In Grecia
Leuca, giovedì 16 giugno
Giornata di pausa. Ho dormito stanotte, eccome. Ho dormito anche ieri pomeriggio, dopo aver fatto i soliti necessari lavori d’ormeggio: attaccarsi alla corrente elettrica in banchina, collegare il tubo dell’acqua per riempire il serbatoio, dare una lavata alla coperta per togliere il sale di due giorni di mare, mettere la passerella per scendere sul pontile, mettere il tendalino per avere più ombra in pozzetto, togliere Iv2 dalla tuga per poter aprire l’oblò della dinette. Quando si arriva in porto per la prima mezzora si lavora un casino, e se si è da soli e dopo una tirata di 36 ore, diventa faticosissimo.
Stamane sono andato a comperare un po’ di frutta e verdura fresca, che sto consumando in grande quantità. Il pane che avevo preso a Termoli è rimasto fresco e mangiabile per tutti questi giorni, e mi chiedo sempre perché da noi il pane diventa duro dalla mattina alla sera. Ne prenderò dell’altro qui a Leuca; sono sicuro che durerà una settimana.
Ho messo in carica tutti i vari apparecchi elettrici che ho in barca, in primis il tablet su cui è presente il programma cartografico di navigazione, che improvvisamente si è spento a Otranto e che mi ha mollato proprio nel momento di massimo bisogno. Per fortuna lo stesso programma è visibile anche dal telefono, essendo un’App che si scarica da internet, e non ho avuto nessun problema a raggiugere Leuca.
Ho deciso che domattina andrò in Grecia, non a Othonì, come era nei piani originari, ma direttamente a Corfù, sulla sua costa ovest, e precisamente a Palaiokastritsa.
Preparo la barca per la navigazione e poi vado a farmi una doccia prima di andare a cena in pizzeria. Le docce del Marina di Leuca non sono il massimo: dei container ormai vecchiotti e con poca o nulla manutenzione, tanto che le macchinette a gettone poste all’ingresso sono tutte divelte e non funzionanti, così l’unica doccia utilizzabile è in fondo al porto, proprio accanto al travel lift (la gru che solleva le barche dal mare e le porta in cantiere). Ci vado, attendo il mio turno e quando entro mi accorgo che invece del bagno schiuma ho preso il latte dopo sole! Maledette confezioni bianche e blu, tutte uguali! Le persone in fila alle docce in questo caso mi tornano assai utili, perché un po’ di bagno schiuma in queste situazioni non si nega a nessuno.
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Santa Maria di Leuca |
Venerdì 17 giugno
Né di Venere né di Marte, dice il proverbio, e invece io lascio il pontile alle 5,40 di oggi, che per giunta è il 17. Non sono da solo a partire, accanto a me va via anche un'altra barca a vela, con a bordo 6 ragazze e 2 skipper, diretti a Othonì. Non c’è vento, solo una leggera brezzolina che va e viene in un mare liscio come l’olio. La colazione la faccio navigando, mi piace sempre far così, si guadagna tempo quando bisogna fare strada, e se si va a motore la barca non è sbandata e tazze e piatti non si rovesciano. Qualche giorno fa ho rovesciato un’intera caffettiera appena fatta perché non avevo calcolato bene quanto la barca fosse inclinata e mi è toccato asciugare tutto a forza di scottex. Adesso uso i fermapentola anche per fare il caffè, a scanso di errori.
Per la Grecia ci sono 63 miglia, con rotta 99°. Imposto il pilota automatico e mi siedo in pozzetto a guardare il mare. Vedo davanti a me un fronte nuvoloso che però è troppo basso sul mare; forse è nebbia, e infatti dopo qualche ora mi ci ritrovo dentro senza possibilità di evitarla.
