgoglio della proprietaria, un francobollo in cui era raffigurata Melina Mercuri, allora ministro della cultura greca.
Ceniamo in barca però, non vogliamo subito usare il “bonus ristorante” che abbiamo pensato di centellinare nelle occasioni più adatte. Lo faremo domani magari, al ritorno della nostra giornata di mare terricola.



 
 

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