Il muro di nebbia che si vede all’orizzonte mi preoccupa |
La nebbia in mare è una cosa tremenda, non si vede nulla e non hai nessun punto di riferimento; non senti rumori, se non quello del tuo motore, e non avendo un radar a bordo non sai se sta arrivando un’altra barca o un gigantesco traghetto. Devi fidarti del fatto che qualcun altro ti veda e ti eviti. Oltre la radar esiste il sistema AIS, obbligatorio su tutte le navi e sui pescherecci, e che permette di vedere sul monitor la posizione esatta di chi sta attorno. Io purtroppo non l’ho mai attivato, ed è in questi casi che ti maledici per non averlo fatto.
Il banco di nebbia è decisamente grande, ci sono dentro da più di due ore e non accenna a dissolversi. Mi sono dovuto mettere maglietta e pantaloncini, e le gocce di umidità ormai colano come pioggia dalle vele e da ogni altro oggetto; la ruota del timone è bagnata come se fosse sotto la pioggia. Non fa freddo, ma neanche caldo!
Nella nebbia |
È solo verso le due del pomeriggio che la nebbia sparisce e rispuntano il sole e il caldo. Di fronte a me le prime isole greche, sullo sfondo i monti alti d’Albania, visibili già ad appena poche miglia da Leuca. Avanzo sempre a motore, ma con un po’ di vento da sud che ogni tanto riempie la randa e mi dà quel mezzo nodo di velocità in più.
Sono le sette di sera quando entro nella grandiosa baia di Palaiokastritsa, con alte pareti di calcare crivellate di grotte e boschi di macchia mediterranea orlata da filari di cipressi.
In realtà la baia si chiama Ormos Liapadhes, e Palaiokastritsa è solo il nome del monastero che lì si trova, ma è talmente importante e bello che ha dato il nome a tutto il luogo. Mi accolgono subito due moto d’acqua sfreccianti e un paio di barchini a motore che vanno quasi in impennata. Non è un buon segno. Mi avvicino a quello che sulla carta nautica è indicato come porto e banchina dove ormeggiare, ma non è come me lo immaginavo: fondale basso e con tanti scogli vicini.
La costa ovest di Corfù |
All’interno tantissimi barchini a motore fermi sulle boe nel centro del porto, le banchine piene di altri barchini, non c’è spazio per fare manovra con una barca di 11 metri come la mia. Rinuncio, vado a cercare un posto dove mettere l’àncora, ma non è facile; tutta la baia ha dei fondali molto profondi, anche qualche decina di metri, e nei pochi posti dove il fondo è basso ci sono scogli e altri barchini sulle boe. Esco anche da questa baia e vado verso un’altra, la più lontana, dove spero di trovare rifugio, altrimenti sono nei pasticci. Percorro altre miglia e arrivo al fondo di quest’altra insenatura dove vedo un’altra barca a vela all’ancora. Mi rincuoro, non sono il solo finito qui in mezzo senza possibilità di soluzione. Le zone meno profonde sono anche qui occupate da campi boe per barchini a motore e canali di ingresso in spiaggia, sempre per barchini; il risultato è che mi tocca calare l'ancora in 8-10 metri, che non è l’ideale, perché facendo il calcolo prudenziale di 4-5 volte il fondo, dovrei dare dai 30 ai 50 metri di catena, ma così facendo rischio di finire addosso all’unica barca a vela all’ancora come me. Salomonicamente ne do 40 metri e aspetto di veder cosa fa il vento.
Il vento fa il suo giro, come sappiamo, prima da sud, poi da ovest, poi da nord ovest, poi scendendo con violenza dalle falesie, fa compiere ad Eleftheria il giro completo dell’orizzonte prima di stabilizzarsi a nord ovest per il resto della notte.
Ormos Liapadhes, sabato 18 giugno
Ho dormito, non bene come avrei voluto, ma ho dormito. Si paga sempre un po’ pegno per la libertà di girare in barca e fermarsi in posti che ad altri sono preclusi. Sono pronto per il rito del bagno appena sveglio e questo è il primo del 2022! Mi tuffo in un’acqua azzurra e freschina, che mi dà la giusta scossa per svegliarmi; faccio due bracciate, più per dovere che per altro e mi fermo a guardare il cielo e le pareti rocciose della baia. Poi risalgo in barca ad asciugarmi. Non c’è nessuno che ha fatto il caffè, come di solito succede in crociera con gli altri; scendo sotto coperta, riempio la moka e tiro fuori yogurt, marmellata e gallette di riso. Saluto i miei vicini di barca con un cenno della mano; sono tedeschi, o almeno la loro barca lo è, visto che sfoggia a poppa una gigantesca bandiera rossa, gialla e nera. Anch’io ho la bandiera degli stessi colori, verticali però, quelle del Royame de Belgique, ma non sono belga, lo è solo la barca, registrata al porto di Bruges e lì rimasta da quando l’abbiamo comprata. Non ho voluto cambiare bandiera, portarla in Italia, anche se il prossimo anno ci toccherà lasciare il registro belga, per via della legislazione cambiata, e decidere dove iscriverla.
Dal pozzetto guardo il mare, trasparente e azzurro. Lavo la maschera, gonfio il pallone, metto le pinne, prendo il boccaglio, macchina fotografica impermeabile ed entro in acqua. Sul fondo solo sabbia e le immancabili occhiate che stazionano all’ombra della barca. Mi dirigo verso la costa e, non appena arrivo alla scogliera, inizia a sfilare sotto i miei occhi tutto il corteo di pesci mediterranei: saraghi, salpe, tordi, orate, donzelle, cernie verdi, re di triglia, perfino una medusa noctulia, quella con i tentacoli terribilmente urticanti.
Non ci sono stelle marine, e neanche tanti ricci, e nessuna oloturia, onnipresente nei fondali di tante altre baie e scogliere, da Lampedusa alla Croazia. Perso nei miei giri non mi accorgo che sono arrivati altri “snorkleristi” e che io sono senza costume, per cui giro i tacchi e corro verso la barca. Non vorrei avere da ridire con qualcuno che non tollera le nudità, non siamo mica in Croazia.
I barchini a motore hanno cominciato la loro giornata, e come insetti che saltano da un fiore all’altro, sfrecciano a tutto gas da un’insenatura all’altra, creando onde e mare mosso anche quando non c’è vento. Non so se reggo una giornata intera così, anzi lo so già, non la reggo per cui fra un po’ salpo e vado a Paxos. A Lakka, a nord dell’isola di Paxos, c’è una baia grandissima nella quale ci si può fermare senza problemi. Ci sono già stato, la prima volta che siamo andati in Grecia con la barca. Eravamo in cinque, con Lella, Mario, Cesare e Rossana, era agosto e la baia era stracolma di barche. Adesso a metà giugno non dovrei avere problemi di spazio.
Lascio Ormos Liapadhes dopo pranzo e in 5 ore di navigazione quasi tutta a motore arrivo a Paxos. Insieme a me arriva anche un caicco, i velieri tipici dell’Egeo lunghi anche 30 metri, che smessi i panni di barche da pesca hanno trovato una seconda giovinezza portando in giro gruppi di turisti da un’isola all’altra. La baia è stracolma ancora una volta, non siamo in agosto, ma è sabato di un mese di giugno molto caldo. Devo evitare di muovermi nei fine settimana, per non faticare a cercare un posto dove calare l’ancora. Lo trovo un po’ troppo vicino all’imboccatura del porto, ma non sono proprio in mezzo e così rimango lì a passare la notte.
La baia di Lakka nell’isola di Paxos |
Seduto in pozzetto, con il fresco della sera e le stelle sopra di me, bevo un bicchierino ascoltando con piacere la musica dal vivo che viene da uno dei bar del porto. Melodie orientali mischiate all’immancabile “Zorbas”.
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